Introduzione alla Cartella di GIAN LUIGI RONDI
DIMENSIONE AREALISMO
L’arte di Thellung, soprattutto ai suoi inizi, replicando le immagini, le figure, tendeva paradossalmente, misteriosamente, ad isolarle. Più si duplicavano, più si triplicavano, e più si immergevano, attorno, nel silenzio e nel vuoto. Apparizioni spesso sorridenti (ironiche? convinte?), ma sempre lontane, enigmatiche. Assorte in colori lunari che, anche i più vivi, prescindevano volutamente dalle sfumature, mettendo al bando i contorni, privilegiando una sola dimensione.
Figure. Ma astratte. O, comunque, avare di riferimento con una realtà immediata, tranquilla, tornita. Partecipi, semmai, di una realtà inquietante che, più si palesava unidimensionale, più svelava sottofondi molteplici, e latitudini segrete, e allusioni di sogni sognati quasi per gioco ma vissuti nella temperie —a freddo, addirittura raggelata— di un dramma. senza riferimenti espliciti a età, a stili, e neanche a temi, salvo la citazione quasi costante della figura femminile, secondo schemi –ma più interiori che non esteriori– avvicinabili sotto certi aspetti al Liberty, a un Art Nouveau macerato senza lacerazioni né sofferenze, fino alla stilizzazione.
Adesso, invece, un accento, un’epoca. Nasce, a volerne interpretare le origini, da quel tanto di cavalleresco, e persino di araldico, che si poteva già intuire in certi segni astratti, e emblematici, di Thellung, da certe sue composizioni in cui l’accenno a un “costume” la ricerca di una fissità ieratica, lo studio di una composizione geometrica ma, nello stesso aulica, potevano far pensare alla vetrata, alle figure controsole dei rosoni o delle trifore delle cattedrali medioevali.
I1 Medio Evo, ecco. La sua sacralità, il suo mistero, la sua rinuncia a compiacersi della figura umana, dei contorni, della realtà fatta di terra, per elevarsi, per perdersi in infiniti interiori o superiori, in tragedie d’anima o anche in giochi: in giochi, comunque, che di queste tragedie sono sempre lo specchio o, il riflesso.
I giochi. Gli scacchi. Un esercito d figure tradizionalmente guerriere balzate fuori —immote— dai respiri di ferro di un ferreo Medio Evo tutto armi e armature. Geometriche, ancora una volta, replicate (ma, qui, con dualismi combattivi, molto più frutto dei bifrontismi di Giano che non di suggestioni i ripetitive), proposte, come sempre, attraverso colori immoti, senz'altra ricerca al di fuori del contrasto diretto, ma animate —in quel loro militaresco star ferme— da un singolarissimo soffio umano. Non umano nel senso quotidiano del realistico; umano, nel senso, e questa vota in modo prepotente e deciso, di una scoperta di un tipo nuovo di reale, al di fuori e contro gli schemi, senza riferimenti, senza passato, senza storia.
Secondo linee che —il pensiero si rivolge quasi fatalisticamente al cinema– sembrerebbero riscoprire dall’interno certe segrete ragioni visive del Medio Evo di Robert Bresson e dei suoi Cavalieri del Graal e, persino, certe abbacinate fissità del Medio Evo di Dreyer, spogliate d’ogni chiaroscuro, svuotate d’ogni predilezione per la sfumatura grigia.
Con la conseguente conquista di una dimensione quasi vergine e ignota: una realtà che, in questi tempi di contrasto fra iperrea1ismo e astrattismo, si pone di fronte alla realtà quotidiana, o della storia, senza nessuna partecipazione, ma anche senza nessuna polemica. Distaccata, ma non estranea, attenta ma non coinvolta: una realtà “a-reale”, che tende a dar spazio, e rilievo, a una realtà più ampia, che prescinde da quella quotidiana ma non vi contrasta. Visualizzata con figure che di figurativo hanno solo i contorni, ancorata, nel fondo, alle regole concrete di un Gioco —gli Scacchi— che, pur sublimandola, per esistere, dalla realtà partivano e alla realtà si riferivano.
Con un fascino di lotte e di contese, di agguati e di assalti a viso aperto che adesso, nella loro immobilità tacita e sospesa, ci riflettono anche,e con calma severa, queste nuove serigrafie di Thellung. In cui la cifra”arealistica” si fa quietamente poesia. Con ricerca meditata.
GLI SCACCHI DI THELLUNG
di Rafael Alberti
Canto sólo lo que veo.
Aquí, los Reyes, las Reinas,
los Caballos, los Alfiles,
las Torres y los Peones,
perfilados, recortados,
graves guerreros altivos,
en colores trasparentes,
celestes, rojos, azules,
amarillos y carmines,
anaranjados y negros,
para verlos en lo alto
de la nave de una iglesia,
vitrales iluminados,
por los que un sol misterioso
pasara sin saber que
está jugando en lo oscuro
a un juego que no conoce.
Canto sólo lo que veo.
Presentazione del 10 giugno 1975 alla galleria Flegias di Roma
Conversazioni e testi di Sergio Bernardi, Marco Mancini, Franco Miele, Ugo Moretti, Gian Luigi Rondi, Giuseppe Selvaggi, Cesare Zavattini
Marco Mancini
Porgo un caloroso saluto e un vivo ringraziamento a tutti voi che con la vostra presenza così numerosa avete permesso il successo della manifestazione di questa sera. Sono particolarmente lieto che questo accada per un evento che riguarda l'opera di Antonio Thellung perché sono legato a lui da una profonda amicizia e non è la prima volta che Thellung espone le sue opere qui alla Galleria Flegias. Lascio ad altri la valutazione critica: personalmente posso esprimere un giudizio che sento confortato dal gradimento delle persone che già hanno visitato questa cartella grafica, che è un'altra gemma dell'opera di Thellung, e sono lietissimo che sia stata presentata da Gian Luigi Rondi che ci onora stasera della sua presenza. Ringrazio anche Giuseppe Selvaggi, Sergio Bernardi e Elio Mercuri che animeranno insieme a Rondi questo dibattito. Rivolgo inoltre un ringraziamento particolare a Cesare Zavattini, che non può essere presente perché fuori Roma, il quale oltre a inviare i suoi saluti ha anche mandato un breve commento scritto che ora vi leggo.
Zavattini scrive: «È stato detto autorevolmente che viviamo di ricordi e che creare significa dare loro manifesta attualità. Thellung ci riesce accoppiando infatti la nostalgia (quasi ottocentesca, montmartiana) e la ironia (che è sempre dell'ultima ora)».
Cedo adesso la parola a Giuseppe Selvaggi, che dopo aver espresso il suo giudizio critico avrà anche il compito di stimolare il dibattito.
