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Una saldissima fede incerta

che cosa si può credere oggi?

 
 
È in libreria il nuovo libro
 
UNA SALDISSIMA FEDE INCERTA
che cosa si può credere oggi?
Paoline, pag. 328, € 16,00
 
                                                            

                        

 

dalla quarta di copertina

Tu in che cosa credi? Un quesito iniziale: l'invito a chiedersi che cosa si può credere oggi, nella desacralizzante cultura dei nostri tempi.
Convinto che le abbondantissime violenze presenti sul pianeta dipendono dal persistere di tante, troppe immagini divine violente che dividono anziché pacificare, l'autore si muove alla ricerca di un cristianesimo dell'insieme.
Un libro impegnativo, data la complessità dell'argomento, e tuttavia capace di catturare anche l'emotività del lettore via via che scorrono le pagine.

Secondo la Bibbia, l'essere umano sarebbe immagine e somiglianza di Dio, ma nella pratica del quotidiano sembrerebbe piuttosto il suo contrario. Tuttavia si tratta di un contrario complementare, come la parte rispetto all'insieme, o il relativo all'assoluto.
Questo libro traccia i lineamenti di una realtà unica e unitaria (richiamandosi in parte alle tesi di Teilhard de Chardin e di Panikkar) che si esprimerebbe attraverso due interfacce: l'una fatta di coscienze individuali e contraddittorie, che sperimentano porzioni di esistenza nello spazio e nel tempo; l'altra come coscienza totale, che vive tutto quel che accade dal punto di vista dell'insieme.
Ne scaturisce un quadro organico e originale che scopre molti punti comuni tra panteismo e Dio personale, e anche su temi di attualità come evoluzionismo e creazione, con un risultato sorprendente: la realtà d'insieme assume nuovi significati, che oltre a essere compatibili con Vangeli e Tradizione sono anche in grado di rivitalizzare i simboli della fede, rendendoli più comprensibili nel tempo presente.

Leggi le relazioni alla presentazione dell'8 giugno 2011


Tengo a metterere al primo posto una robusta stroncatura (che ho ricevuto dal Signor Davide Schimon che non conosco) apparsa in data 16 dicembre 2012 sul blog de libero arbitrio a firma Claudio LXXXI .  Per gli interessati:

Leggi stroncatura

 

da Confronti ottobre 2011

L’ossimoro e il paradosso – una fede «saldissima» e, insieme, «incerta» – rende plasticamente il filo del ragionamento, mite ed appassionato come sempre, dell’autore che, sulla scia dei suoi molti libri (da Il vangelo secondo mio nonno del 1997 a La morale coniugale scompaginata del ’99, da – per venire ai più recenti – Elogio del dissenso del 2007 a L’inquieta felicità di un cristiano del 2009) adesso affronta un tema nodale: si può credere, oggi, nel Dio di Gesù? Come? Perché? In ogni sua opera, Thellung, oggi ottantenne, precisa sempre di essere «felicemente sposato, padre, nonno e pluribisnonno», oltre che «fondatore di comunità [quella del Mattino, a Roma], pilota d’auto, pittore, scrittore, per molti anni dedicatosi all’assistenza dei malati terminali». Annotazioni di cronaca che precisano il mondo dal quale l’autore viene e, dunque, l’humus delle sue rifle ssioni sulla fede.

Con riferimenti ad alcuni pensatori a lui cari, da Teilhard de Chardin e Raymon Panikkar, egli intreccia il discorso sulla fede come esperienza personale e come coscienza totale dell’insieme. Per giungere ad una conclusione che ci sembra riassumere il suo percorso: «Il senso del tutt’uno esclude ogni distinzione di qualità tra amor sacro e amor profano. La mia esperienza vissuta mi fa credere che l’intenso amore che provo per la mia sposa (così saporito e ben stagionato nel tempo) non sia di qualità diversa dall’amore per Dio». Un amore che «non è tranquillo e distensivo, ma effervescente e travagliato, non privo di ostacoli e difficoltà che mettono continuamente alla prova. E tuttavia entusiasmante nelle prospettive» (pag. 313).

David Gabrielli

dal sito:

   

Invecchiando ogni cosa vale di più
scelto da Luigi Accattoli | 01 settembre 2011

«Mi accorgo che invecchiando ogni cosa vale di più: alberi, prati, animali, panorami, monumenti, opere d'arte, persone, tramonti. Mi sembra tutto più bello»
di Antonio Thellung a pagina 17 del volume «Una saldissima fede incerta» (Paoline 2011)

Sono da molti anni amico di Antonio Thellung - romano, 80 anni, cristiano libero e creativo, sempre provocante - e più lo ascolto più mi convinco che il suo dono migliore, rarissimo a queste latitudini, è quello della gratitudine. Chi lo voglia conoscere può visitare il sito www.antoniothellung.it . Nel segno della gratitudine va letto anche questo suo ultimo libro che nel titolo ripropone il paradosso con cui aveva già intitolato un altro volume di riflessioni sulla fede: «L'inquieta felicità di un cristiano» (Paoline 2009). Il paolino "saldi nella fede" era il motto della Giornata mondiale della gioventù di Madrid ed ecco Antonio che argomenta: la mia fede è "saldissima" in quanto "cuore che batte nel sentirsi trascinato verso Dio", ma essa è "incerta" quanto al proprio "aspetto razionale", specie quando siamo chiamati dai non credenti a chiarire "che cosa posa ancora credere l'uomo d'oggi, disincantato com'è". Dice anche che la "descrizione" del contenuto della fede che è in grado di tracciare rischia di apparirgli "poco credibile", ma ciò non toglie che "questa fede mi renda pieno di speranza e innamorato dell'incredibile". Consapevole e grato che il Padre ci abbia "fatti con i suoi cromosomi" e dunque da lui veniamo e a lui siamo "destinati".

 

dal sito: www.laperfettaletizia.com

La spiritualità e la fede che l’autore esprime in questa sua opera sono caratterizzate da un forte pendolarismo tra razionalità e sensibilità. Thellung lascia intendere che la Fede non è soltanto credere ma anche sentire. In un’epoca come la nostra, definita come post-moderna e caratterizzata dalla complessità, anche il tema della fede è connotato da forti contraddizioni. La razionalità e in modo particolare la filosofia non hanno tutti gli strumenti per spiegare l’assurdo e l’incomprensibile. Di fronte ad eventi tragici, come ad esempio uno tsunami, si registrano le solite domande di senso e di effettiva presenza di Dio nella storia dell’umanità. Domande sulla Sua potenza o impotenza e sulla relativa Sua bontà o cattiveria. Thellung, con il suo libro, diffida dei razionalisti ideologici o del dogmatismo teologico che possono portare soltanto alla superstizione, alla passiva ingenuità o peggio ancora allo scetticismo. Diffida anche dell’ateismo perché anch’esso non spiega e non soddisfa le domande di senso che l’uomo contemporaneo si pone. Thellung rimanda piuttosto al pensiero di Kierkegaard e cioè alle infinite possibilità e alternative che il pensiero può prospettare. Dice infatti Kierkegaard che l’angoscia è essenzialmente connessa all’esistenza umana in quanto quest’ultima è divenire verso l’ignoto. Non esistono quindi risposte precise alle domande esistenziali su Dio ma quelle più credibili e significative sono legate più al sentire che alla razionalità.

Thellung ricorda, a mio avviso, anche il teologo Hans Kung sempre per quanto riguarda l’aspetto teoretico. Anche Kung dice infatti: ”Non sono fatto solo di ragione e ragionevolezza, bensì anche di sentire e volere, di indole e fantasia, di emozioni e passioni”. E così continua: “Ho imparato a pensare in maniera metodica e chiara, quello che si chiama esprit de geometrie secondo lo spirito di Cartesio. Nel contempo tuttavia ho tentato di acquisire un conoscere, un sentire e un percepire che sia completo e intuitivo secondo l’esprit de finesse dell’antipode di Cartesio, ovvero l’eccellente matematico Blaise Pascal.” Questo specifico pensiero di Hans Kung mi è sembrato estremamente esemplificativo per spiegare il pensiero dell’autore di questo libro.

