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Collevalenza - convegno di capodanno

31 dicembre 2002 – 1 gennaio 2003

 

Ripartire dall'amore coniugale
di Antonio e Giulia Thellung
 

Giulia

Tanto per presentarci, fra qualche mese compiremo i 50 anni di matrimonio, abbiamo tre figli e sette nipoti tra i 26 e i 4 anni, viviamo da 22 in una piccola comunità di famiglie, la Comunità del Mattino, non ci mancano i problemi ma ci divertiamo tanto a essere sposati. Non abbiamo segreti da nascondere e cercheremo di farci conoscere meglio nel corso di questo incontro.
Siamo grati a tutti voi di averci invitato, perché è sempre, per noi, una grande festa incontrare altri sposi e chiunque sia interessato alla vita coniugale.

Antonio

Agganciandomi al titolo di questo incontro, anticipo subito la mia convinzione profonda che, di fronte al nostro tempo inquieto che sembra volersi specializzare nel maltrattare sempre più la speranza, la possibilità d'invertire la rotta stia nel ripartire dall'amore coniugale, condizione primaria per rivitalizzare il senso e il valore della famiglia. Le crisi di matrimonio hanno ormai crescita esponenziale, modificando il senso stesso degli equilibri sociali esistenti, ma personalmente resto convinto che lo spirito familiare sia indispensabile per creare armonia di vita, anche se ha indubbiamente bisogno di rinnovarsi per stare al passo con l'evoluzione presente. E il primo rinnovamento passa appunto dall'amore coniugale, che ha bisogno di liberarsi da tanti pregiudizi mortificanti, tali da impedirgli sovente di esprimersi come merita.
Ma per poter parlare di un argomento così bello e affascinante sono necessarie alcune premesse. Il nostro mondo sta muovendosi in direzioni preoccupanti, per non dire disastrose, per questo insisto nel sottolineare che oggi sarebbe importante innanzi tutto una conversione dei buoni, perché l'esasperarsi di contrapposizioni a tutti i livelli, dal rapporto di coppia fino alla guerra tra stati o culture, deriva soprattutto, mi sembra, dalla convinzione di chi si sente dalla parte giusta (i buoni di turno) che siano gli altri a dover cambiare. Eppure Gesù ha detto: «se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo». Tutti, buoni e cattivi. La prospettiva non è divertente, e noi cristiani ci sentiamo particolarmente interpellati. La Chiesa intera, sia pure con sensibilità diverse nelle varie sue componenti, avverte ormai irrinunciabile la necessità di un rinnovamento, se vuole sperare di mantenere un ruolo significativo nella società del futuro. L'epoca di quelle che si potrebbero chiamare le "verità garantite" ha fatto il suo tempo, un rapporto di qualsiasi tipo tra autorità e sudditi non viene più accettato, mentre si avverte sempre più urgente il bisogno di promuovere un'autentica Chiesa delle coscienze, forse più rischiosa dal punto di vista anagrafico, ma capace di risuscitare la voglia d'impegnarsi sulla via di Cristo, che oggi per tantissimi giovani di valore non sembra abbastanza attraente. Non mi soffermo oltre su questo argomento che ho già approfondito in altre occasioni, rimandando chi fosse interessato al mio saggio: "Con la Chiesa oltre la Chiesa". Ribadisco solo che da parte mia credo che la Chiesa avrebbe possibilità di farsi leader, in questo mondo che sta andando alla deriva, a patto però che rimetta al primo posto l'annuncio del messaggio di Cristo, e si decida a considerare secondario tutto ciò che riguarda il governare se stessa.