Giuseppe Selvaggi
Il mio compito è quello di coordinare questo intervento per Thellung. La premessa da fare innanzi tutto è che la cartella è composta da sei serigrafie e una pagina scritta. La pagina scritta, che mi è apparsa determinante nel contesto della cartella, è di Gian Luigi Rondi, cioè di un protagonista del cinema italiano attraverso la critica. Questa pagina deve essere letta con atenzione per notare come egli abbia individuata con immagini che potrebbero anche essere trasferite in un contesto cinematografico, cioè nel movimento, una pittura che sembra terribilmente statica come quella di Thellung. Ma più che altro la pagina di Gian Luigi Rondi premessa alla cartella denota quella unità ormai raggiunta dalle tecniche visive. Cioè il linguaggio dell’arte moderna, fatta con tutti i mezzi, ci dimostra come un critico cinematografico, superando tutte quelle che potrebbero essere cognizioni specifiche di un grande critico d’arte, ma semplicemente “critico d’arte figurativa”, possa approfondire un qualsiasi fatto d’arte moderna per questa unità che abbiamo raggiunto oggi nelle arti visive. Questo fatto, così elementare, andrebbe meditato per dimostrare e per documentare come oggi si può arrivare all’arte per tutte le strade, e come il figurativo abbia la stessa potenzialità di espressione di ogni forma di informale. E dico di ogni forma d’informale usando apposta l’espressione combinata in questo modo, per sottolineare che tutto è oggi possibile dire attraverso l’immagine. Quindi cinema e arti figurative in senso tecnicamente e storicamente stretto, sono quasi la stessa cosa. Invito tutti a leggere attentamente questa pagina per vedere quanto ciò sia vero.
Detto questo cedo la parola a Gian Luigi Rondi per dare inizio al dibattito.
Gian Luigi Rondi
Poiché questo si annuncia come un incontro-dibattito vorrei cominciare con dibattere alcuni temi proprio con l’amico Selvaggi che mi sembra sia stato molto generoso, troppo generoso, nei miei confronti, ed abbia dato alle dimensioni del mio intervento stampato in questa cartella una valutazione che questo mio intervento non pretende e non vuole avere. Quando i miei allievi mi domandano che cosa si debba fare per essere dei buoni critici cinematografici, rispondo loro che si deve conoscere il teatro, si deve conoscere la letteratura, si deve conoscere la musica, si deve conoscere la danza, perché l’ultima delle arti, il cinema, tutte queste arti ricomprende in sé, e chi vuole giudicare il cinema deve assolutamente conoscere queste arti che spesso sono parte integrante dell’immagine cinematogrfica, del linguaggio cinematografico, dell’arte del film. Questo consiglio però. non ha valore reciproco, ossia non può far ritenere che un critico d’arte figurativo sia bravo in questa sua funzione se si intende di cinema. A differenza di quanto dice Selvaggi sull’unità di tutte le arti e sulla loro interdisciplinarità, come si dice adesso, io sono abbastanza tecnologo. Credo molto agli specifici, ai generi, e ritengo che ciascuno nel suo settore debba fare con il suo piccolo diploma soltanto quello che gli consente, senza travalicare in altri settori. Questo però da un punto di vista oggettivo, e qui vi dico subito che io non credo alla critica romantica, alla critica soggettiva, alla critica che concrea con l’autore, alla critica che si lascia trascinare da un entusiasmo totale tanto che, ad. esempio, mentre parla di un film in realtà parla di un altro film, mentre parla di un autore sostituisce tutti i velleitarismi del critico che non è riuscito a diventare autore e confonde l’opera in esame con l’opera ideale che il critico autore mancato vorrebbe aver realizzato.
Non credo a questo tipo di critica, ma credo a una critica oggettiva, quasi strutturalistica, una critica a freddo che è anche la più pericolosa. Perchè la critica soggettiva mi permetterebbe di dire di fronte all’ultimo film di Bergman “mi piace”, come parere emotivo, soggettivo, intuitivo di Gian Luigi Rondi. Posso anche sbagliare, posso arrivare fino ad un certo limite, posso travalicare certi schemi, ma è un mio parere privato, soggettivo e nessuno me ne vorrà per questo. Ma quando faccio il critico oggettivamente debbo addirittura attingere, non dico all’assoluto, che non credo esista nell’arte e nella critica, ma devo comunque attingere al più compiuto discorso attorno all’oggetto così come lo propongo, cercando di dire tutta la verità sta qui, la verità oggettiva, la verità dell’arte e del bello. E voi capite che questa responsabilità è quella che in fondo fa tremare il critico onesto ogni qualvolta si accinge a scrivere.
Questa verità di fronte alle altre arti onestamente non me la sento, e in questo caso divengo un critico soggettivo, Con un piccolo bagaglio di informazioni, se volete anche con un certo bagaglio culturale, vedo una mostra, vedo dei dipinti, ascolto una musica come l’altro giorno al Festival di Canne sentivo Mozart mentre vedevo Bergman, e potevo anche dare un parere emotivo, emozionale, su quella musica.
Lo stesso di fronte ai dipinti di Thellung, che seguo da parecchi anni, direi fino dai suoi inizi. Ho dunque espresso dei pareri soggettivi, Thellung me li ha stampati, e sono pareri che mi riconducono per deformazione professionale al cinema dove rischio di essere meno fallace di altri e dove cerco di trovare dei legami, dei riferimenti, delle proporzioni, dei sistemi armonici e forse dei canoni estetici che potrebbero essere assimilabili alla mia stessa professione. Ecco perché la prima volta, quando vidi le bivalenze, quando vidi le duplicazioni, quando vidi le moltiplicazioni di Thellung trovai delle senzazioni di immagini cinematografiche scomposte. In questo almeno mi posso sentire di casa, perché il cinema s’intitola al movimento ma resta sempre immagine, e di fronte a un immagine mi so muovere. Di fronte a questi scacchi, a questo gioco che Thellung mi presentò abbozzato nel suo studio alcuni mesi fa, con l’aria gentile, dimessa e semplice di presentarmi un gioco, io ebbi una strana illuminazione: vidi al di là di questo gioco una operazione stilistica che mi permise di ricollegarmi ad una delle più difficili, delle più sottili e delle più sofferte operazioni stilistiche che stia compiendo il cinema in questi tempi.
Tutti voi sentite parlare anche troppo di realismo, e nel cinema c’è stato anche il neorealismo; contro questo realismo l’altro giorno collegavo alcuni saggi di Thomas Mann sul cinema e vedevo, sia pure un autore che scriveva nel ‘28, con quanto disprezzo evitasse di collocare il cinema fra le arti, appunto per quel suo avvicinarsi troppo alla realtà fotografica, per quel suo riprodurre troppo, senza la mediazione di una creazione artistica, la realtà. Quello è un realismo che, per fortuna, con il passare degli anni ha potuto anche passare attraverso il filtro di autori creativi e assurgere ad arte. Ma di fronte a questa impostazione c’è un astrattismo, anche se parlare di astrattismo nel cinema è una cosa abbastanza impropria. C’è comunque un antirealismo che più o meno va sotto il termine generico di fantasia. Abbiamo tutto un cinema visionario, un cinema fantastico che è ben rappresentato da Fellini in Amarcord e che comprende tutta una schiera e una scuola di antirealisti su questa linea.
Abbiamo però un solo autore che rifiuta la realà, nel senso che non vi si fa coinvolgere. Anche se dalla realtà parte, non la interpreta, non la spersonalizza visivamente. Ed è Bresson.