Anche il nostro amato Papa Benedetto XVI, in una recente trasmissione televisiva su Rai Uno poco prima della domenica di Resurrezione, ha risposto umilmente ad una bambina giapponese che aveva sofferto per il terribile Tsunami dicendo che non esistevano risposte di fronte a queste immani tragedie. Egli infatti rispose così :” ”Anche a me vengono le stesse domande. Perché è così? Perché voi dovete soffrire tanto, mentre altri vivono in comodità? E non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente, che il Dio vero che si mostra a Gesù, sta dalla vostra parte.” Anch’io mi unisco al pensiero del Papa sottolineando che Gesù non è venuto per togliere la Croce dal mondo ma solo per condividerla.Il nucleo della fede è proprio questo “sentire” la Presenza di Dio che vuole essere semplicemente con noi. (Emmanuel : Dio con noi)

Antonio Thellung vuole condurre il lettore nei sentieri dell’intuizione e il quadro che c’è in copertina ne è la perfetta esemplificazione. Nella Cena di Emmaus dipinta dal Caravaggio vi è rappresentata la centralità della Presenza di Gesù nella nostra vita. Egli ci spiega le Scritture e ci ridona speranza proprio quando volevamo tornare sfiduciati alle nostre preoccupazioni materiali di sempre. L’incertezza della fede dei discepoli di Emmaus è anche la nostra incertezza ma Gesù viene ad illuminare la nostra fede traballante e la rende saldissima. Thellung sembra dire al lettore che guarda la bellezza di quest’opera d’arte : Sentila, intuiscila, lasciati penetrare e coinvolgere dal suo messaggio perché il tuo cuore arda nuovamente allo spezzare del Pane.

Carlo Mafera  19/05/2011

Intervista radiofonica del 18 giugno 2011.
(radio Wuala del Piemonte). Per ascoltarla cliccare su:

http://www.wuala.com/livio.partiti/ILPOSTODELLEPAROLE/110618

oppure 

http://mediacenter.paoline.it/Autori-Autori-Paoline-Intervista-ad-Antonio-Thellung_73_36_872.aspx

 

CARTA.org

Dubito ergo credo

Alcuni giorni fa, un sacerdote romano, uno di quelli che ha partecipato all’incontro con Alessandro Santoro [prete della comunità di base delle Piagge, a Firenze], promosso da gruppi di cattolici omosessuali il giorno prima dell’Euro Pride 2011, è rimasto stupito quando ha scoperto che il nuovo libro di Antonio Thellung «Una saldissima fede incerta», fosse pubblicato dalle Paoline. Per la prima volta, una casa editrice cattolica e non di nicchia, ha pubblicato e distribuito il testo di un autore credente, ma apprezzato e letto soprattutto da chi nella chiesa cattolica è spesso ai margini. Un segno dei tempi?

«Con la Chiesa. Oltre la Chiesa» [Cittadella editrice, 2002], «La conversione dei buoni» [Cittadella, 2004] ed «Elogio del dissenso» [la meridiana, 2007] sono alcuni dei libri più noti di Antonio Thellung, una delle poche voci fuori dal coro tra i credenti romani [ma non sacerdote], fondatore della comunità Il Mattino. Il suo pronfondo e non scontato lavoro di ricerca sulla fede che non rifiuta il tema dell’incertezza, lo ha portato in questi anni, tra le altre cose, a mettere in discussione la chiesa che scomunica e la sua mentalità dogmatica, la chiesa che non prende posizione nette [ad esempio su Pinochet], che si pensa superiore rispetto ad altre religioni, che sostiene il primato del papa e non quello della propria coscienza. Eppure, Thellung non ha mai rinunciato, come molti altri credenti o religiosi, a sentirsi parte della chiesa cattolica, per molte ragioni.

Alla domanda sul perché della chiesa, nel ultimo libro, Thellung risponde in modo diretto e chiaro ricordando che in realtà la chiesa comprende tutti coloro che credono o si rifanno a Gesù il Nazzareno, qualunque cosa di positivo o negativo pensino o facciano, aggiungendo che «non è possibile seguire il messaggio cristiano individualmente, ma solo in un cammino comune». La condivisione, anche se faticosa e conflittuale, «tiene svegli, impedisce frammentazioni individualistiche». Del resto, per Thellung il cristianesimo sarebbe nella sua essenza un modo per comprendere i «benefici dell’insieme» che mettono in discussione i «disastri dell’individualismo». In questo contesto è vero che una certa «religiosità può assumere talvolta forme distorte e perverse», ma offre anche la «possibilità di percorrere insieme un cammino punteggiato di incontri». La religiosità, al di là dei rischi del «ritualismo» fine a se stesso, può essere uno strumento di confronto e di crescita.

Uno dei passi più interessanti, a nostro giudizio, è il paragrafo «Dubito ergo credo», che immaginiamo susciti ilarità e perfino disprezzo tra coloro, credenti o meno, che rifiutano ogni forma di relativismo. L’autore prova a spiegare cosa nella sua vita e nei suoi pensieri provoca la fede cristiana: «Oltre a una grande speranza – scrive – sento l’impulso forte a lavorare attivamente per promuovere a diffondere frutti di pace, armonia, condivisione… So che tali impulsi sono presenti in credenti e non credenti [religiosi, atei, agnostici], sono convinto che la disponibilità a metterli in atto affratella spontaneamente coloro che ci provano indipendentemente da qualsiasi credo… Personalmente l’ho capito guardando a lui, perciò mi sento irrinuncibilmente cristiano, al di là di tutte le ambiguità che accompagnano questa parola».

Il libro ragiona anche sul tema del potere. Siamo abituati a pensare al Dio dei cristiani soltanto come un grande governatore del mondo, eppure, ricorda l’autore, il Vangelo dice in modo esplicito che «il potere è diabolico». L’immagine di un Dio diverso, che preferisce i senza potere e che ad esempio «sa estrarre il positivo dal caos o riesce a trasformare il male in bene, sembra ancora poco nota». A Thellung non piace neanche l’idea di un Dio tappabuchi, in grado di spiegaere sempre e comunque l’inspiegabile. «La mia ricerca – scrive – è orientata verso un Dio che non serve a risolvere quel che non si spiega, ma che può dare significato a quel che esiste e può dare un senso agli eventi insensati».

Tra i temi più religiosi, merita una segnalazione anche la riflessione sulla risurrezione, che farà discutere molti. Chi ha sviluppato più a fondo quel tema, secondo Thellung, è il frate teologo e suo amico, Alberto Maggi. Secondo Maggi la risurrezione non avviene dopo la morte perché la vita può essere trasformata già nel corso dell’esistenza, mettendo la vita al servizio degli altri. Inoltre, la vita eterna non è un premio nell’al di là, ma una condizione del presente: «eterna» si riferisce alla qualità e non alla durata. Per questo, il messaggio cristiano invita a chiedersi non tanto se c’è la vita dopo la morte, ma se questa vita che conduciamo si può chiamare vita.

Thellung, dunque, riesce a dimostrare come il dissenso sia ancora presente e recondo nella chiesa, anzi, come ricorda in altri libri, la storia della chiesa è ricca di rigogliose pluralità. In questo, si avvicina a credenti come Ernesto Balducci, Raimon Panikkar, Antonietta Potente piuttosto che Enzo Mazzi, punti di riferimento anche per i movimenti sociali. Thellung, come loro, sembra pensare che qualsiasi dissenso creativo, sia in realtà indispensabile non solo per far crescere le coscienze ma anche per evitare di utilizzare la fede come una clava che divide e che monopolizza i punti di vista. Il tentativo di Thellung di rispondere alla domanda «tu in che cosa credi», che ha dato vita al libro, è quindi un sforzo davvero utile per cercare nuovi linguaggi e nuovi ponti tra credenti e non, in compagnia di tanti dubbi.

3/06/2011                                                                              JLC (Gian Luca Carmosino)

http://www.carta.org/2011/06/dubito-ergo-credo/

 

Che cosa si può credere oggi?
Si presenta il libro “Una saldissima fede incerta”

ROMA, lunedì, 6 giugno 2011 (ZENIT.org).- Perché credere e in quale Dio credere? È lecito dubitare? E se il materialismo fosse più assurdo delle più assurde ipotesi divine? E la Chiesa?