Del resto la necessità d'un rinnovamento radicale si avverte anche a livello di magistero. Ad esempio, è uscito recentemente un documento del vescovo Moretti, responsabile della pastorale familiare del Vicariato di Roma, che fa alcune affermazioni trancianti. Ne leggo alcune frasi: «.... se le cose continuassero in questo modo non c'è da stare allegri per il futuro, e le prospettive per le nostre parrocchie non sarebbero esaltanti..... ciò che uccide e toglie le forze..... non è il dover lavorare, ma il lavorare senza prospettive, senza un futuro che non sia la stanca e sempre più illanguidita conservazione dell'esistente..... tutta l'impostazione dell'offerta religiosa tradizionale è fondata su una distinzione "chierici" – "laici" che nella società di oggi è stata completamente ribaltata..... occorre "declericalizzare" l'offerta religiosa. Ritagliarla cioè sulle reali esigenze delle persone e delle famiglie..... assistiamo al declino dei religiosi..... e già si sa a chi cederanno il testimone dell'evangelizzazione e della carità: alle famiglie cristiane».
Insomma, questa Chiesa del futuro potrà essere efficace soltanto se ci sarà un autentico cambio di mentalità, nel senso che finora la teologia l'hanno fatta i chierici, mentre i laici hanno sempre avuto funzioni soltanto esecutive. Ma se la nuova impostazione pastorale auspicata da Monsignor Moretti prevede la paritetica «complementarità dei due sacramenti dell'Ordine e del Matrimonio» perché «né gli sposi da soli né i sacerdoti da soli possono costruire l'autentica comunità cristiana» ma «solo insieme», allora anche la teologia matrimoniale, e in particolare la morale coniugale, dovrà essere riesaminata, ripensata, riformulata insieme, in un intreccio paritetico tra chi ha il carisma dell'ordine e chi, essendo ministro del matrimonio, può mettere alla prova concretamente, nella vita vissuta, «le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio». Non mi soffermo a esprimere le mie opinioni su quali aspetti della teologia matrimoniale (ma non solo) dovrebbero essere rivisitati insieme da chierici e laici, rimandando chi ne fosse interessato a due miei scritti: "La morale coniugale scompaginata" e "Un po' meno della verità". Il primo specifico sul matrimonio e la sessualità, e il secondo sulla necessità di ricercare un'immagine di giustizia e un modo di accostarsi alla verità che non siano emarginanti per nessuno, dal momento che siamo tutti fratelli, figli dello stesso Dio.
Per tornare alle famiglia, indicata anche dal magistero, come abbiamo visto, come soggetto fondamentale del futuro, è importante sottolineare che è figlia dell'amore coniugale, un frutto che può essere dolce, succoso, ben maturo, ma può anche restare acerbo o addirittura marcire. Anche la famiglia, come qualsiasi frutto, dipende dalla bontà dell'albero, che a sua volta per crescere sano, robusto e rigoglioso ha bisogno non solo di terreno fertile, ma anche di essere concimato e innaffiato con cura.
La mia convinzione, maturata nell'esperienza vissuta è che qualsiasi rinnovamento religioso o sociale debba ripartire dall'amore coniugale, che nel corso degli anni è stato per la verità molto maltrattato, perché i pregiudizi sessuali che hanno accompagnato la nostra storia hanno sovente inciso negativamente sulla costruzione di rapporti sereni e condivisi, costringendo numerosi coniugi a pesanti sforzi per trovare armonia, anziché facilitarli nella ricerca di un rapporto ricco e sereno, indispensabile per creare ambienti socialmente fecondi. Fino alla soglia della nostra epoca, e talvolta ancora al presente, molti, moltissimi coniugi hanno sentito contrastare, direttamente o indirettamente, la loro voglia di costruire, e il matrimonio stesso è stato sovente mortificato da norme e disposizioni che oggi sono considerate (unanimamente o quasi) non più sostenibili.