Bresson è uno stranissimo esempio di creatore d’immagine, nuda, povera, spoglia, scarna, che parte dalla realtà concreta, ma della realtà ha soltanto, diciamo, il contenuto etico. L’immagine di Bresson è un’immagine etica, un’immagine morale, un’immagine che sprofonda nell’abisso delle cose cercandovene radici ed ordini superiori. Sfrondando a poco a poco tutto quello che è apparenza, non facendosi mai coinvolgere da questa apparenza, ma in realtà cercando una concretezza attraverso delle basi. E noi abbiamo più o meno definito a-realismo questo sistema, questo stile di Bresson, che ultimamente si è imposto con quel film purissimo, quel capolavoro che non riesce nemmeno ad arrivare al pubblico tanto è astratto, che è il “Lancillotto del lago”, che in italiano si chiama “Lancillotto e Ginevra”. Sul Graal. Tipica e propria ricerca dell'anima, ricerca della spiritualità, ricerca di un’immagine etica al di fuori di un’immagine visualizzata.
Per combinazione il Graal è un Medioevo. Per combinazione i protagonisti di questo Graal erano dei guerrieri. Per combinazione avevo visto nello studio di Thellung dei sospetti di Medioevo che cominciavano ad affiorare al di là delle duplicazioni e triplicazioni, che in parte si può vedere in questo grande dipinto intitolato alla giustizia di Salomone che mi sta alle spalle. Dove addirittura la duplicazione diventa duplicazione interiore, perché non è più soltanto la figura che si sdoppia ma l’anima del personaggi è un andar cercando, insisto, un’immagine etica. Questa immagine etica a contatto e a cospetto di qualche cosa di impegnativo e di importante come è la giustizia, che è già un concetto astratto, e comunque un concetto ideale.
Da questo il gioco. E sono questi guerrieri, ed è questo Lancillotto e Ginevra, ed è questo obbedire a delle regole che nel reale esistono perché gli scacchi da questo reale si sono fatti guidare per affidarsi poi a una geometria precisa che è la geometria di un gioco, e trovarmi di fronte a qualcosa che ancora una volta non ha sfumatura, a qualcosa che ancora una volta non ha riferimento con la realtà, ma che dalla realtà parte a tal segno che persino si ispira a delle concrete leggi, che sono quelle del gioco. Ed ecco perché mi trovai ad accettare di essere coinvolto. Io si, non la realtà che Thellung non coinvolge nelle sue creazioni. Ad essere coinvolto a dire queste parole e a scrivergliene altre, quelle che Selvaggi eccessivamente lodava perché dava loro un significato critico.
È tutto qua. E’ stato un atteggiamento del tutto soggettivo direi di gradimento, di valutazione, di scoperta, per aver inteso riecheggiare una musica, un’eco, un’intonazione che io avevo trovato là invece dove oggettivamente sento di avere tutti i diritti di poter parlare: bene o male, ma con tutti i diritti. Quindi, da critico del cinema, oggettivo, questa lode del tutto soggettiva, che però trova conforto nel vostro consenso di stasera e nelle parole molto più profonde, molto più concrete che ho inteso su quest’opera che a me sopratutto convince per il suo legame così solido, così, intimo, e in questo senso ha forse ragione Selvaggi quando parla di comunione di tutte le arti moderne con la poesia del cinema di oggi.
Selvaggi
Vorrei ora sentire il parere del noto filosofo, antropologo e professore di psicologia che si trova fra noi: Sergio Bernardi.
Sergio Bernardi
Da parte mia farò, più che altro, alcune considerazioni di ordine psicologico-dinamico, un accostamento alla psicologia dinamica che però non pretende e non può assolutamente sostituire l’estetica, perché l’estetica è di per sé insostituibile nell’interpretazione dell’arte, ed anche dei significati metafisici dell’arte.
Ora, da un punto di vista della psicologia dinamica, vedo che i soggetti rappresentati in questa cartella raffigurano più che scene scacchistiche, simboli del gioco degli scacchi: il Re, la Regina, le Torri, gli Alfieri, il Cavallo, il Fante. Il tutto disegnato entro un particolare tipo di simmetria. I simboli sono inquadrati in modo tutto particolare sull’ordine retrostante della scacchiera, il tutto con una purezza di colori e in una purezza simbolica che costituiscono, a mio giudizio, una delle caratteristiche più importati dell’arte di Thellung.
Ma quale significato hanno nel profondo i simboli e le raffigurazioni simboliche? Io sono d’accordo con Jung quando dice che l’arte manifesta qualcosa di vivente sul piano dell’inconscio collettivo. William James, grande psicologo e grande filosofo, sostiene che la personalità umana è strutturata a livelli; la coscienza è sottesa a livelli sempre più profondi. La coscienza dell’artista viene a contatto con particolari simboli, che Jung chiama archetipi dell’inconscio collettivo in accordo con gli altri psicologi dinamici del nostro tempo, parlo di Mac Kenzie, parlo di Freud, sull’esistenza di questi simboli, di questi archetipi, che sono davvero elementi viventi sul piano profondissimo dell'inconscio. L’artista li rivela rendendoli viventi sul piano esteriore, ma le esigenze storiche che portano un artista a scegliere di mettersi a contatto di un archetipo anziché di un altro appartengono alla storia strutturale, ai complessi e personali inconsci dell’artista, giacché, come dice giustamente Freud, non esiste una psicanalisi dell’arte in quanto, se la psicanalisi ci porta a comprendere meglio perché un artista si è avvicinato a un tipo di espressione artistica anziché a un altro, non può spiegarci l’arte in sé. Di fronte alla produzione artistica in se stessa, e sono parole di Freud, la psicanalisi non ha assolutamente nulla da dire.
Quello che noi possiamo constatare è che la storia personale di Thellung l’ha portato a contatto con elementi simbolici che si concretizzano ora nel gioco degli scacchi, che è un assieme simbolico ricchissimo di significazioni profonde. Noi sappiamo che convergono addirittura significati cosmici nel gioco scacchistico. Studi approfonditi sull’origine storica di questo gioco ci hanno dimostrato che, anche se si è sviluppato sopratutto nel Medioevo, proviene dall'estremo oriente, in particolare sembra dall’India. Noi potremmo paragonare quindi la pittura di Thellung a qualche cosa che si può definire di carattere Mandalico, cioè praticamente a qualche cosa che ha un significato latente nel nostro profondo. Indubbiamente Thellung voleva rappresentare, voleva esprimere questo problema interiore, questo significato profondo che interpretiamo come proiezione cosmica e che trova a suoi antecedenti nella matematica orientale, nel cabalismo ebraico, nel pitagorismo di cui indubbiamente, come dice ancora Jung, gli scacchi sono una importante caratterizzazione e rappresentazione. Mi dovrei dilungare ancora sul significato di ciascun simbolo ma impiegherei troppo tempo. Mi limito a concludere rilevando che, osservando queste opere, si rileva che indubbiamente un’ispirazione profonda in tal senso, cioè in senso metafisico, è chiaramente presente nell’opera di Thellung.
Selvaggi
Da Rondi e Bernardi abbiamo avuto una premessa per un discorso su Thellung. Abbiamo cioè visto come Thellung sia un uomo profondamente moderno, con tutte le ansie di scavo che l’uomo moderno ha di ritrovarsi attraverso i millenni passati. Ora darei la parola a Ugo Moretti invitandolo anche a puntualizzare il discorso in senso più tecnico.