Sono alcune delle domande che vengono affrontate nel libro di Antonio Thellung “Una saldissima fede incerta”, pubblicato dalle Paoline e che verrà presentato questo mercoledì, 8 giugno, alle 18.30 presso il Centro Russia Ecumenica di Roma (Borgo Pio, 141).

All'incontro pubblico, coordinato dalla giornalista Elisa Costanzo, parteciperanno Thellung, la teologa e saggista Maria Caterina Jacobelli e il poeta e filosofo Marco Guzzi.

“Il nostro è un tempo difficile, ma non sempre il difficile corrisponde all’assenza di speranza, di visione positiva”, sottolineano gli organizzatori in un comunicato. “Questo tempo può anche essere una opportunità straordinaria per rielaborare un pensiero su Dio che superi i luoghi comuni e rinnovi i significati autentici della fede. Oggi non si può più credere a certe immagini teologiche obsolete; e tuttavia l’ateismo non appare meno assurdo”.

Nel libro, Antonio Thellung chiede “Tu in che cosa credi?” a un giovane amico e interlocutore, rispondendo alle sue domande.

Pur toccando con rigore temi profondi e complessi, il testo è scritto con grande semplicità e intende dar voce alla fatica di credere e alla necessità ineludibile di cercare sempre e di dubitare.

Di grande attualità, si rivolge alle persone che si interrogano sul senso della vita e cercano itinerari di riflessione non scontati e modelli di riferimento coerenti con una visione del mondo e della realtà in continuo cambiamento.

Nel testo, l’autore evidenzia la fatica, ma anche la necessità di cercare sempre, perché la saldezza della fede non si misura dall’assenza di dubbi o di interrogativi, che sono invece la linfa di una fede viva e aperta alla novità di Dio.

Antonio Thellung è nato nel 1931 e ha svolto diversi lavori: fondatore di comunità, ricercatore, pilota d’auto, pittore, scrittore. Per molti anni si è dedicato all’assistenza di malati terminali.

Ha pubblicato numerosi saggi sui temi della fede e dell’impegno nella vita, sempre a partire
dall’esperienza e dal desiderio di testimoniare la sua ricerca e il suo percorso cristiano.

Dal sito: www.zenit.org

 

 

Che cosa si può credere oggi?

L’argomento affrontato nel volume non è semplicemente, e banalmente, quello di vedere come si possa “aggiornare” la propria fede in un mondo in cui i suoi contenuti sembrano non solo problematici, ma addirittura infantili e superati. L’autore trasfonde se mai tutto il complesso delle questioni teoriche e delle esperienze personali legate alla fede in un serie di domande che coinvolgono il proprio destino personale, la vita e la morte, non solo individuale ma anche del cosmo intero.

Non deve meravigliare perciò se nel corso dell’esposizione si affrontano apertamente le verità elementari della fede, nella loro formulazione “dogmatica” più tradizionale, capovolgendole o contestandole nello stesso tempo con un dibattito che in realtà non tende a sminuirle o abolirle, ma a farle riemergere in una luce diversa, nella quale vengono a coesistere in una sorta di tensione dialettica e complementare il significato religioso di fondo che esse conservano ma anche il dubbio più radicale e persistente che sollevano. La stessa cosa si può dire per i riferimenti biblici a cui l’autore si richiama per dipanare il suo ragionamento: presi nella loro consistenza letterale, e senza un loro inquadramento critico nel mondo o nel linguaggio in cui sono formulati, essi vengono attualizzati con un’esegesi che li rende attraenti e non risolutivi, compatibili cioè con le perplessità e l’atteggiamento di ricerca che anima il sottofondo di tutto il discorso. Per questo motivo, pretendere da questa loro ermeneutica un’attenzione maggiore al contesto storico e culturale in cui sono sorti, significherebbe in questo caso ricorrere a un alibi grossolano che tradirebbe una scarsa sensibilità per il travaglio esistenziale entro cui si muove la lettura dell’autore. I problemi di fondo riemergerebbero infatti inalterati, anche qualora si vedessero soddisfatte in queste pagine le esigenze di un corretto metodo esegetico, che suonerebbero qui tutto sommato anguste e persino fastidiose o superflue.

L’ossimoro con cui viene formulato il titolo del libro focalizza bene la tematica affrontata, partendo dalla quale l’autore  traspone in un orizzonte cosmico la concezione del mondo e della sorte individuale, derivata dalla fede cristiana, e vede in tutto ciò che è individuale, particolare e limitato, la fonte delle contraddizioni e anche di tutti quegli aspetti negativi che si traducono nelle molteplici manifestazioni del male e del demoniaco. Ma si tratta di inserire questo limite in un processo che lo condurrà alla sua piena realizzazione in una “percezione dell’insieme”, ossia in quell’universale che si chiama Dio e che può identificarsi senz’altro con il Dio annunciato dal cristianesimo (l’autore dedica infatti alcune pagine interessanti anche al Cristo risorto e alla Trinità). In sintesi, tutto il contenuto del volume può essere riassunto in queste parole, che significativamente sono formulate in termini autobiografici: “Personalmente mi soddisfa in pieno l’idea che il senso del mio itinerario compiuto entrerà a far parte della coscienza e della memoria di Dio. Là io non ci sarò più, eppure sarò vivo per sempre, nell’insieme universale. In quale modo non pretendo di saperlo, e neppure m’importa: la piena fiducia nel Dio d’insieme mi spinge a credere che sarà il meglio per lui e per me” (p. 191).

Si potrebbe certo esprimere qualche perplessità, di fronte a una prospettiva così delineata che, simpatizzando palesemente con Teilhard de Chardin e rifacendosi al linguaggio dei grandi mistici, sembrerebbe annullare l’individuo nell’immensità amorfa dell’universale. Ma anche di questo l’autore è del tutto consapevole e intravede perciò una meta nella quale in qualche modo si possa salvare il proprio io: “Capisco che, se riuscissi a sviluppare la potenzialità divina custodita dentro di me, allora entrerei anch’io nella coscienza di Dio, allora la mia coscienza limitata di oggi, ma con la stessa percezione di esser me stesso, si ritroverebbe senza limiti in Dio. Sarei tutt’uno con Dio, continuando a vivere nella sua consapevolezza il mio itinerario compiuto”. E per di più questa sorta di soluzione non scioglie affatto il dubbio esistenziale: “Se ora ti saltasse in mente di chiedermi se credo che le tesi qui sopra esposte corrispondano a verità, ti risponderei che non lo so” (pp. 302s). Ed è questa, in sostanza, la replica di fondo con cui termina il dialogo che l’autore nel corso del volume intreccia con un suo interlocutore che lo interroga, non importa se reale o ipotetico, e che lo induce a presentare i suoi ragionamenti come riflessioni personali provocate dalle sue domande; tra l’altro, questa trattazione dialettica dei temi è anche ciò che rende il linguaggio del libro  quanto mai chiaro e vivace, e di gradevole lettura.

Sarebbe del tutto fuorviante vedere in questa sintesi una conciliazione irenica tra le affermazioni del concilio di Trento (inteso come espressione più rigida delle verità di fede) e la filosofia di Cartesio, fondata sul dubbio. Quel che stupisce di più in queste pagine è, per così dire, un ottimismo metafisico che convive e quasi si rafforza attraverso le obiezioni, le oscurità e le sofferenze che stanno (o dovrebbero stare) alla base di ogni autentica ricerca di senso. L’autore non vuole affatto persuadere sul piano del ragionamento, ma intende tracciare soltanto un cammino di possibile condivisione. La vera convinzione a cui le sue parole potrebbero condurre consisterebbe se mai in una sorta di “simpatia” in cui dovrebbero confluire da un lato la genuinità della sua introspezione e dall’altro la sincerità implacabile con cui il lettore, e quindi ognuno di noi, dovrebbe guardare a se stesso.

Prof. Gian Luigi Prato
docente di Ebraismo presso l’Università degli Studi di Roma III
pubblicato da Koinonia luglio 2011

 

segno - mensile

Palermo - luglio agosto 2011

 

Dio del grande insieme?

 

Anche se certamente Antonio Thellung avrà ancora molte cose da dirci, tuttavia questa sua opera ha indubbiamente il sapore di una grande conclusione, di una sintesi cui approdano le tante ispirazioni che hanno caratterizzato le riflessioni precedenti.

