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- Intervista rilasciata a ADISTA n. 81 del 26/11/2005
Un "Cristo clonato" per riaccendere la speranza
Antonio Thellung torna a provocare. Dopo i suoi libri sulla "morale scompaginata" o, l'ultimo, sulla speranza della "conversione dei buoni", propone in questi giorni, con l'editore Gribaudi (Nel nome di un Cristo clonato, pagg. 154, euro 10) un "racconto simbolico fantareligioso", denso di riferimenti evangelici che si intrecciano a simboliche vicende d'attualità e a situazioni come minimo paradossali. Una giovane giornalista riceve l'incarico di scrivere un articolo su un volontario trovato inchiodato alla porta di casa nel Darfur. Nella sua ricerca finisce per incontrare strani personaggi che, attraverso rocambolesche imprese, sono riusciti, con uno stratagemma davvero curioso, a clonare Cristo, per farsi dire da lui come uscire dalle drammatiche contraddizioni del nostro tempo. Alla fine l'unico sopravvissuto di quella singolare équipe si accorge che un Cristo clonato non serve a nulla. E tuttavia è proprio nel rendersene conto che trova la sua strada, condividendola con la protagonista, che parte verso l'ignoto: non sa dove andare, ma ha deciso di andarci.
Racconto tutto di fantasia, volutamente in contrasto con le storie maledette di cinema, tv e letteratura, si svolge attraverso un intrigo tenero e delicato, che riesce a suscitare emozioni e curiosità. Specie quando propone soluzioni paradossali a problemi irrisolvibili, tipo il misterioso strumento dallo strano nome di "riflessometro", o guardare al caro-petrolio come ancora di salvezza, o ipotizzare che il consumismo verrà sconfitto quando i poveri aumenteranno in tale dismisura da eliminare il popolo dei consumatori.
Thellung, con questo nuovo libro sembri alzare il livello della provocazione, proponendo addirittura un "Cristo clonato". Che succede?
Succede che vedo ogni giorno la speranza ripetutamente presa a schiaffi, mentre nell'opinione pubblica continua a crescere l'inquietudine. Immagini e linguaggi d'un tempo non fanno più presa, soprattutto fra i giovani che accorrono ai raduni perché hanno bisogno di aggregazione e di un leader (come dimostrano i Papa-boys), ma che si sentono svincolati da indicazioni teologico/morali tradizionali. L'imperante New Age propone di fatto una spiritualità senza fede, pericolosa perché rifiuta precisi orientamenti e solidi punti di riferimento. La discesa in campo degli atei devoti, poi, indica senza equivoci verso quale deriva stia scivolando la realtà ecclesiastica.
Il tuo libro forse sarà bene accolto dai tuoi già affezionati lettori, ma pensi che il genere "fantareligioso" possa creare interesse presso il più generico pubblico cattolico?
Non lo so ancora, il libro è appena arrivato nelle librerie. Prima di mandarlo all'editore ho voluto farlo leggere a persone di variegate tendenze e sensibilità. Ho avuto riscontri lusinghieri: qualcuno dice di essere entrato in crisi dopo averlo letto, il che è il massimo che un autore possa sperare, ma altri hanno manifestato critiche e perplessità. So perfettamente che talune immagini provocatorie possono lasciare perplessi, ma il cammino di conversione mi sembra valido, attuale, pieno di serenità e di speranza. O almeno questo ho provato a esprimere. Nel prevalente clima negativo odierno, credo fondamentale contribuire a formare opinione pubblica positiva. Chiunque faccia vivere Cristo dentro di sé per manifestarlo agli altri è un suo clone, e come tale si comporta.
Vita Pastorale del marzo 2007 di Piersandro Vanzan
Antonio Thellung prende spunto per il suo Nel nome di un Cristo clonato (Gribaudi 2005, Milano, pp. 160, € 10) dal gran parlare di clonazione per inventare un racconto che ha il sapore di una parabola. Attraverso un intrigo tenero e delicato - «racconto simbolico fantareligioso», recita il sottotitolo - lascia trapelare il senso cristiano della vita e dà una mano a quanti cercano una speranza non vana in mezzo all'effimero di un postmoderno in salsa New Age. Basterà riferirne la trama per intuire la portata evangelica di questo testo e invogliare a leggerlo.