Ugo Moretti
Io sono un accanito quanto pessimo giocatore di scacchi, e la seconda caratteristica dipende dal fascino che questo gioco esercita sulla mia immaginazione a detrimento del calcolo che è alla base del gioco stesso. Cosa che non mi capita con gli altri giochi: la dama, il mayjong, le carte italiane e quelle francesi, il domino, i dadi, la roulette, il bigliardo, la morra cinese, il sottomuro mi lasciano lucido e freddo, mi vedono vincitore. A scacchi perdo irrimediabilmente anche con un principiante, e forse per questo assumono per me la simbologia di una irragiungibile iniziazione,
Generalmente preferisco ì i pezzi tradizionali, sintetizzati al massimo, più misteriosi di quelli lavorati a scultura e addirittura fisionomizzati, e non soltanto sulla scacchiera ma anche in pittura tanto è vero che dietro mia -istigazione Luciano Sommella ha dipinto per un periodo felicissimo scacchi archetipi, ambientati e allusivi di favole mitologiche o leggende bibliche, oltre che romantiche.
Thellung è i1 secondo pittore che conosco il quale abbia assunto la tematica degli scacchi e in modo incantevole. Queste serigrafie — alla cui perfezione tecnica ha contribuito la geniale esperienza di Felice Silanos — sono eccezionali, sia per la purezza dei colori e la loro contrapposta scalarità (una nota per il granuloso nuovissimo ed inedito) sia per il rigore delle composizioni.
Sono figure associate al di fuori del loro valore di gioco, che costruiscono racconti autonomi. Nulla di decorativo e tutto di pittorico. Ieratici e bloccati, questi personaggi sono di concretezza narrativa. Per chi conosce le grandi tele di Thellung che riportano in disegnativo moderno i grandi affreschi di torneo, di nozze, di corte, queste serigrafie sono multipli ulteriori delle sue ricerche materiche.
Certo è che questa serie è preziosa, rara per la sua concezione, stupenda per l’esecuzione, Un contributo non indifferente all’arte della serigrafia e alla conoscenza esoterica del gioco magico, che supera per combinazioni e strategia quello dei Tarocchi, e predice a Thellung — uomo abituato alle vittorie — un ennesimo successo.
Selvaggi
Il turno vorrei che ora toccasse a Franco Miele, cioè a un critico militante che è anche mi pittore. Ricordo tra l’altro che Miele è il notissimo autore del volume intitolato: “Teoria e Storia dell’Estetica, dall’Antichità ad Oggi”. Penso Quindi che potrà inquadrare compiutamente il discorso e avviarci alla conclusione.
Franco Miele
In ogni esposizione critica vi è un atteggiamento di gusto che riflette la propria personalità e le proprie idee, vuoi che si militi nel campo del cinema, del teatro, della letteratura o delle arti figurative. Ma credo che al di là delle scelte preferenziali o di gusto, o se volete anche della metodologia critica che si può usare nel leggere un’opere d’arte, in senso strutturalista o fenomenologico, oppure, tornando al passato, in senso idealistico, io credo che, alla fine, se ci spogliamo di quella passionalità individuale della quale tutti siamo presi, noi finiamo per convenire che la coscienza della singola opera d’arte non può che elevarsi a coscienza dell’arte in generale. E ciò vuol dire, per ripetere una vecchia immagine di Schumann, che tutte le estetiche, pur provenienti da fronti diversi, finiscono per saldarsi in un’unica estetica, come visione generale del problema dello spirito riflesso nell’opera d'arte.
Ebbene, da critico militante e anche da pittore che stende il colore e architetta forme e motivi in un linguaggio espressivo, posso onestamente dire che quest’opera di Thellung ci lascia sopratutto perplessi e ammirati nello stesso tempo, per un senso di staticità che sottintende uno stato d'animo di stupore. Uno stupore che ci induce a comprendere come l'artista, in un tessuto pittorico quasi astratto, e quindi pulito, castigato, scarnificato abbia voluto e saputo ricuperare l’immagine umana qui presa a prestito, e non a pretesto, dalla tematica degli scacchi. Di conseguenza ritengo che dobbiamo dare atto al pittore Thellung di aver raggiunto un raro equilibrio, che non è soltanto esteriore, in una forma che implica, non un contenuto alla vecchia maniera, ma un contenuto come stato d’animo, come atteggiamento del proprio "essere", tanto che le sue composizioni potrebbero in un certo senso riportarci all’estetica tomistica dell’accordo tra proporzione, ordine e congruenza delle parti. Quest’ordine, questa proporzione, questa congruenza delle parti ci fanno vedere come in un linguaggio moderno e aperto, e se si vuole libero e affrancato anche da ogni elemento descrittivo, e di riflesso da ogni riferimento naturalistico puramente narrativo, l’artista, cosciente o non cosciente – ma io credo cosciente perché l’arte è sempre fantasia che si accorda col raziocinio – inaspettatamente, forse anche senza aver approfondito il problema, ma senza dubbio avendolo assimilato con una sua emotività, ci riporta ad una pittura di tipo rinascimentale; a una pittura (se mi è consentito affermare) che richiama quasi Pier della Francesca. Pier della Francesca che era certamente il più astratto dei figurativi, e che oggi noi possiamo considerare come il più moderno dei pittori antichi. E non casualmente queste immagini di Thellung, che si stagliano su un fondo o su un ritmo di scacchi, sono immagini senza volto, per essere immagini a-temporali, immagini fuori cioè dalla fenomenicità fisica e collocate in uno spazio ideale; in uno spazio che è in un certo senso quasi metafisico. Ma non è certo la metafisica come la si può intendere alla maniera di de Chirico; è al contrario una metafisica come ideale possesso delle cose; una metafisica intesa come abbandono in un qualcosa di puramente sognato. Ed ecco le sue proporzioni, e le sue scansioni, e le sue ripartiture, ed anche, in questo grande dipinto che mi sta alle spalle, certe forme che richiamano, simbolicamente, le tipiche colonne di Pier della Francesca. Come ad esempio il Re a centro, questa struttura limpida, chiara, con un primo piano più forte, o per meglio dire più infuocato, e con un bleu e altri colori che tendono al bianco e al grigio sullo sfondo. Il tutto crea una prospettiva ideale, che non vuole essere una ripetizione sul gioco e gli effetti della profondità studiata da Luca Pacioli, ma che si risolve in una successione articolata come sequenza di zone di colore.
Sono per questo convinto che bisogna dare atto all’artista di aver sensibilizzato la figurazione umana in una astrazione immaginativa, in cui questi volti inespressi, che sono appunto senza occhi, vogliono richiamarci a "una figuralità che ci faccia pensare più che vedere". Non posso quindi che concludere elogiando Thellung per questa sua sensibilità, per questa sua incidenza a penetrare nell’essenza di una tematica astrattizzata nel senso migliore del termine, e gli do atto nel contempo che la sua opera ancora una volta ci insegna come le forme più semplici esprimano spesso le verità più profonde.
Selvaggi conclusione
Concludiamo dunque il discorso. In questo nostro incontro, ovviamente, non poteva venir fuori i1 ritratto completo di un artista né tanto meno si può aver avuto l’orgoglio o la presunzione di potei dire chi è Thellung nell’arte moderna, nell’arte contemporanea.