E’ come se l’autore portasse a compimento in modo organico il suo pensiero, affrontando, e in buona misura risolvendo in modo originale, i nodi più complessi del sentire cristiano, sempre più in crisi tra le novità tecnologiche e le spinte di un moderno pensiero teologico da un lato, e gli arroccamenti difensivi di un magistero cattolico sempre più imprigionato in armature paralizzanti e incapace di vedere e interpretare i segni dei tempi.

E, ancora una volta, nelle pagine di Thellung spira aria fresca, che libera piacevolmente il lettore da quell’altra, più pesante e stantia, carica di dogmi chiusi per sempre in scrigni di verità rivelate immutabili e indiscutibili. E dire che quel Gesù di Nazareth, a cui fanno riferimento i cristiani, dell’attuale dottrina insegnata dal magistero non ci ha tramandato pressoché nulla…

Sin dal titolo, “Una saldissima fede incerta”, il dubbio diventa improvvisamente un normale compagno fondamentale della nostra esistenza.

Anche se è difficile sintetizzare in brevi tratti le stimolazioni più coinvolgenti del libro, alcuni spunti salienti possono essere ripercorsi per cercare di afferrare i messaggi più essenziali.

Com’è Dio e come può essere credibile? E l’apparentemente insormontabile problema del male? E le tante immagini tramandateci di un Dio che usa la violenza per fare giustizia sono attendibili o ce le siamo fatte da noi? Insomma, Dio è un bel rompicapo. D’altra parte, il materialismo puro e l’ateismo sono ancora più assurdi.

Thellung ci suggerisce che noi siamo parte di Dio. Dio è il grande insieme, Bene, Amore, il tutto in tutti, coscienza del tutto. Dio è anche Giustizia. Ma conviene separare definitivamente l’idea di giustizia divina da quella di qualsiasi forma di violenza, che compete invece a noi, alla nostra incapacità di uscire dal nostro egoismo. Si dice che siamo a sua immagine e somiglianza, ma Dio è molto di più e il riferimento a un Dio antropomorfo è in fondo fuorviante. Siamo frammenti del grande insieme, con una visione parziale e individuale che ci può spingere anche a forti contraddizioni, ma siamo chiamati a ricercare il bene, a riconoscerci come parti complementari del grande insieme divino a cui tendiamo a ricongiungerci.

Molto azzeccata, a questo proposito, l’immagine degli uomini come gli operatori terminali di un grande computer. L’unità centrale è al corrente di tutto, mentre le unità periferiche sono sì collegate al centro, ma hanno una visione solo parziale dell’insieme. Individualmente, possono più o meno essere interessati ad altri collegamenti e possono più o meno intuire il legame con l’unità centrale e cercare di svilupparlo. E’ concorde con questa immagine anche la mancanza di certezze. Il dubbio è infatti costitutivo dei nostri limiti.

Inoltre, il male non è esterno a noi e non è quindi qualcosa da distruggere definitivamente, secondo il modello della vittoria dei buoni e dell’eliminazione dei cattivi. Male e bene sono mescolati insieme inestricabilmente. Il male è fatto dalle nostre contraddizioni che scaturiscono dalla nostra parzialità e dai nostri limiti. E’ un controsenso che aspetta di volgersi in positivo. Nostro compito è trasformarlo in bene, nella nostra evoluzione ed attrazione verso il grande insieme che è Dio. Se poi uno di questi terminali non imbroccherà la strada giusta, sarà destinato a scomparire, ad esaurirsi naturalmente e scomparire nel nulla, una volta concluso il suo ciclo naturale.

La potenzialità divina che è in noi ci aiuta nel percorso di uscita dal nostro individualismo verso l’incontro con gli altri, fino ad immergerci nella realtà divina. La sconfitta dell’individualismo e l’annullarci in Dio rappresenterà la nostra vita eterna.

Ma che relazione ha questa grande visione con il cristianesimo?

Un aspetto non trascurabile della genialità di Thellung è quello di saper conciliare la sua idea teologica non solo con la tradizione cristiana, ivi compresi i dettati dottrinali magisteriali, ma anche e soprattutto con le più genuine espressioni del messaggio originale di Gesù di Nazareth. E questa lucida analisi si dipana man mano che si avanti nel libro. A questo proposito, però, nonostante il lodevole impegno etico ed intellettuale di Thellung, si ha l’impressione che il tentativo di far rientrare il suo pensiero ardito e innovativo nell’alveo dell’insegnamento magisteriale cattolico sia un’impresa facilmente attaccabile da schiere di teologi cattolici tradizionalisti.

Un’ultima notazione potrebbe riguardare la connessione della visione di Thellung con il pluralismo religioso. O forse dovremmo sottolinearne piuttosto la mancanza di riferimento, forse voluta dall’autore, nel testo. E’ un fatto che da più di un decennio assistiamo ad una copiosa fioritura di letteratura teologica cristiana, prevalentemente asiatica e latino-americana, sul pluralismo religioso. In poche parole, poiché non possiamo conoscere la verità profonda di Dio, il cui mistero rimane al di là della portata della nostra comprensione, non è difficile intuire che tutte le religioni a buon diritto rappresentano e contengono semi di rivelazione divina, esprimendo l’universale anelito dell’uomo a un Dio buono e giusto. Tutte le religioni sono quindi valide e sono tra loro compagne nel comune cammino di ricerca della salvezza, a prescindere dai contenuti delle rispettive tradizioni, non nel senso che ciascuna di esse possiede la verità rivelata per conto suo (sarebbe impossibile, dato che le tradizioni sono diverse), ma proprio nel senso opposto, e cioè che nessuna può penetrare l’inconoscibile realtà di Dio, ma tutte hanno come méta comune Dio, che si fa presente nello spirito degli uomini. L’atteggiamento della Chiesa cattolica a questo riguardo mostra qualche eterogeneità, per non dire ambiguità. Da un lato spesso confonde maldestramente il pluralismo con il relativismo, dall’altro ignora questo tipo di apertura al dialogo interreligioso al fine di non sollevare polveroni, salvo poi a condannare qualche teologo se la sua opera supera un certo livello di risonanza, fino a destare qualche preoccupazione. Per onestà intellettuale, non posso però fare a meno di ricordare un autorevole teologo cattolico, Carlo Molari, che nella sua post-fazione a “I volti del Dio liberatore (II) – Verso una teologia del pluralismo religioso”, a cura di Barros, Tomita, Vigil, Ed. EMI, 2005, pagg. 247-248, si esprime favorevolmente nei confronti del pluralismo religioso, purché si tratti di pluralismo “convergente” (le religioni hanno bisogno l’una dell’altra per il cammino salvifico) e non di pluralismo “relativista” (le religioni sono tutte valide e compiute in se stesse).

Tornando a Thellung, è del tutto evidente che la sua proposta, la sua ricerca di senso, le soluzioni trovate e il faticoso raggiungimento degli obiettivi dell’uomo, salvezza compresa, travalicano di gran lunga la tradizione religiosa cattolica a cui appartiene. Dalle sue parole appare scontato che non sono più necessari i dogmi cristiani e neanche la mediazione del Cristo per giungere a Dio. L’autore si accontenta di dire che la sua analisi è compatibile con il credo ufficiale cattolico, ma in realtà, anche se non lo esprime apertamente, il suo pensiero può anche essere collocato nel solco del pluralismo religioso, e da questo punto di vista auguro alle sue idee la migliore delle fortune per lo sviluppo di una migliore coscienza cristiana.

Vincenzo Pezzino

 

Ricevo della psicologa dott.ssa Clotilde Masina Buraggi

UNA LOGICA "ILLOGICA"

In “Una saldissima fede incerta” Antonio Thellung si pone nella scia della più antica ricerca filosofica, quella del presocratico Anassimandro ( 610-ca, 546 a.C.), il primo a chiedersi quale sia l’archè, il principio da cui derivano tutte le cose  e a chiamare questo principio Apeiron, l’infinito, l’ illimitato, l’ immenso, da cui derivano le cose finite nell’ordine del tempo.