La giornalista romana Teresa deve scrivere un pezzo su Tommaso, un laico in missione di pace - anch' egli romano - che, volontario in Darfur per cercare di aiutare quegli infelici, era finito inchiodato alla porta della sua baracca. Fortunosamente salvato e riportato in patria, ormai convalescente è ricoverato nel reparto di psichiatria: forse è schizofrenico - «certe volte pare che si creda Gesù Cristo» (p. 44) -; parla poco, ma dice cose toccanti. Teresa ne è colpita e, per approfondire il caso, va a trovare la mamma di Tommaso che via via le confida di essersi resa disponibile, trent'anni prima, a una gestazione per conto terzi: una fecondazione eterologa. Ignora di chi sia figlio Tommaso, ma aggiunge che un tempo intorno al ragazzo giravano molte persone importanti, poi tutte morte. Solo un certo padre Battista, domenicano dell' Angelicum di Roma, potrebbe essere ancora vivo.
Proseguendo le sue ricerche con le informazioni ricevute all' Angelicum, Teresa finisce in uno scantinato dove un imbonitore propone tesi conturbanti ma positive sulle catastrofi presenti e future. Alla fine della conferenza Teresa gli parla a quattr'occhi e capisce d'essere in presenza di padre Battista (che ora si fa chiamare Lazzaro). Perciò, dando per scontato che lui sappia molto su quella fecondazione eterologa, gli pone alcune domande indiscrete.
Risultato: è cacciata via bruscamente. Ma Teresa non demorde e, la sera dopo, ritorna da lui e finalmente si apre un dialogo, peraltro evasivo. Lazzaro infatti butta là paradossi e ironie sulla natura di Cristo, tipo: «Se lo Spirito ci ha messo 23 cromosomi, e gli altri 23 sono rimasti quelli di Maria, allora si è trattato di fecondazione eterologa. Se invece i 46 cromosomi erano tutti dello Spirito Santo, allora si è trattato di clonazione» (p. 87). Teresa scoppia a ridere, ma l'ipotesi è affascinante. Lazzaro, che sente vicina la fine e scaricherebbe volentieri a qualcuno il segreto che, tremendo e fascinoso, lo schiaccia da trent'anni, vede in quella ragazza la persona adatta, e sospetta di nuovo che a soffiargliela tra i piedi fosse «il caso, ossia lo Spirito Santo in incognito» (p. 88). E così l'indomani, quando si rivedono, le svela che trent'anni prima erano riusciti a clonare Gesù Cristo. E quando Teresa gli chiede scettica dove avessero trovato i tessuti di Gesù, dai quali estrarre i cromosomi, Lazzaro le consegna il diario di un prelato.
Sul diario Teresa legge di una reliquia custodita a Calcata (Vt), considerata tradizionalmente il prepuzio di Gesù e misteriosamente scomparsa intorno al 1970. Su questo fatto, autentico e storicamente documentato, il racconto procede descrivendo le ricerche via Internet di Teresa, che le fanno ricostruire la provenienza: incoronazione di Carlo Magno, sacco di Roma, e quant'altro. Ora tutto è più chiaro e Teresa, ritornata a trovare la madre di Tommaso, apprende che questi - dimesso dal reparto psichiatrico - è ripartito per altre missioni di pace. Torna quindi da Lazzaro e apprende che Tommaso non sa di essere un clone di Gesù, ma evidentemente lo vive appieno.
E così il testimone passa dall'ormai vecchio Lazzaro alla giovane Teresa, né l'effetto tarda a manifestarsi. Lei ha un corteggiatore, sicuro e in gamba: un benestante che le prospetta un tranquillo futuro borghese. Ma, durante un pranzo insieme, Teresa confronta le scelte di Tommaso e quelle che le vengono offerte e matura un'opzione sconcertante. Quella vita comoda, piccolo borghese, non le interessa più e, raggiunto Lazzaro dopo una notte in giro per la città, in un dialogo prevalentemente silenzioso, non ha più dubbi. La mattina lascia tutto e va a raggiungere Tommaso, per seguire anche lei Gesù Cristo e il paradosso del Vangelo.
In conclusione, una metafora originale per sottolineare che non c'è alcun bisogno di clonare Gesù Cristo perché, chiunque lo viva dentro di sé, è di fatto un suo clone e, inevitabilmente, lo manifesta agli altri.