E’ difficile. Come saprete i pittori saranno un milione e cinquecentomila in tutto il mondo e gli scrittori saranno altrettanti. Cioè ormai l’arte figurativa è un linguaggio come gli altri, è un modo di scrivere. Anche i bambini oggi comunicano con i disegnini. Quello che poi sarà l’avventura di un artista nella storia dell’arte lo lasciamo agli storici dell’arte. A noi qui interessa una conclusione, e io faccio una conclusione di tipo quasi politico. Si è molto insistito sugli scacchi di Thellung, e quasi il discorso stava per deviare sulla storia degli scacchi anziché sul pittore. Ma c’e una ragione per cui in questi ultimi anni tanti artisti hanno rivolto la loro curiosità e la loro indagine proprio all’arte e ai mezzi di gioco. Sono tanti gli artisti che hanno dipinto in questi ultimi anni mazzi di carte o serie di carte, e mi risulta che forse il più grande grafico contemporaneo, che è Friedlander, sta lavorando a un mazzo di carte. Questo ci dice che il mondo attuale è un mondo d’incertezza, e come tale s’affida inconsciamente al gioco. Può sembrare strano ma è così. Gli artisti contemporanei che dipingono mezzi di gioco sono molti, ed è come una corrente che denota un fenomeno interiore dell’uomo moderno. Quindi noi vediamo Thellung inserito in questa ansia contemporanea, lo vediamo tutto inserito anche quando i suoi volti sono senza volto, cioè quando i suoi personaggi senza faccia esprimono quasi emblematicamente l’uomo contemporaneo, che ha un volto specifico ma insieme non lo ha. Direi che la modernità di Thellung è indiscutibile, cioè il pittore Thellung s’inserisce in quelle che sono le ansie, in quella che è la teologia della vita moderna. Questo possiamo affermarlo. Poi affermare se Thellung rimarrà o non rimarrà nella storia dell’arte è difficile, come è difficile dire di tanti altri maestri italiani e stranieri. E qui potremmo accendere un violentissimo fuoco. Potremmo bruciare sotto la cada di grandi maestri immensi falò di dubbi e d’incertezze. Quindi questo non possiamo dirlo e non vogliamo dirlo, ma semplicemente possiamo concludere che Thellung è inserito nella coscienza moderna, in quell’ansia religiosa di dubbio e d’incertezza caratteristica del nostro tempo, e quindi questa sua cartella”Gli Scacchi” diventa come un simbolo. E mentre quest’ansia di certezza e insieme d’incertezza che è il gioco, è rigorosa, matematica, partecipa cioè di tutto un mondo pitagorico, di precisione, in cui due più due fa quattro, tuttavia alla fine, in conclusione, rimane un dubbio. In questo Thellung partecipa all’ansia contemporanea, quindi è un uomo moderno. Ed è anche un artista moderno. Il suo linguaggio è senza dubbio un linguaggio moderno che ricupera alcuni mezzi, alcune semplificazioni, che sono siate della grande grafica di tutti tempi, del grande insegnamento di tutti i tempi. Li ricupera e li rende attuali, in un nuovo vivo linguaggio. E riguardando questa cartella con tranquillità potremmo sostare e ritrovarci appunto in questa duplice ansietà: da una parte ricerca di certezza e da una parte necessità di dubbio. In questo è la verità di Thellung.
COME PARTITA A SCACCHI…. ....con un quadro di Thellung
di Luciano Luisi
Come incombenti con le loro ombre
stanno davanti a me, chiudono in cerchio
la strada che con pena tento aprirmi, ostacoli
cui troppo spesso m’arrendo: e per viltà
(o timore che altri all’improvviso
sorgano), fatto guardingo, un breve passo compio,
una timida mossa d’attesa.
Eppure in me s’impenna,
altro da me, ma non da me dissimile,
e non domato scalpita, un dissonante cavallo
che d’un balzo opponendosi
ai fatiscenti ostacoli
saprebbe farmi credere (ed è vita)
che tutto possa ancora rinnovarsi;
e non lasciarmi spegnere
andando avanti, sordo ad ogni voce
e cieco ad ogni mano che si tende,
(non è morte l’assenza?) come torre monotona
che non segue altra via se non il solco
dove è concesso qualche volta (a patto
di non uscirne, o violare il disegno)
una illusoria parvenza di corsa.
Lieto, un tempo,
quando s’apriva libero al mio passo
il campo, ed ogni scelta era possibile
e mi tentava, credevo fosse quella
la mia mossa d’inizio, l’apertura per vincere,
quello il mio vento, quella la speranza.
Ora, più raro,
fuggo obliquo credendo liberarmi
dall’errore (il giusto,
tutto il giusto! soltanto fra i binari)
e tento ancora un gesto
non a cercare una vittoria esigua
ma, balenante, una verità,
prima che sia la fine e debba arrendermi
all’ombra, prima che scorga il confine.
RECENSIONI, CRITICHE E SEGNALAZIONI
L'UMANITA' 14 giugno 1975
Scacchi quasi astratti
La cartella di serigrafie di Antonio Thellung è stata recentemente presentata nella romana galleria Flegias in un dibattito tra critici ed artisti che hanno avuto modo di sottolineare il rigore compositivo di una serie di opere ispirate al motivo degli scacchi.
Su ampie campiture che ci offrono la sensazione di un’apertura verso uno spazio ideale, Antonio Thellung colloca «dame» e «cavalieri», «fanti» e regine» in un giuoco che solo in apparenza ha del virtuosismo. Al contrario l'intento, riuscito, è di «astrattizzare il reale» non per negarlo, ma per ricuperarlo in una sorta di bellezza assoluta, fuori dal tempo inteso come fatto fisico.
Per questo, a nostro giudizio, l’artista ripropone con linguaggio moderno, essenziale e allusivo l'antica e sempre attuale problematica di Piero della Francesca: quella di immergere la figurazione in un clima metafisico ove tutto si risolva in armonia
Franco Miele
Vita 12/13 giugno 1975
Per non perdere di vista Roma, ecco un altro bell’avvenimento nel campo della Grafica con la cartella — presentata alla Galleria Flegias ai critici ed ai collezionisti — contenente 6 serigrafie che hanno per soggetto gli “scacchi”. La cartella è a dir poco stupenda come contenuto e come contenitore, perche i bei motivi e colori sono riversati su bellissima carta, il tutto commentato da Gian Luigi Rondi. Una vera preziosità, che nei primi 10 esemplari è fuori commercio.
Derna Querel
Vita 27/28 giugno 1975
Fine giugno vivacissima nell’ambiente dell’arte. Si passa da una inaugurazione all’altra con proposte una più affascinata dell’altra, ed il solo rammarico di non aver abbastanza denaro per poter comprare tutto. Alla Galleria Flegias che ha il merito di aver aperto proposte d’arte in un quartiere eccentrico, rispetto a quello tradizionale gravitante attorno a Piazza di Spagna e del Popolo, è stata presentata la cartella di sei serigrafie a colori intitolata: “Gli Scacchi di Thellung”. Il fatto era così importante che critici e studiosi hanno partecipato alla “conversazione” provocata da Gian Luigi Rondi che ha scritto il testo critico allegato alla cartella. A dire ognuno la sua erano: il filosofo e psicologo Sergio Bernardi, i critici Franco Miele, Ugo Moretti, e Cesare Zavattini che ha addirittura partecipato alla conversaione al “filo del telefono” in partenza da Luzzara. La cartella degli ”Scacchi di Antonio Thellung” é stupenda (edita da Silanos della Graphiser) per invenzione e stilizzazione di motivi, oltre che per caldi e densi colori, e tale da presentarsi come “conversation piece” in qualunque ambiente venga collocata, come ornamento delle pareti.