Tutti conoscono i pregiudizi della morale cattolica sulla sessualità, ma temo che forse non si conoscono abbastanza. Voglio fare quattro brevi citazioni tratte da scritti di teologia morale attraverso i secoli: «Desiderate l'unione fisica solo per generare figli, e poiché non potete averne in altra maniera, abbassatevi a quell'atto con dolore». «È impossibile che il piacere possa essere senza colpa.... l'atto coniugale non può mai avvenire senza colpa, almeno veniale». «Le relazioni coniugali sarebbero senza peccato soltanto se si rinunciasse al piacere». «I rapporti coniugali compiuti per il piacere attentano alla santità del matrimonio. Non solo il piacere non può essere la ragione esclusiva dell'atto coniugale, ma non può neppure accompagnare il desiderio della procreazione senza che ci sia peccato. Perciò il motivo del piacere non può essere presente a nessun titolo nella vita coniugale».
Questi brevi esempi, che possono essere generalizzati perché sintetizzano opinioni frequentemente ripetute attraverso i secoli, aiutano a comprendere quanto poco si sentirebbero incoraggiati i coniugi, se dovessero considerarle prescrizioni da seguire in concreto. Si potrebbe avere la tentazione di liquidarle come espressione di un passato non più valido, ma da parte mia credo invece assai più positivo prenderle in seria considerazione e riesaminarle insieme, per poter poi elaborare proposte coniugali che non siano più costrette a misurarsi con ambigue fluttuazioni non risolte, che possono riaffiorare qua e là come mine vaganti. Infatti, se oggi talune di queste affermazioni vengono per lo più accolte con un sorriso e un'alzata di spalle, una certa mentalità che le ha generate, anche se in forme assai più contenute, permane tuttora, incidendo negativamente sulla situazione odierna.
È indubbiamente vero che il Concilio, e poi l'Humanae Vitae e numerosi altri documenti ecclesiastici, abbiano più volte sottolineato anche il "significato unitivo", oltre che procreativo, dell'atto coniugale, riconoscendo perciò che per i coniugi il "gusto" di unirsi è un valore in se stesso. Ma mi sembra che l'argomento non sia sufficientemente chiarito, lasciando che le ambiguità continuino a far danni, se non altro continuando a lasciar credere che il matrimonio cristiano debba essere mortificato da caratteristiche non attraenti per i giovani d'oggi. In proposito, è noto quanto impegno questo Papa abbia dedicato alla catechesi matrimoniale, svolta regolarmente per oltre quattro anni nelle sue tradizionali udienze del mercoledì (oltre che in numerose altre occasioni). Buona parte di tale catechesi è stata dedicata a mettere in guardia dai rischi della concupiscenza, cosa che ogni coniuge cristiano non può che approvare e apprezzare. E tuttavia, in taluni punti, commentando il brano sul commettere adulterio nel cuore, ha insistito nell'accostare insieme, quasi fossero sinonimi, concupiscenza e desiderio. Come mai?
Ecco alcune citazioni testuali: «L'uomo che guarda per desiderare è indubbiamente uomo di concupiscenza»; «guardare con desiderio indica un'esperienza del valore del corpo in cui il suo significato sponsale cessa di essere tale»; «il desiderio è, direi, l'inganno del cuore umano nei confronti della perenne chiamata dell'uomo e della donna.... alla comunione attraverso un dono reciproco». Fino ad affermare: «l'adulterio nel cuore viene commesso non soltanto perché l'uomo guarda in tal modo la donna che non è sua moglie, ma appunto perché guarda così una donna. Anche se guardasse in questo modo la donna che è sua moglie commetterebbe lo stesso adulterio nel cuore». Dilungarsi oltre, in questo contesto, appesantirebbe il discorso, ma il riferimento è d'importanza capitale per poter sottolineare lo straordinario valore positivo di uno degli elementi chiave della comunione sponsale.