Maria Luisa Alberini mi scrive:
La storia, attraverso l’analisi attenta dei mali odierni, molto condivisibile, originale e pungente anche nel lucido catastrofismo, da un lato scuote ed invita ad incontrare il nostro male relegato nella fretta e nel disimpegno spirituale, riscoprendo le ansie adolescenziali come sano fermento e non come superata follia. Dall’altro scopre la via, in fondo semplice in fondo facile, non comoda ma alla portata di tutti (gli uomini di buona volontà). Percorriamo la strada di Cristo, non maestro di legge, che non chiede di essere interpretato e troppo studiato, ma solo amato rispondendo al suo irresistibile amore. Una via non precostituita, ma da creare all’istante, tra i mille dubbi, mai certi e mai sazi, ma sempre innamorati di Lui. Credo sia un buon messaggio, soprattutto per i giovani, sarà più difficile per i “buoni” che non pensano di doversi convertire. Sono d’accordo sulla necessità del superamento della presunta convinzione dei giusti pieni di buone intenzione, anche se molto dubito sulla buona fede degli adulti. Cordialmente saluto e ringrazio per la possibilità che questi scritti (scoperti per caso su internet) mi offrono per un confronto, e mi confortano nel sapere che non tutto il mondo è omologato. Grazie di cuore.
Elena mi scrive:
ho finito di leggere il tuo libro pochi minuti fa, ti scrivo di getto buttandoti addosso le mie reazioni “a caldo”. Ne sono rimasta scombussolata (è la parola più appropriata che mi viene in mente). All’inizio ero quasi un po’ delusa. Nella prima parte il racconto si svolge un po’ lentamente, non mi sembrava di trovarti nel libro, quasi non me ne sentivo “stuzzicata”. Poi, mano a mano che la lettura proseguiva, mi sono sentita sempre più coinvolta, più vicina ai vari personaggi che, devo ammettere, mi hanno disorientata. Alcuni interrogativi, alcune provocazioni sono veramente “massi.”, e come tali non possono lasciare indifferenti. Se ti colpisce un sassolino, puoi anche non accorgertene, ma se ti viene addosso un masso lo senti, eccome... La parte finale mi ha commosso. Perdona la mia presunzione, ma nelle ultime pagine io avrei sostituito il nome Teresa con quello di Elena. Ho sentito la tua voce che mi parlava, che mi spronava alla speranza, che mi diceva “vai a fare la tua parte di creazione, il futuro ti aspetta”, oppure “.. .chiunque faccia vivere Cesto dentro di sé, manifestandolo nella vita quotidiana è di fatto un suo clone”, o ancora “nessuno può vivere da solo, sono le relazioni, i rapporti che contano. ... e mi piace accorgermi che stiamo diventando intimi”, e così via. Hai il dono grande di saper scrivere, personalmente, ad ogni lettore. Non so spiegarmi meglio, ma ogni volta che ho letto un tuo libro, ci ho trovato qualcosa scritto apposta per me. E così dicono anche altre persone che hanno letto i tuoi scritti. Finchè ci saranno persone come te, capaci ci scuotere le coscienze, di provocare anche irritazione, ma di non lasciar dormire quieti, ci sarà speranza. Hai fatto tanto per me, e te ne sarò sempre grata. Sei il migliore amico che ho e ti voglio bene dal profondo del cuore. Mi piace pensare di aver iniziato, grazie a te, un cammino che non so dove mi porterà, ma mi fa scoprire ogni giorno cose nuove e distrugge, piano piano, tante certezze che, come alte mura, mi impedivano di guardare verso l’orizzonte. Nel tuo libro c’è, come sempre, un condensato del tuo vissuto, del tuo pensiero, del tuo amore, della tua fede, della tua speranza. Lo rileggerò con calma, faccio sempre così. La prima lettura è stata veloce e tutta d’un fiato, per arrivare in fondo e avere uno sguardo d’insieme, poi, piano piano, rileggerò pagina per pagina, meditandola e lasciandomi interrogare, a volte anche per giorni, da una frase, un pensiero. Mi premeva, però, farti avere subito le mie prime impressioni. Speriamo che mi aiuti a diventare una persona migliore. Grazie ancora
Mio nipote Francesco mi scrive:
Che bello il tuo libro, sono sconcertatamene entusiasta, ha molta forza evocativa e un linguaggio che parla forte e chiaro… Io una cosa geniale e innovativa l'ho trovata: "trasformare l'acqua in acqua, il più grande miracolo dei nostri tempi!!!!! Ti sei guadagnato il limbo delle frasi più mitiche. Complimenti. Sono veramente entusiasta di questo tuo lavoro.