Derna Querel
MOMENTO SERA 18/19 luglio 1975
Gli scacchi di Thellung
In una galleria di via Spalato presentazione della cartella grafica a colori «Gli scacchi di Thellung», di cui Gian Luigi Rondi ha curato il testo introduttivo All’interessante dibattito, condotto da Giuseppe Selvaggi, hanno preso parte il filosofo e psicologo Sergio Bernardi e i critici Ugo Moretti e Franco Miele. Assai folto e rappresentativo il pubblico. Fra gli intervenuti, notati: Silano della Grafiser, editore della cartella, l’avv. Frataccia e signora, la sig.ra Menichini consorte del capo della polizia, Lidia e Sabrina Selvaggi, il dott. Cavaglià e signora, il dott. Casoni, Mons. Abbo, il dott. Pozzi, Eva Fisher, la principessa Colonna, Elio Mercuri, Alessio Paternesi. il pittòre Houamel, Vanni Rinaldi, Domenico Javarone e signora, gli scultori Giammei e Ungheri con signora, l’ing. Dalla Vedova e signora, Lalla e Claudio Fulvio, la sig.ra Rosa Apuzzo, Il dott. La Ginestra e signora, il dott. Mario Morbidi, Clotilde Paternostro, il dott. Strani, Alberto Scotti. Gli onori di casa sono stati brillantemente assolti dalle segretarie della galleria, Giuliana Spagnoletti Zeuli e Roberta e Strani.
MOMENTO SERA 26/27 luglio 1975
Particolarmente allegorici gli scacchi, o meglio i personaggi degli scacchi di Thellung, schematici ed emblematici, sono l’argomento di una cartella di grafica (sei serigrafie) di recente edita e in esposizione alla Galleria Flegias.
L’artista non rinuncia ai suoi ritmi, orizzontali, verticali, come non rinuncia alla ripetizione dei personaggi: si limita a non sdoppiarli sfumati, ma li ripropone ben delineati portati quasi a fronteggiarsi come nella seri- grafia del «pedone». I personaggi si delineano precisi, mitici, senza volto; sono quelli consueti di Thellung con la stessa precisa geometria d’impianto, e al contempo la sensazione di distacco dal mondo degli uomini. Scacchi o giuoco d’ombre? I colori sono pochi e vividi, tono su tono di rossi e blu, e nero sonoro, che rendono ancor più irraggiungibili i suoi personaggi. L’attività dell’artista è rappresentata in varie mostre in atto in Italia nel corso dell’estate.
AHIS WEEK IN ROME 11/17 july 1975
Antonio Thellnng has presented a portfolio of six serigraphs at the Flegias Gallery, 12 Via Spaiato. The subject of the six plates is the game of chess, stylized and made geometrical by Thellung in the most fascinating
way. There is a preface by Gian Luigi Rondi, and the portfolio was presented at a very lively gathering attended by a large number of critics and friends such as phi1osopher-psycho-logist Sergio Bernardi, critics Franco Miele and Ugo Moretti; and Cesare Zavattini telephoned from his home town, Luzzara. Thellung’s «Gli Scacchi », with its highly unusual figures, would make a wonderful summertime gift to hang in a sequence on the walls of a seaside or country villa.
Derna Querel
ECOMOND PRESS Roma, 16 giugno 1975
GLI SCACCHI DI THELLUNG – una prestigiosa forma d'arte
Il Centro Studi Scacchistici che si è fatto promotore di un premio per tutte le forme d’arte ispirate al giuoco degli scacchi: “La Scacchiera d’Oro”, ha registrato in questi giorni una manifestazione di notevole valore artistico, che ha ottenuto un grande successo, realizzata dal pittore Antonio Thellung, il quale ha presentato alla FLEGIAS (La Galleria di Via SpaIato, 33 diretta dal Prof. Marco Mancini), una nuova cartella di grafica a colori avente per tema appunto gli scacchi. Alla serata di presentazione delle opere è intervenuto Gian Luigi Rondi, autore del testo critico allegato alla cartella, il quale ha introdotto la conversazione, Ne è seguito un interessante dibattito condotto da Giuseppe Selvaggi, con la partecipazione del filosofo e psicologo Sergio Bernardi e dai critici Ugo Moretti e Franco Miele. Impossibilitato a partecipare, perché fuori Roma, ha fatto pervenire la sua adesione Cesare Zavattini.
Numerosissimo il pubblico. Fra gli intervenuti notati: Silanos della Grafiser editore della cartella, l’Avv. Frataccia e Signora, la Sig.ra Menichini consorte del Capo della Polizia, Lidia e Sabrina Selvaggi, il Dott. Cavaglià e Signora, il Dott. Casoni, Mons. Giovanni Angelo Abbo, il Dott. Pozzi, Eva Fischer, il Dott. de Amicis, l’Arch. Polazzo e Signora, l’Ing. Gigli e Signora, la Sig.ra Robolta Stern, la Principessa Colonna, l’Ing. Belardinelli e Signora, la Marchesa Letizia Leoni, Giovanni Spagnoletti Zeuli e Signora, Elio Mercuri, Alessio Paternesi, Houamel, Solcndo, Moretti e Signora, Bartolomucci e Signora, Vanni Rinaldi, Domenico Javarone e Signora, l'Ing. Dalla Vedova e Signora, gli scultori Giammei e Ungheri con Signora, Lalla e Claudio Fulvio, la Sig.ra Rosa Apuzzo, il Dott. La Ginestra e Signora, il Dott. Mario Morbidi, Clotilde Paternostro, il Dott. Strani, Alberto Scotti del Marguttone, Anna Strumendo, la Sig.ra de Stasio, i pittori Tamburrini e Montaldo. Gli onori di casa sono stati brillantemente assolti dalle segretarie della Flegias, Giuliana Spagnoletti Zeuli e Roberta Strani.
DAILY AMERICAN 15 july 1975
VANNI RINALDI ANID ANTONIO THELLUNG:
Thellung, well known for his featureless females painted in flat areas of unshaded color, makes silkscreens of the same type but the figures are derived from appropriately featureless chess pieces. There are six heraldic prints to a set, limited to an edition of sixty, handsomely fitted with a portfolio and an introduction by Gian Luigi Rondi. At 300,000 lire a set they are ideal far a chess club, or a chess fanatic with artistic leanings. The oniy thing missing is an artistic chess - board although you couId play on "The Queens" with an extra twist of imagination.
Riùaldi’s paintings across the way are for art - collectors with or without literary Ieanings.