Thellung ci parla del divino come di un insieme assoluto che non è somma dei particolari che lo compongono, perché ha il valore di  sintesi unitaria e inscindibile, mentre ogni particolare è relativo e dipendente. Pensa questo insieme come un organismo vivente, consapevole di sé, capace di interagire con se stesso e con gli altri e quindi come una persona. Ritiene che gli uomini, ma anche la materia siano “cromosomicamente” orientati verso l’insieme, attratti dalla sua armonia, spinti a partecipare alla consapevolezza divina attraverso modalità differenti da quelle della ragione.

Questa impostazione mi sembra concorde con le  acquisizioni di molte correnti teologiche fra le più aggiornate e, prima ancora con alcune affermazioni del Nuovo Testamento. Gesù ci esorta a sperare nella possibilità  di divinizzarci: “quando tutto gli sarà sottomesso anche il Figlio sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa perchè Dio sia tutto in tutti” ( I Cor.15,24-28)  e prega perché ogni uomo partecipi al suo stesso  processo unitivo: “Come  tu in me e io in te siano anch’essi uno in noi” (Gv. 17, 21-22). In tale ottica  mi pare che assumano significato anche le parole misteriose riportate dal Vangelo “Chi non raccoglie in me disperde” (Mt. 12,30).

Lo stesso tipo di percorso dal frammento all’insieme unitario lo rileviamo anche nello sviluppo umano: dalla cellula derivano gli organi,  si assemblano biologicamente, emerge la psiche  che da frammentaria si integra con le proprie parti e con  il soma, si costruisce la persona come insieme e l’insieme personale e limitato si espande per formare gruppalità sempre più estese. Dal piccolo gruppo famigliare si passa a possibilità di gruppi sempre più ampi, già realizzabili o per ora solo immaginabili. (Si potrebbe parlare anche di processo inverso, dall’insieme al frammento, in quanto la cellula germinatrice di vita deriva dall’unione delle cellule di un gruppo, quello dei genitori).

Ma c’è un’altra ragione per cui mi ha colpito la lettura di questo libro ed è la sua concordanza  anche con il modello teorico  del mio maestro, lo psicoanalista Ignacio Màtte Blanco, modello che ho sperimentato molto valido, non solo teoricamente, ma  anche nelle terapie analitiche in tanti anni di professione. Màtte Blanco che come psichiatra aveva osservato negli ospedali psichiatrici  e nelle prigioni del Cile l’umanità più degradata, come assassini e schizofrenici, era ancora capace  di stupirsi constatando la sete di Infinito, la tensione verso l’Assoluto insita nell’uomo. Secondo questo studioso, attento indagatore delle teorie di Freud, il Conscio e l’Inconscio funzionerebbero secondo due modalità  diverse: nella prima , quella del Conscio,  prevarrebbe la ragione secondo una logica che divide, ordina, classifica (la nostra logica classica detta anche aristotelica).

Nella seconda, quella dell’’Inconscio, che si rivela nei sogni, prevarrebbero le emozioni secondo una logica “illogica” che più che distinguere le cose le unisce,  le accomuna, le  assembla in insiemi che diventano sempre più ampi man mano che ci si inabissa nell’Inconscio profondo. Entrambi  le modalità delle due logiche,  e la loro compresenza, sono necessarie al funzionamento della mente. Come non può darsi un pensiero razionale senza emozione, non può darsi una emozione che non sia accompagnata dal pensiero dividente del Conscio. Un malato molto grave la cui mente fosse inabissata, ipoteticamente, nell’Inconscio più profondo non sarebbe più in grado di pensare  ma solo di sentire emozioni.

Una situazione simile ma paradossalmente antitetica, un vertice umano sublime contrapposto alla caduta abissale nel disumano, è quella  in cui si sono trovati nella meditazione alcuni mistici e che hanno tentato poi di descrivere in parole, peraltro sempre  in modo inadeguato: una situazione in cui l’emozione è assolutamente prevalente, in cui l’insieme si dilata fino a cancellare ogni distinzione, tendendo all’infinito e in cui tutto diventa tutto, in una sensazione di pienezza dell’essere e di unità con l’Essere.  Secondo Màtte Blanco, la spinta  verso l’Insieme assoluto, la tendenza verso l’Infinito, il desiderio di descriverlo, di racchiuderlo in un concetto è  stato ed è sempre presente in ogni uomo. Però, scrive Mattè Blanco che  i nostri sforzi di comprendere la  realtà nei termini della logica classica condurranno sempre a una strada senza fine: infatti il concetto di infinito, studiato e concettualizzato dai matematici di tutti i tempi, perfino definito da un segno, sarebbe l’espressione degli sforzi disperati della logica classica  di comprendere l’indivisibile.

Non sarebbe  la ragione, dunque, come ha scritto Thellung, ma  sarebbe l’emozione quella modalità  che ci offre la possibilità  di inoltrarci verso la partecipazione alla vita divina.

  
 
Mons. Pedro Casaldàliga, vescovo di Saõ Felix (Brasile) mi scrive:

Querido Antonio, tenho recebido o seu livro "Una Saldissima Fede Incerta" e vejo o seu itinerário cristão anunciando  "un Dio credibile". Você já deu muito e tem ainda muito a dar com essa fé tão incerta como sólida. O problema, dizem nossos teólogos da libertação, não é a dúvida mas o medo. Você diz muito bem: "Dubito ergo credo".....   
Seremos, em todo o caso, companheiros de caminho, sempre na procura do Reino.  
Receba um forte abraço na Paz subversiva do Evangelho.            


Padre Gian Paolo Salvini s.j. mi scrive:

Ho apprezzato soprattutto lo sforzo di dire con linguaggio nuovo alcune verità di fede, e soprattutto il pathos che essa comporta, in un mondo che ha bisogno di far parlare il cuore.

Lo scrittore Enrico Macioci mi scrive:

Ho appena finito di leggere il tuo libro, che ho trovato per certi versi stupefacente; soprattutto mi ha colpito la tua capacità, davvero straordinaria, di dialogare incessantemente con te stesso, coi tuoi dubbi, le tue ossessioni, con la tua enorme curiosità. Ci sono poi alle volte delle frasi fulminanti che ho sottolineato e che mi varranno come vere e proprie massime di vita. Nel complesso trovo la tua architettura di pensiero non soltanto assai valida, ma anche molto "leggera", mai opprimente; anche se il tuo discorso sul nulla (il mio più grande incubo) ti confesso che mi angoscia alquanto.

Rinnovandoti i complimenti per le tue doti di pensatore e di scrittore - una prosa chiara, limpida, perfetta e che segue nella maniera migliore lo snodarsi assai complesso dell'argomentare - ti saluto. 

la poetessa Mariella Teti Barghiglioni mi scrive:

A proposito di fede

Incerta certamente, tramandata,
a lungo ripensata, rivissuta,
distesa nella mente come inciampo
nascosta nei dedali del cuore
legata a fili trasparenti, lievi,
chiede suoi spazi,
pone suoi quesiti,
lascia larghe voragini di dubbi.

 
 
Giovanni Dazzi mi scrive: 

Ho terminato di leggere il bellissimo testo "Una saldissima fede incerta". Ho apprezzato molto la sintesi e la chiarezza con cui sono stati trattati vari argomenti; ho trovato particolarmente illuminanti le parti riguardanti il ritualismo, la liturgia, i miracoli, le guarigioni e l'inferno.

Il libro mi ha fatto riflettere anche sull'importanza e sul valore della Comunità, che nella nostra società individualista rischiamo di perdere (io compreso). Ho la tendenza a svalutare alcune forme di preghiera e alcune pratiche devozionali (ad esempio le processioni), e il libro mi ha aiutato a riconsiderare l'importanza delle cose fatte insieme, al di là del valore che queste cose abbiano in sé.