Il professor Gianni Vacchelli, al quale avevo chiesto un parere dopo la prima stesura, mi aveva mandato questo ponderato commento:
L’impressione globale che ne traggo è questa: è un romanzo decisamente interessante, ben scritto nel complesso, ricco di spunti, di idee vive, che colpiscono; c’è lo sforzo continuo di uscire dai luoghi comuni, di provocare, risvegliare; noto pure tuttavia qualcosa di incompiuto, di inconcluso (v. sotto). Risulta inquietante (non in senso negativo), fa pensare il lettore, lo spiazza. Ha una allegra sgradevolezza (in alcuni punti), un lugubre ottimismo (!). Nel finale il libro si chiarisce: mostra che la visita-sogno di signora Speranza non è stata vana: il libro si apre, si risolve, pur nelle sue antinomie e spigolosità. Ecco forse è un libro spigoloso, urtante, almeno per 3/4: anche se l’explicit, come dicevo, apre spiragli di fiducia. Detto questo, passo al titolo (e non solo, data l’importanza del titolo). Mi desta qualche perplessità. E’ troppo “parlante”, ti dice già che quel Tommaso Nissano è un clone di CC. In più orienta fortemente il libro quasi che il centro sia questo mistero. In verità non sono sicuro che sia così. Qui sta anche il nodo che rende da una parte affascinante il libro, ma dall’altra sbilanciato, imperfetto, incompiuto per quel che posso capire. Mi spiego meglio: come lettore sento che la vicenda centrale narrata è l’incontro relazionale profondo tra Teresa e Lazzaro, tra Teresa e Tommaso e dunque tra Teresa e GC. In questo incontro-scontro si crea verità, e camminano nella luce i personaggi (Teresa, Lazzaro) e il lettore stesso. La vicenda della donazione, per quanto intrigante, brillante, persino geniale forse, non è il centro del libro. Anche perché — almeno a me — non è chiaro neppure perché sia stata percorsa: addomesticare GC, manipolarlo una seconda volta, creare una nuova religione? Nel libro Lazzaro accenna al fatto che lo si voleva catechizzare, rendere univoco. A me però resta una certa insoddisfazione come lettore. Non che tu mi debba spiegare tutto, ma narrativamente, a livello di trama, è come se avvertissi qualcosa che non tiene del tutto. Almeno questa è la mia prima impressione. D’altra parte il titolo potrebbe essere volutamente spiazzante: il lettore si immagina che tutto verta su questa operazione fantascientifico-complottistica, ma poi le cose stanno diversamente. Lo spiazzamento - ci tornerò sopra — è una tecnica fondamentale di questo libro, non lascia tranquillo il lettore, lo inquieta. E questo va bene. Mi rimangono però i dubbi di cui sopra: tiene tutto dell’intreccio? Tra l’altro mi viene anche da chiederti: perché Padre Battista si spreta? Tu lasci — se non erro — totalmente in sordina questo aspetto. Ma forse potrebbe essere messo più in evidenza. Mi sono immaginato anche che Padre Battista sia una fase della vita del nostro personaggio. In questa fase ha cercato di recintare il sacro, poi si è spretato, si è risvegliato, è resuscitato e ha iniziato una nuova ricerca di verità.. .Non so. Pensaci però se non è il caso di lavorare su questo aspetto del passaggio da PB a L. Genere letterario: misto come spesso nei libri oggi: ci vedo il romanzo di idee; il romanzo complottistico-apocalittico; il romanzo religioso (è anche la storia sui generis di una conversione); in alcuni punti il romanzo psicologico. Personaggi: Mi sembrano convincenti Teresa e Lazzaro. Sono due personaggi-individuo; mutano, evolvono, si muovono, sono sfaccettati, ricchi. Teresa è un po’ una donna senza arte nè parte all’inizio; poi via via si mette in discussione. Cresce. Mi piace soprattutto nell’ultima parte, quando esce dagli schemi, si fa provocare da Lazzaro e da Tommaso. Anche nella prima parte è piuttosto ben descritta, anche se c’è qualcosa che non mi convince del tutto. Forse è il fatto che è un po’ stereotipata l’immagine