Mi azzardo a credere di aver capito il senso globale espresso dalla catechesi del Papa, che mettendo in guardia dalla concupiscenza ha inteso valorizzare l'amore oblativo, unico autentico amore. Mi sento pienamente d'accordo nella sostanza, e vorrei aggiungere che provo una gratitudine profonda per tutte le sue aperture innovative, in questo e in altri campi della vita ecclesiale. La mia intenzione è ben lungi dal voler muovere delle critiche a quel che ha detto, solo che mi chiedo come mai un tale uso negativo della parola desiderio, quasi fosse un semplice aspetto della concupiscenza. Per esperienza diretta, e per essermi nel tempo coinvolto con numerose altre coppie, mi sentirei di affermare che qualsiasi coniuge di coscienza sia in grado di identificare in maniera inequivocabile il confina tra desiderio e concupiscenza. Ma aggiungerei che nessun coniuge che viva pienamente il proprio matrimonio potrebbe mai considerare negativo il desiderio, o confonderlo con qualcos'altro.
Il desiderio fra i coniugi, quando è senza doppiezza, è simbolo della donazione reciproca, perciò, per il bene della vita sponsale e della famiglia, dovrebbe essere valorizzato e incoraggiato, e non mortificato. Come mai allora quest'uso negativo della parola desiderio? Non saprei dire, ovviamente, ma per azzardare un'ipotesi, temo che l'equivoco nasca dal permanere (forse nell'inconscio) di un'eredità del passato oggi non più giustificata, perché incompatibile con il Concilio e il complesso delle attuali posizioni ecclesiastiche.
Spero sia abbastanza chiaro che a me non interessa muovere delle critiche, ma sottolineare una caratteristica di straordinario valore nella vita coniugale. Proprio per questo, a suo tempo, sono rimasto molto male quando la stampa ha ironizzato pesantemente su tali affermazioni del Papa. Ricordo di aver letto: per i cattolici non è lecito desiderare far l'amore con il proprio coniuge, e anche: niente di nuovo, il Papa ha detto la sua e nessuno gli da retta. Una sofferenza acuta, e in quest'epoca di grave crisi della famiglia, e con il dilagare di tante perversioni, penso sarebbe ora di elaborare una limpida proposta cristiana che inviti a valorizzare il sesso all’interno del matrimonio. Qual bene può derivare dal lasciar prosperare ambiguità, che suonano come invito a vergognarsi del desiderio reciproco, a reprimere ciò che può unire, a facilitare stati di conflitto psicologico, a vivere un amore sessualmente asettico, pena, altrimenti, il rischio di cadere in adulterio? È importante insistere sui rischi della concupiscenza, ma c’è da sperare e augurarsi che un desiderio, equilibrato e appassionato a un tempo, sia presente in ogni matrimonio. Altrimenti le probabilità di fallimento diventano altissime, dal momento che la maggior parte delle crisi e delle separazioni, e anche delle occasioni di adulterio, nascono quando il desiderio si attenua o svanisce del tutto.
Al contrario, quando la concupiscenza è ormai imbrigliata, perché una volta liberi da intenzioni possessive i coniugi non faticano più a donarsi l'un l'altro, allora diventa possibile utilizzare creativamente tutta la prorompente energia che si sprigiona dal desiderio reciproco. Per sperare in un rilancio del matrimonio cristiano sarebbe molto positivo che l'autorità ecclesiastica se ne rendesse conto e si preoccupasse di stimolare gli sposi a coltivarlo creativamente all'interno del matrimonio, suo luogo naturale. Tra l'altro, come si può pensare di contenere i rischi di adulterio, se non proponendo di vivere una sessualità ricca di desiderio reciproco, tra coniugi, e quindi pienamente soddisfacente per entrambi? Per esperienza vissuta, mi sento di testimoniare che si tratta di un elemento chiave per l'equilibrio sponsale, che è già così difficile senza moralismi. Figuriamoci poi quando viene caricato dal timore che i suoi aspetti attraenti debbano essere mortificati.