I Vangeli non vanno contro al buon senso, siamo noi che fatichiamo a capirli a causa della nostra distanza storica e culturale. Testi come questo ci aiutano a progredire sulla strada della comprensione sempre più profonda della Buona Notizia e ad assaporarne in modo più pieno il suo messaggio gioioso. Grazie.
                                                                                                    25 maggio 2011

Piergiorgio Bortolotti mi scrive:

ho terminato di leggere il tuo libro, Una saldissima fede incerta. Ti dico subito che è uno di quei libri, e non mi succede di frequente, che mi ha preso dall’inizio alla fine. Insomma l’ho divorato con interesse, trovandomi d’accordo su molte questioni che tu sai affrontare in modo convincente. Direi che il linguaggio con il quale affronti molti argomenti, è un linguaggio, per quanto capisco, capace di parlare a molta gente in questo nostro tempo. Naturalmente io non possiedo la preparazione che immagino invece possieda tu, sentendo come ti esprimi, ma questo non mi ha impedito di seguirti dall’inizio alla fine con tanto interesse. Leggendo, sorgevano dentro me anche continui interrogativi. Probabilmente la mia è una fede semplice, ma non per questo priva di dubbi e di domande. Credo, senza saperlo definire, che Dio è Amore e che possegga la genialità e la fantasia che è propria dell’amore, di cui noi, nel migliore dei casi, abbiamo qualche esperienza piuttosto limitata; comunque del tutto parziale e fortemente contrassegnata da quei limiti che sono propri della nostra finitezza umana. Ora, con un’immagine se vuoi un po’ banale, pensando a questo, mi è capitato di immaginare qualche volta che noi uomini ci possiamo paragonare a delle limature di ferro che cadono a terra quando si lavora con una lima. Cadendo si frammischiano ad elementi spuri che ferro non sono. Però se li si avvicina ad una calamita, ecco che subito da quella sono attratti inesorabilmente, privi di ogni sudiceria che possa averli contaminati. Questo per dire come immagino possa funzionare, per analogia, il nostro rapporto con Dio; o se vuoi la sua azione nei nostri confronti. Come avvenga poi che ci si possa anche perdere nel corso della vita e questa possa risolversi, almeno teoricamente, nel nulla, io non so dire, ma certo resta un’ipotesi evangelicamente fondata. L’esempio che riporti, degli spermatozoi, è un esempio calzante, che però a me fa sorgere non pochi interrogativi. MI domando, senza voler giudicare di nessuno in concreto, è ben evidente, che cosa ne possa essere di tante persone che giudicando dall’ esterno, sembrerebbero appartenere a quelle realtà vitali che paiono morte già in questa vita. Non parlo di grandi mascalzoni che paiono possedere almeno la facoltà di scegliere, ma di quelle innumerevoli persone che sono più vittime dei propri errori, delle circostanze, del contesto in cui sono nate ecc.. Insomma parlo di tanti che ho avuto per amici nel corso della vita, e che l’hanno terminata in modo tragico e anzitempo a causa della droga, del bere ecc. ; oppure che sono state segnate dalla sofferenza psichica. Insomma persone delle quali è difficile sostenere che possano aver scelto liberamente la loro sorte. Ma si potrebbero fare tanti altri esempi. Io ritengo che mancherebbe qualcosa a Dio se queste vite non realizzassero la loro pienezza. E anche a me, così, immagino, mancherebbe qualcosa, avendo comunque da loro ricevuto molto. Per questo e per come mi conosco incoerente e tante volte incapace di aprirmi con la fiducia e la generosità dovuta alle offerte vitali che mi sono offerte, forse un po’ ingenuamente e anche, perché no?, forse in modo interessato, sono devoto del così detto buon ladrone, che ha saputo “rubare” il paradiso all’ultimo momento. Battute a parte, io credo, e questo è quanto mi pare di poter apprendere dal vangelo, da parte di Dio ci sia offerta fino all’ultimo istante la possibilità di dirgli un sì, o per tornare all’immagine della calamita, permettergli di attrarci a lui, semplicemente lasciandoci da lui catturare. Vorrei concludere questo mio breve scambio di opinioni, con un’ultima immagine che traggo da miei appunti di diario. Dunque scrivevo alcuni anni fa: se posso usare un esempio banale per spiegare il pensiero che mi preme in cuore, immaginando la vita in Dio oltre la morte come un immenso parco dove tutti si sta assisi a tavola per essere serviti da Dio stesso, io, nella speranza viva di averne parte, amo pensare di essere collocato nel punto più esterno e marginale rispetto ad un ipotetico centro e da lì dedicarmi a fare un’unica cosa: lodare senza fine la misericordia immensa che Dio mi ha sempre mostrato. Ecco però che come tento di immaginare tutto questo, subito un pensiero, una luce di dentro mi avverte: no, rispetto al mio cuore, nessuno è posto alla periferia, al margine, ma tutti al centro. Io sono Dio, non una creatura come te. Questo risponde anche alla domanda sulla preghiera. Io non so se Qualcuno ascolta o se quando prego col cuore mi risponde la fantasia, però provo gioia e pace interiore. Non sempre, ma quando accade, mi sento interiormente rasserenato e pronto a riprendere il cammino.

E questo è tutto quello che posso dirti al presente, a tamburo battente, sollecitato dalla lettura del tuo libro, che comunque rimarrà fra i miei preferiti e al quale, sono certo, ricorrerò ancora in futuro, per trarne giovamento e ispirazione.

 

Il mio esuberante amico Natalino mi scrive:

Sto leggendo il tuo ultimo capolavoro, anche se a dire il vero le prime 50 pag. le ho trovate di un tosto per me ma non incomprensibili. Ho dovuto leggere e rileggere alcuni concetti più per alcuni termini per i quali mi necessitava un vocabolario, ma ce l'ho fatta e vado avanti quasi con la sensazione di volare. Purtroppo per le pagine del libro, è diventato una mappa di frecce, sottolineature e segni comprensibili soltanto da me.

Sapere di avere gli stessi "cromosomi" di Dio, "cosciente di sè (persona) è per me una ubriacatura di vita che quasi mi stordisce. Credimi, in alcuni momenti ho bisogno di chiudere le pagine lette,  provare a riprendermi per poi raccontarle seppure nella mia incapacità espressiva. Deducendo  poi che Gesù è mio fratello carnale mi fa impazzire dalla felicità, e ormai neanche tu potresti dimostrarmi una cosa diversa.

Gli accostamenti alle citazioni del vangelo sono per me di una bellezza infinita. Spiegarti il tutto in poche parole è impossibile, dovrei avere la tua capacità, quindi mi godo quello che ricevo e cerco per quanto  possibile di divulgare tanta gioia.

 

DUBITO ERGO CREDO:
LA “FEDE INCERTA” DI ANTONIO THELLUNG

ROMA-ADISTA.

“Tu che cosa credi?”. Per rispondere alla domanda di un suo interlocutore virtuale, Antonio Thellung trasferisce le pagine del suo itinerario esistenziale nei capitoli di questo libro (Una saldissima fede incerta Edizioni Paoline, pp. 316, € 16). La domanda lo insegue da una vita, e da una vita Thellung, cercando una risposta semplice ad una domanda ardita, ha sprigionato dall’archivio dei suoi pensieri “una reazione a catena, che da piccole esplosioni iniziali somiglia sempre più a fantasmagorici giochi d’artificio”. Come i mestieri più disparati della sua vita (pilota d’auto da corsa, pittore, scrittore, assistente di malati terminali, fondatore di comunità). Come i suoi pensieri quotidiani, le domande, le certezze e le incertezze, le inquietudini e le apparenti sicurezze: appunto, giochi d’artificio. Nelle pagine di questo libro Thellung scandaglia il suo percorso, gli attriti con il suo credo e la sua fede man mano che si confronta con tutto il sistema della teologia tradizionale che ha per “oggetto” Dio, la sua incarnazione in Gesù e la sua “presenza” in ogni umana creatura.

Le animate pagine di Thellung, in certi passaggi troppo cariche di argomentazioni e deduzioni non del tutto e non sempre consequenziali, hanno tuttavia il potere di animare “inerti” professioni di fede e quotidiane recite di Credo, oltreché accendere utili dibattiti.

A Thellung abbiamo rivolto qualche domanda sul suo libro.

Un libro sulla fede può avere un concreto interesse d’attualità?

Credo sia urgente interrogarsi su che cosa si può realmente credere oggi, perché le abbondantissime violenze quotidiane dipendono, almeno in gran parte, dal persistere di tante, troppe immagini divine violente, che dividono anziché pacificare. Per questo è così importante rivisitare le immagini e i concetti divini (o i punti di riferimento) tuttora proposti.

Ma non se n’è già parlato, e da sempre?