John Hart
IL MONDO 11 SETTEMBRE 1975
ANTONIO THELLUNG
Tempere e serigrafie sul te ma del gioco degli scacchi alla galleria « Flegias », via SpaIato 12. Sei serigrafie a cinque colori (ognuna di esse rappresenta un personaggio del gioco) sono raccolte in una cartella il cui prezzo complessivo è 300.000 lire: il formato è 50x70, la tiratura di 60 esemplari e 10 HO. (esemplari fuori commercio) dedicati ad personam, edizioni Grafiser, Roma. Le tempere, 50 x 70, costano 200.000 ciascuna. La stessa quotazione e lo stesso formato hanno le tempere di figure femminili; gli oli su tela vanno dalle 350.000 lire per i cm 40 x 50 a 1.000.000 per i cm IOOx 120. Opere di circa 6 mq (anche questi oli su tela) come ccljon Chisciotte» e «Il giudizio di Salomone» valgono 2.500.000.
Maria Stella Sernas
La giustizia 12 settembre 1975
Non è trascorso molto tempo da quando avemmo occasione di presentare una cartella serigrafica del pittore Antonio Thellung rivolta a più soggetti ma contenuta nei termini monocromatici del bianco e del nero strutturati in definizioni che al sintattico costrutto disegnativo geometricamente tenuto sul piano di una organica impostazione spaziale, univano un fermo rigore di stile volto a regolare il ritmico scandirsi di immagini comprese nell’ordine di una bidimensionale compiutezza morfologica su cui poggiava l’intero assetto fisionomico dei lavori. Tenemmo allora a soffermarci con particolare attenzione sul misurato calcolo metrico e sulla precisa disposizione compositiva, i quali decidevano dei nessi visuali ovunque prestantisi a conseguire soluzioni di riassunta figuralità in tutto rispondenti, per lo sdoppiarsi o il triplicaisi degli intagliati profili schematicamente motivati sulle piane superfici unitarie, ai morfologici intendimenti ed al gusto cui da sempre si attengono le opere di pittura dell’artista.
Ora le medesime indicazioni formali e un’eguale promozione stilistica, lo stesso montaggio e lo stesso incisivo lineamento del geometrico percorso che stampa le ferme partiture e le connette in coordinato assieme, intervengono nella realizzazione di una nuova tiratura di sei serigrafie policrome dedicate al tema degli «Scacchi».
Tema che si rifà, nella originale interpretazione di Thellung. ad un concetto iconografico che non vogliamo definire decorativo, anche se la ferma, composta armonia delle disposizioni e delle positure lo consentirebbe richiamando medioevali decori in controluce di vetrate absidali, austere inquadrature musive di antiche cattedrali, ma che non esclude per intero, da parte dell’artista, l’eventualità di un tale ricorso considerate, in un contesto che esclude ogni realistico riferimento, l’assolutezza di sintesi e la severità fisionomica che le immagini anche qui stagliano nei lineari contorni incastonandole in un ornativo rapporto l’enigmatico ermetismo e il senso simbolistico a suo tempo riscontrati nelle serigrafie in bianco e nero cui si accennava, ora maggiormente evidenti dati l’estrema semplificazione delle sagomate strutture e il carattere di araldica emblematicità impresso ai personaggi.
Vediamo, cosi il «Re» isolarsi convenzionalmente maestoso — una maestà forse più di re da tarocchi — sul campo della scacchiera e spiccare con i rossi smaltati e gli amaranti della veste segnata da linee essenzialissime. mentre sul vuoto ch’è al posto del viso splende l’aurea corona. Una fisica impersonalità quindi. o meglio una totale assenza fisica onde la regale presenza solo s’affida agli aspetti esteriori dei paramenti, al rutilante orpello del serto. E la significazione è evidente.
La «Regina» non presenta quella i priorità che la faceva arbitra nel classico gioco: essa, anzi, s’identifica per intero con le sue dame della scorta quasi confondendosi con loro in pluralismo per il quale perde la sua singolare assolutezza. Qui forse, in codesto ripetersi delle figure, peraltro composte in ieratico sembiante — i manti delle donne sembrano piviali. le trecce cadenti sulle spalle paiono infule —v’è un ritorno del pittore ai seriali moduli della sua tradizionale pittura in aggancio agli schemi di quel caratterizzante discorso da cui ha tratto i fattori più peculiari della sua personalità artistica.
Poi le «Torri», gli «Alfieri», i «Cavalli», i «Fanti» con la stilizzazione delle forme puntualmente oggettivate nei geometrici tratti di una finissima eleganza, con il loro fascino immoto, assorto, impenetrabile inserito in un clima di stemmata solennità e di potenza guerriera attestano di una ricerca d’arte che si basa sulla singolarità, la serietà e la bravura, su quanto é nuovo ed interessante.
Vittorio Scorza
ECOMOND PRESS 18 settembre 1975
ARTE E SCACCHI PER MERITO DELLA GALLERIA "FLEGIAS"
La Galleria “Flegias”, Arte Contemporanea, in occasione della serata organizzata dall’Accademia Scacchistica Romana in onore del Campione del Mondo di Scacchi Anatoly Karpov, ha offerto allo stesso Karpov l’ultima opera grafica del pittore Thellung, una cartella di sei serigrafie a colori rappresentanti i personaggi degli Scacchi in una suggestiva interpretazione ed intitolate appunto: “Gli Scacchi di Thellung”. La cartella, con uno scritto introduttivo di Gian Luigi Rondi, presentata recentemente alla Galleria Flegias, ha riscontrato eccezionale successo di critica e di pubblico. Il poeta spagnolo Rafael Alberti ha voluto onorare questa opera di Thellung con una sua nuova poesia che stata declamata in italiano dall’attore Efisio Cabras. Il critico d’arte Gian Luigi Biagioni Gazzoli ha detto alcune parole sul significato interpretativo dell’opera.
La poesia del poeta spagnolo intitolata: “Gli scacchi di Thellung”, dice:
Canto solo ciò che vedo./ Qua, i Re, le Regine,/ i Cavalli, gli Alfieri,/ le Torri e i Pedoni,/ profilati, stilizzati,/ forti guerrieri alteri,/ di colori trasparenti,/ celesti, rossi, azzurri,/ gialli e carminio,/ arancioni o neri,/ da vedere nell’alto/ di navata di chiesa,/ vetrata illuminante,/ tra le quali un sole misterioso/ filtrerà senza sapere/ che sa giocando al buio/ ad un gioco sconosciuto./ Canto solo ciò che vedo. Rafael Alberti.
MOMENTO SERA 26/27 settembre 1975
La galleria d’arte Flegias, nel corso di una serata organizzata in onore di Anatolij Karpov, ha offerto allo stesso Karpov l’opera grafica del pittore The1lung, una cartella di serigrafie a colori che rappresentano i personaggi degli scacchi in una suggestiva interpretazione, intitolata appunto «Gli scacchi di TheIlung». La cartella, con uno scritto introduttivo di Gian Luigi Rondi, era stata presentata di recente nella sede della galleria in via Spaiato, ed aveva riscosso un enorme interesse di pubblico.
Il poeta spagnolo Rafael Alberti ha voluto onorare questa opera di Thellung con una nuova poesia che è stata declamata dall’attore Efisio Cabras e che dice:
Canto solo ciò che vedo./ Qua, i Re, le Regine,/ i Cavalli, gli Alfieri,/ le Torri e i Pedoni,/ profilati, stilizzati,/ forti guerrieri alteri,/ di colori trasparenti,/ celesti, rossi, azzurri,/ gialli e carminio,/ arancioni o neri,/ da vedere nell’alto/ di navata di chiesa,/ vetrata illuminante,/ tra le quali un sole misterioso/ filtrerà senza sapere/ che sa giocando al buio/ ad un gioco sconosciuto./ Canto solo ciò che vedo. Rafael Alberti.