di questa donna moderna tutta lavoro e poco casa. Non so. Non tenere troppo conto di questa osservazione perché non è chiara bene neppure in me. Lazzaro è forte: paradossale, intrigante, istrionico, a tratti inquietante, ma in fondo positivo (anche se mai banalmente). Forse è il personaggio meglio riuscito. Nella sua prima apparizione sembra cinico disilluso urtante: l’attacco all’utopia al desiderio di un mondo migliore fa quasi soffrire chi ci crede sul serio. Ma questo è il “gioco” (serissimo per altro) di L.: attaccare i luoghi comuni farli saltare per aria essere ovunque e in nessun posto. Non per ossessione relativistica o nichilistica ma per profonde convinzioni (nella relatività di ogni punto di vista; nella verità che però è sempre dinamica, relazionale, dialogale etc.). Certo L. è sul crinale in alcuni punti: mi chiedo se il gusto affilatissimo del paradosso non possa forse e a volte far correre il rischio al lettore di perdere di vista la “fede” di fondo del personaggio. (Certo il lettore deve correre rischi, comunque....). Comunque è L. l’anima del romanzo di idee che hai scritto: è lui che affronta le grandi tematiche. Poi forse femminilmente discretamente Teresa le vive. Tommaso è un personaggio difficile: colpisce per la sua anti-convenzionalità; per la sua stranezza; tuttavia rimane anche un’ombra e in ombra: è proprio il gemello di GC, l’ombra, il doppio. Questo contribuisce a renderlo interessante. E’ un personaggio che ti lavora dentro, come succede a Teresa. Mi sembra però in qualche modo incompiuto, anche forse per l’oggettiva difficoltà di dipingerlo a tutto tondo. Forse soffre un po’ della stessa incompiutezza del progetto-donazione. Forse non si riesce bene ad individuare se è positivo o se è uno sventurato, una caricatura. Forse tutte e due le cose. (Anche in questo caso non tutto mi è chiaro a partire dalle mie impressioni. Continuerò a rifletterci sopra). Sui personaggi minori ora non mi soffermo. Soffre un po’ di macchiettismo (forse fin dal nome) Stefano Stefani. Stile: complessivamente lo stile mi sembra buono, scorrevole, abbastanza unitario ma anche capace di una certa varietà. Altre piccole cose sullo stile: il riflessometro è introdotto senza essere troppo descritto; poi ci torni sopra; mi chiedo però se non valga la pena di descriverlo di più subito. La dinamica dei “clic” su internet forse è un po’ ripetitiva e dopo un po’ forse disturba. E’ una piccola cosa comunque. In alcuni casi avrei da farti alcune osservazioni più minute sullo stile. Ma qui si farebbe troppo lungo. In alcuni casi ho 1’ impressione che al libro gioverebbe qualche pagina in più: penso alla questione della donazione, e penso però anche ad affermazioni come “il vangelo è un manuale di psicologia applicata” e ad altre similmente efficaci e spiazzanti. Molti punti poi del tuo pensiero (che io conosco per aver parlato lungamente con te, e per aver letto i tuoi libri) forse andrebbero più sviluppati. Comunque il libro c’è. Fa riflettere, provoca, mescola paradossi quasi al limite del sostenibile. Crea confusione. Mescola verità con esagerazioni: è una poetica calcolata (se vale per i Vangeli tanto più può valere per un romanzo). Alla fine regala anche speranza (non a buon mercato, ma reale). Non so dirti bene quale interesse possa destare un romanzo come questo. Forse tanto forse poco. E’ un libro ricco e pieno di spunti per riflettere, e ha anche una buona storia. Tuttavia non è facile. Ma non riesco a dirti bene. Ci penserò su. È un libro che invita al risveglio. E’ anche duro, perché l’età è oscura e perché crede che non siamo stati fatti per l’infelicità. Ma non so quanto la gente gradisca il risveglio. Il libro merita. Vale, pur con alcuni difetti che mi sembra di avere intravisto. Questa almeno la mia opinione.
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