Forse. Però credo che ciascuno sia tenuto a render conto dei risultati della propria ricerca. Come dato iniziale, per esempio, a me pare che abitualmente si usino i termini “credere” e “avere fede” come sinonimi, mentre tra loro c’è una differenza sostanziale: fede è sentirsi attratti irresistibilmente da qualcosa, mentre credere appartiene alla sfera razionale. I due aspetti possono coincidere, ma possono anche entrare in contraddizione. Cioè si può credere senza aver fede, o aver fede con molti dubbi su che cosa credere. Per esempio, dogmatismi e anatemi fanno parte del credere (o non credere), mentre di solito incidono pochissimo sul versante fede. Tenerne conto può aiutare a capire meglio il perché di tante contraddizioni presenti nella storia del cristianesimo.

Per uscire dal generico, quali tipi d’immagine divina ti sembrano proponibili oggi?

Dio esiste, Dio non esiste, si sente ripetere frequentemente in vari modi, e tuttavia senza la preoccupazione di precisarne i contorni. Si va dalle immagini più indefinite fino a quelle più antropomorfiche. Le differenze convivono anche tra i frequentatori abituali delle parrocchie, e basta fare qualche domanda per accorgersene. Per questo mi pare necessario identificare qualche punto preciso.

Innanzi tutto, mi dico, se Dio esiste, il primo a saperlo sarà lui. Perciò la prima caratteristica divina mi pare sia la coscienza di essere se stesso. Il che significa che la differenza tra un credente e un ateo sta tra credere o non credere che oltre le nostre coscienze limitate e relative esista anche una coscienza a livello assoluto (trascendente). E poi, se si prende sul serio che Dio sia tutto in tutti (come dice san Paolo) allora mi sembra che l’unico rapporto immaginabile sia di totale immersione in lui, nel suo insieme.

E come sarebbero i rapporti tra gli esseri umani e questo Dio d’insieme?

In senso concettuale, direi equivalenti a quelli tra assoluto e relativo, che sono contrari ma non contrapposti. Anzi, sono contrari e complementari allo stesso tempo, perché non si possono separare. La dispersione dei frammenti, insomma, resta pur sempre compresa nell’unità del grande insieme.

Per fare un esempio d’attualità, immaginiamo un grande computer formato dall’unità centrale e da innumerevoli operatori terminali, i quali agiscono tutti con gli stessi programmi software. Mentre però ciascun terminale vive e lavora nel proprio individualismo, l’unità centrale li conosce personalmente tutti, rielaborandone i dati nella memoria d’insieme. Come dire, in sostanza, che la realtà dell’insieme ha due interfacce diverse e complementari: da un lato quella umana, frazionata, contraddittoria, temporanea (e quindi instabile); e dall’altro lato quella divina, soltanto vagamente intuibile per noi, ma espressione permanente di tutta la realtà nel suo insieme. Penso che gli esseri umani siano da considerare porzioni temporanee di Dio che da punti di vista limitati vivono tutte le esperienze possibili, belle o brutte che siano; mentre dal suo punto di vista Dio dice: «Sono sempre io». Noi non ce ne accorgiamo perché abbiamo i paraocchi, ma i mistici riescono a intuirlo e a vivere di conseguenza.

Ma quali conseguenze a giudicare dall’abbondanza di conflitti a livello planetario?

Non dimentichiamo che ci sono anche tanti avvenimenti positivi e tante persone capaci di uscire dal loro egocentrismo. Tuttavia, tendenzialmente permane purtroppo una mentalità dualistica che non tiene conto dell’esistenza di un unico grande insieme unitario. Una mentalità che tende a dividere tra bene e male, e quindi tra buoni e cattivi. E invece la divisione è tra bene assoluto e bene relativo, che può essere contraddittorio e ambiguo finché si vuole, ma appartiene pur sempre all’unica realtà. L’idea che il bene debba combattere contro il male è un colossale equivoco che ha prodotto gravi danni. Quanto male è stato fatto in nome del bene? Le peggiori atrocità della storia sono state compiute in buona fede. In un cristianesimo dell’insieme il male non va sconfitto, umiliato, distrutto, ucciso, ma trasformato. È difficile? Forse, ma è l’unica via possibile.

E la Chiesa che parte ha in tutto questo?

Non si può andare da soli verso l’integrazione con l’insieme. Per questo è indispensabile la comunità ecclesiale. La Chiesa di Gesù Cristo è una barca sulla quale navigano insieme ortodossi ed eretici, prepotenti e mansueti, perseguitati e persecutori, grano e zizzania. È comunione dei consensi e dei dissensi, dell’ortodossia e delle eresie. L’importante, soprattutto, è celebrare insieme. Dove si trova un altro ambiente che offre una liturgia (la messa) durante la quale, al momento della comunione, persone anche diversissime tra loro vanno a fare tutti insieme qualcosa che nessuno di loro capisce? Personalmente, trovo sia un’emblematica spinta verso l’integrazione con il divino. Aggiungo inoltre che un cristianesimo dell’insieme, secondo me, può ricuperare tutti i più importanti concetti teologici tradizionali, riscoprendone il significato in modo comprensibile oggi.

Ma tu credi veramente nelle ipotesi che hai descritto in questo libro?

Sono il primo a dire che le descrizioni sono discutibili, e anche probabilmente contestabili. Ma i significati li sento molto convincenti.

(Il libro di Thellung sarà presentato da Maria Caterina Jacobelli e Marco Guzzi coordinati da Elisa Costanzo, presente l’Autore, presso il Centro Russia Ecumenica – Borgo Pio, 141 Roma – mercoledì 8 giugno alle ore 18,30).

Adista Notizie n. 41 del 28 maggio 2011

 

Da Koinonia-online.it

Tu in che cosa credi? Da questa domanda che Antonio Thellung ha posto a un giovane amico e interlocutore sono nate queste pagine in cui l'Autore non fa domande, ma risponde alle domande del suo giovane interlocutore:
Perché credere e in quale Dio credere?
È lecito dubitare?
E se il materialismo fosse più assurdo delle più assurde ipotesi divine?
E la Chiesa?
Il nostro è un tempo difficile, ma non sempre il difficile corrisponde all'assenza di speranza, di visione positiva; questo tempo può anche essere un'opportunità straordinaria per rielaborare un pensiero su Dio che superi i luoghi comuni e rinnovi i significati autentici della fede.
Oggi non si può più credere a certe immagini teologiche obsolete; e tuttavia l'ateismo non appare meno assurdo.
Il libro, pur toccando con rigore temi profondi e complessi, è scritto con grande semplicità e intende dar voce alla fatica di credere e alla necessità ineludibile di cercare sempre e di dubitare, perché - dice l'Autore - dubito, quindi credo.

Questo libro di grande attualità si rivolge a persone che si interrogano sul senso della vita e cercano itinerari di riflessione non scontati e modelli di riferimento coerenti con una visione del mondo e della realtà in continuo cambiamento.
Come è bene espresso nel sottotitolo del libro, l'Autore evidenzia in queste pagine la fatica, ma anche la necessità di cercare sempre; infatti la saldezza della fede non si misura dall'assenza di dubbi o di interrogativi che invece sono la linfa di una fede viva e aperta alla novità di Dio.

La sensazione che avverto è quella di non trovarmi
di fronte a un interlocutore chiamato Dio,
ma di essere immerso in lui.
E aggiungerei che se provo a immaginarmelo "di fronte"
sento affiorare lo scetticismo,
mentre sentirmi immerso è affascinante. (L'Autore)

 

INDICE DEL VOLUME

Guardando al futuro

..… per il mio inguaribile viziaccio di fare domande, da qualche tempo non manco di chiedere ai miei interlocutori: « Tu in che cosa credi? ». Le risposte sono di solito vaghe o, per meglio dire, non risposte. Sarebbe interessante analizzarle, ma quel che più mi colpisce è sentirmi regolarmente girare la stessa domanda: « E tu in che cosa credi? ». Direi che di solito appare scarsa la voglia di approfondire, ma di tanto in tanto qualcuno si mostra interessato. In particolare, un mio recente giovane amico ha insistito a lungo per costringermi a rispondere, e poi mi ha chiesto di mettergli per scritto la sintesi di quanto condiviso a voce. Così ho cominciato a mandargli qualche considerazione via e-mail. Non l’avessi mai fatto! Le sue puntuali osservazioni mi hanno costretto a dilatare il discorso, fino a tutto quel che segue…..