Dopo gli applausi rivolti al poeta e al dicitore, il critico d'arte Gian Luigi Biagioni Gazzoli ha detto alcune parole sul significato interpretativo dell'opera. Quindi hanno consegnato la cartella personalmente a Karpov che ha mostrato di gradirla moltissimo.
IL GIORNALE D'ITALIA 8/9 ottobre 1975
Chi va al Palazzo dei Congressi può assistere al Campionato Europeo di Scacchi, cui Anatoly Karpov non ha potuto essere presente con molto suo rimpianto. Ormai gli scacchi sono una grande attrazione. Tanto è vero che le serigrafie di Antonio Thellung ispirate agli scacchi ora sono ricercatissime ed ovviamente esposte allo Stand della Flegias, la Galleria che ha avuto la bella idea di alleate arte e scacchi.
VITA 18/19 settembre
La scacchiera ispiratrice
Il Gioco degli scacchi è un “coagulante sociale” straordinario, dice Daniele Cametti Aspri il giornalista e presidente degli Studi Scacchistici, nonché membro dell’Accademia Scacchistica Romana che ha sede in via Giulio Cesare 2 (ed è una faticaccia arrivarci a motivo dei lavori della metropolitana). Se parliamo di Scacchi come coagulante sociale è perchè è anche un coagulante artistico. Dal momento che i Re, le Regine, i Fanti, gli Alfieri ecc. sono i protagonisti di sei dipinti di Antonio Thellung che stanno diventando celebri. Vita ha già illustrato le sei serigrafie ricavate dai dipinti, perchè non era una notizia trascurabile il binomio arte-scacchi, che non si era mai verificato prima di ora.
E’ vero che esiste il famoso dramma “La Partita a Scacchi”, è vero che esiste una partita storica giocata ogni anno a Marostica sulla piazzetta trasformata in scacchiera. Ma non si hanno notizie che ci siano dipinti ispirati agli scacchi. Quelli di Thellung sarebbero rimasti conosciuti entro una cerchia di “addetti, critici, galleristi, espositori” se non fosse arrivato a Roma Anatoly Karpov, il neo campione del mondo di scacchi. Piccolo, sottile, sorridente a labbra strette, pettinato in stile “Vergottini”, Anatoly Karpov è giunto a Roma dopo i giorni passati a Milano, duramente preoccupato a giocare 21 partite, ed a vincere
E’ stato Karpov stesso a chiedere di vedere Roma e quindi Pisa e Firenze, il che ha riempito di orgoglio l’Accademia Romana, il cui presidente è Gianfranco Pompei ambasciatore d’Italia presso la S. Sede nonchè maestro di scacchi.
Derna Querel
THIS WEEK IN ROME 10/16 ottobre 1975
Anatoly Karpov stayed two days in Rome atter winning the long internattonal chess-contest in Milan, and so becoming one of the youngest chesschampion of the world. Ambassador Mr. Pompei, President of the Chess Academy, welcomed him together with the Vice-president Mr. Giuseppe Primavera ami many chess-players. Karpov has lilced very much the six litographies dealing with « Chess », a gift by Antonio Thellung, and declared he knows no painter who draws his inspiration from chess, though he is well aquainted with a chess-game played in Italy, at Marostica, where players move pawns by long poles. He knows also of a famous drama entitled «The chess-game ». Prof. Mancini, on behalf of Galleria Flegias, presented him with the wonderful litographies, emphasizing the importance of this meeting connected with chess as well as with art. Afterwards, Karpov had dinner at Augustea and a night visit to the «Tempio di Venere» near the Colosseum, guided by his friend Perosian.
AGI Agenzia Giornalistica Italia 30 settembre 1975
Gli scacchi di Thellung
La Galleria Flegias di Roma, in occasione della serata organizzata il 16 settembre scorso dall’Accademia Scacchistica Romana in onore del campione del mondo di scacchi Anatoly Karpov, ha offerto a Karpov l’opera grafica a colori "Gli scacchi di Theilung" contenuta in una elegante cartella. Questa opera del pittore Thellung, con uno scritto introduttivo di Gian Luigi Rondi, ha per tema i personaggi del gioco degli scacchi e, presentata recentemente alla Galleria Flegias, ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico. Il poeta spagnolo Rafael Alberti ha voluto onorare questa opera di Thellung con una sua nuova poesia.
Adn kronos 6 ottobre 1975
ha abbandonato te donne per gli scacchi il pittore romano antonio thellung che all’eterno femminino aveva dedicato una personale proprio nell’ultima stagione artistica, esponendo alla galleria Flegias una serie di particolarissimi ritratti di donna.
I personaggi degli scacchi sono, invece, il tema sul quale thellung è tornato al lavoro in questi giorni, mettendo a punto una cartella di opere interamante dedicata ai re, le regine, i cavalli, i pedoni; gli alfieri balzati improvvisamente alta ribalta anche grazie ai recenti campionati svoltisi proprio in Italia.
I protagonisti delle nuove stilizzazioni di thellung questa volta non interessano solo gli appassionati d’arte e di scacchi e i critici: ispirato dall’opera anche il poeta raphaet alberti ha detto la sua sugli “scacchi di thellung’’ con una poesia nella quale paragona le figure raccolte nella cartella dell’artista a tanti guerrieri ‘‘forti, alteri e fatti di colori trasparenti’’.
thellung intanto sta lavorando nel suo studio romano ad un progetto ambizioso: la realizzazione di una serie di grandi quadri (le dimensioni medie delle nuove opere sono di sei metri per quattro) che pensa di esporre all'esordio della nuova stagione artistica.
STUDI ROMANI luglio/settembre 1975
Il ligure Antonio Thellung, coi suoi volti emblematici e i suoi scacchi araldici, mercé un uso sapiente e calcolato del colore e la fredda, fin crudele talora, incisività della linea, ci trasferisce in un mondo che è quasi il riflesso scorporato di quello in cui viviamo, il fantasma ammonitore delle sue corruzioni e delle sue fragilità mortali.
Marcello Camilucci
FUTURISMO = ARTECRAZIA 27 ottobre 1975
La Galleria d’Arte “Flegias” Arte Contemporanea” di Roma in occasione della serata organizzata in onore del campione dei mondo di scaochi, Àna tolij Evgenjeviv Karpov, ha offerto al campione 1'opera grafica a colori “Gli Scacchi di Thellung” contenuta in una elegante cartella.
Quest’opera dei pittore Thellung, con uno scritto introduttivo di Gian Luigi Rondi ha per tema i personaggi del gioco degli scacchi e, presentata nei giorni scorsi alla Galleria “Flegias”, ha riscosso un eccezionale successo di critica e di pubblico. Il poeta spagnolo Rafael Aiberti ha voluto onorare quest’opera di The1lung con una sua nuova poesia che è stata declamata, tradotta in italiano, dall’attore Efisio Cabras. Il critico d’arte Gian Luigi Biagioni Gazzoli ha intervistato l’Autore sul significato interpretativo dell’opera.