Parte prima
QUALCHE PRELIMINARE

Quel che spero di credere

Alla ricerca di senso. Le difficoltà di capire se stessi. Dialogo tra un vecchio ragazzo e un giovane bisnonno. Non sprecare il presente. Quali saranno i lineamenti di un Dio credibile?

Dubito ergo credo

Differenze sostanziali tra credere e aver fede. Vivere la fede o ragionarci su? Come l’amore: se ne può parlare, ma viverlo è un’altra cosa. Il dubbio come garanzia.

Il limite divino

Dio c’è, Dio non c’è: ma quale Dio? Il limite minimo perché la parola Dio abbia senso. Se Dio esiste, il primo a saperlo sarà lui. Solo singole coscienze individuali, oppure anche una coscienza d’insieme?

Da un assurdo…

Via le immagini diaboliche per lasciare spazio a quelle credibili. Da un Dio antropomorfico, maldestro e masochista, al Dio dei significati. Dio permette il male: uno dei più forti argomenti a favore dell’ateismo.

… All’altro

Quali sono i confini dell’assurdo? Solo il fantastico ha possibilità di essere vero. Il materialismo è più assurdo delle più assurde ipotesi divine. Appellarsi all’assurdo non è un valido metro di misura.

Parte seconda
L’INSIEME E I COMPLEMENTARI

Cristianesimo secondo chi?

L’insieme tra assoluto e relativo. Un senso nuovo della creazione. I contrari complementari. Cristianesimo secondo chi? L’unica stoffa dell’universo. I quark come cromosomi divini. Un insieme personale.

Potenzialità divina

L’evoluzionismo divino. Gesù figlio, archetipo dell’uomo in pienezza. E noi? Una stessa sostanza: la differenza è di tipo spazio-temporale. Chi può capire capisca: una comprensione esistenziale.

La percezione dell’insieme

Un computer con innumerevoli terminali. La realtà dell’insieme con due interfacce: l’una divina, l’altra umana. Porzioni temporanee di Dio. Dal suo punto di vista Dio dice: « Sono sempre io.

Il percorso umano

Una consapevolezza inconscia. Neppure Dio conosce il futuro. La provvidenza lavora in anticipo. La dispersione dei frammenti e l’unità del grande insieme. Attenti a non perdersi l’occasione.

Tra Dio e il mondo

La schizofrenia del mondo. Se foste del mondo… Senza di me… il nulla. Lascio l’individualità per trasferirmi nell’insieme. Tutt’uno tra creazione e redenzione. Un rapporto dinamico tra l’insieme e i particolari.

Parte terza
LA NATURALE TENDENZA

Dalla parte sbagliata

Da tolemaico a relativistico. La vita limitata: una contraddizione in termini. Fusione di consapevolezza? Tanti labirinti, tutti con la stessa uscita. L’equivoco del bene che combatte il male.

Il nostro male quotidiano

L’uomo: il massimo dell’imperfezione? La diabolica razionalità. Nessuno è buono, se non Dio solo. Nutrirsi di sofferenza. Solo l’insieme vale. Scadrà tutto nell’indifferenziato? La comunione dei frammenti.

Chi mangia di questo pane…

Nessuno riconosce un figlio se non gli è padre, nessuno riconosce suo padre se non gli è figlio. L’adozione reciproca. Se non c’è vita nessuno può farci nulla. Metabolizzare i propri cromosomi.

Io sono, voi siete

Io sono, io sono, io sono… Lui è, o tutti noi siamo? Il ritorno di Cristo. Lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera: una metafora per indicare il risveglio dei cromosomi.

Ripensando al Risorto

Un corpo fisico che passa attraverso i muri. Riconoscimento relazionale e non visivo. Lazzaro se la prende con Gesù. Ripensare la risurrezione. Prima si risuscita poi si muore. La piena fioritura di questa vita.

Parte quarta
IL DESTINO DELL’UOMO

Dentro la Trinità

Un concerto a sei mani: tre sono le nostre. Una realtà unitaria e plurale proprio come il grande insieme. Ciascuno giudica se stesso. Chi crede non entra in crisi, ma passa dalla morte alla vita.

L’individuo deve morire

Tutti alla pari: non c’è bisogno di grandi doti. Decadere fino all’inesistenza o entrare a far parte della coscienza divina? Sbocco naturale, senza bisogno di un disegno intelligente. Il teorema divino è dimostrato.

Tra la morte e la vita

Il minimo per la trasformazione. Dall’individuo all’insieme. L’alternativa tra vita e nulla. Un originale salto di qualità. Dio sperimenta su se stesso per essere Dio. La grazia: i cromosomi orientati verso l’insieme.

La presenza diabolica

Il diavolo temporaneo. Negativo ma non del tutto. La frantumazione dell’insieme. Combattere il male? Le peggiori atrocità e la buona fede. Un Dio capace di ricondurre il male al bene.

La verità teologico-sacramentale

Una distesa piena di luce e di foschia. Porzioni di verità. La verità teologico-sacramentale dei Vangeli. Cristo si fa presente per chi vuole incontrarlo. A ciascuno secondo la propria fede.

Parte quinta
IL CRISTIANESIMO DELL’INSIEME

Perché la Chiesa?

Una palestra attrezzata con strumenti ascetici, mistici, teologici. Un insieme tra diversi. Liturgia formale di valore sostanziale. Tutti insieme a fare qualcosa che nessuno capisce.

Infallibilità e coscienza

Il rapporto tra Chiesa e verità. Obbedienza significa ascolto. Sulla stessa barca ortodossi ed eretici, prepotenti e mansueti, perseguitati e persecutori, grano e zizzania. La coscienza: il più severo dei tiranni.

Preghiera e perdono

Ambiguità e pregiudizi. Ci sarà qualcuno che ascolta? Quando preghi, Dio pone l’orecchio sul tuo cuore. Le esperienze ascetiche dei pellegrinaggi. Improvvise vampate di preghiera. Il perdono a priori.

Verso l’insieme

L’insieme è trasformante. Obiettivi e percorsi equivalenti. Affidarsi al caso o gestire la propria vita? Vai e maturerai per strada. L’Accademia del Buon Litigio. Nessuno verrà abbandonato.

Da qui all’eternità

Difendere l’identità: una tentazione diabolica. Compiere i gesti di Cristo senza neppure nominarlo. La salvezza è per tutti, ma chi se ne accorge deve conquistarsela sul campo. Insieme vuol dire eternità.

In conclusione
L’IPOTESI IN SINTESI

A me basta così

Descrizioni opinabili e significati convincenti. Il rapporto di Gesù con l’insieme. Una scelta fra esistere o non esistere. Dio e il suo contrario. La genialità divina: ricomporsi nell’insieme.

Oltre il silenzio

Uno stato d’animo innamorato dell’incredibile. Immersi in Dio. L’esperienza vissuta non sarà persa. La voglia d’insieme. Davanti al mistero con fede e speranza.

 

Alcuni commenti

Una visione nuova, originale, stimolante di Dio e del cristianesimo, che mi sento di condividere e che tutti dovrebbero leggere. E' una teoria magnifica, straordinaria, quella dell'insieme, con le sue conseguenze, le sue spiegazioni. E' una visione dell'universo coinvolgente, originale. (Vincenzo Pezzino).

Innanzi tutto trovo il libro decisamente piacevole da leggere. Qualche volta è un po' difficile, soprattutto quando tratta argomenti filosofici e usa termini che non sono di uso quotidiano (per me), ma devo dire che ci sono esempi appropriati e molto immediati, quindi la comprensione è facilitata. Traspare anche la grande voglia dell'autore di guardarsi attorno, di conoscere e di approfondire. Le tesi dei vari teologi che cita fanno comprendere che non si accontenta di quel che viene detto in generale, ma va a scavare fino in fondo per farsi un'idea personale. E da quel che scrive questa idea emerge. Si coglie la sensazione che sia il lavoro di una vita intera. Ed è questo che interroga, che costringe a domandarsi in che cosa si vuole, o si può credere. (Elena Bonelli)

Un'ammirazione stupefatta per la chiarezza e la semplicità nel trasmettere concetti, la cui comprensione mette normalmente in stallo le menti/coscenze più feconde. (Marco Palladini)





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