Giulia

A proposito di moralismi, vorrei dire che un tempo le difficoltà che incontravo nella confessione mi hanno fatto molto soffrire. Con Antonio, non avevamo ancora imparato abbastanza a condividere i problemi, eravamo (e siamo) diversi di temperamento, e all'inizio del nostro cammino avevamo opinioni diverse su molte cose. Non avendo un confessore fisso mi rivolgevo all'uno o all'altro, così come capitava. Col risultato che per le stesse cose qualcuno andava in escandescenze minacciando di negarmi l'assoluzione, mentre qualcun altro mi diceva che quel tipo di cose non ero neanche tenuta a dirle. Mi sentivo confusa e non capivo più niente. Era soprattutto un problema mio, perché quando tentavo di condividerlo con Antonio mi accorgevo che per lui non era un problema. Del resto, in senso più generale, conosco molti che pensano o dicono al coniuge: questo è un problema tuo, non mio. Ma nel matrimonio non esiste un problema che sia dell'uno e non dell'altro, perché anche quando uno non lo sente, il problema investe lo stesso anche l'altro, ed è sempre problema di tutti e due.
Col tempo abbiamo imparato a discuterne insieme, insistendo anche quando c'era disaccordo, anziché lasciar perdere pro bono pacis, e questo ci ha aiutato molto, perché continuare a condividere anche quando c'è disaccordo può essere difficile, e talvolta sgradevole, però è importantissimo per crescere insieme, per trovare insieme qualche soluzione. Che non è detto sia l'ideale per l'una o per l'altro, ma l'importante è che favorisca un cammino comune. Noi abbiamo lottato, abbiamo passato notti intere a discutere, abbiamo avuto diversi scontri che alla lunga, però, sono stati molto positivi. Ci hanno avvicinato, abbiamo imparato a conoscerci meglio, e da parte mia sento di aver imparato a ragionare di più con la mia testa e a essere più libera.
Condividere in profondità è molto difficile, perché i contrasti rischiano di far scattare qualche forma di contrapposizione. Il nostro rapporto ha avuto un salto di qualità quando ci siamo accorti che la comunicazione non passa se la sintonia all'ascolto è scarsa, e allora abbiamo cominciato a chiederci reciprocamente: hai qualcosa da dirmi? va tutto bene, o c'è qualcosa che non va? posso fare qualcosa per te? E ci siamo accorti che l'offerta esplicita di ascolto e disponibilità facilita la comunicazione in modo straordinario, e quando ci sono problemi le soluzioni si prospettano assai più facilmente. Così la fiducia ha fatto grandi passi avanti, perché impostando la comunicazione sull'aiuto reciproco anziché sul contrasto, abbiamo finalmente capito che le cose sgradevoli non vengono dette per ferire, ma per poter crescere insieme. Talvolta mi capitava di restare irritata, ma poi mi rendevo conto che la critica del coniuge, di uno che mi vuole bene, è sempre positiva. Se è calzante, perché mi è d'aiuto e di stimolo per migliorarmi, e se non è calzante per poter aiutare lui a togliersi dei pregiudizi. Su questo cammino, un passo dopo l'altro, il nostro rapporto è cresciuto via via, e speriamo non si stanchi di crescere ancora nel futuro.

Antonio

Il nostro itinerario è stato lungo e travagliato. Abbiamo sempre avuto momenti piacevoli e costruttivi, ma ci siamo anche tanto contrastati fino a rischiare, più volte, d'imboccare vie divergenti. Per giungere a una svolta definitiva, nel senso del superamento d'ogni rischio di accontentarci del meno peggio, ci abbiamo messo quasi trent'anni. Ma non c'è da scoraggiarsi, basta guardare avanti. Da parte nostra sono ormai più di vent'anni che questa pienezza coniugale ce la godiamo tutta! E chissà per quanti anni ce la godremo ancora. Quel che è importante, soprattutto per chi ha un lungo futuro davanti a sé, è porsi il problema di come ottenere risultati accelerati. Perché col tempo una certa maturazione può dirsi naturale, ma se è possibile anticiparla tanto meglio. Così ci siamo posti il problema di creare situazioni favorevoli, giungendo in particolare a identificare e maturare insieme, con le sorelle e i fratelli comunitari, un tipo di atteggiamento che abbiamo chiamato fedeltà creativa.
La parola fedeltà sovente viene percepita in senso legalistico: siamo sposati, perciò io devo esserti fedele e tu devi essermi fedele. Ma se fosse un dovere da compiere sarebbe la tomba dell'amore. Tutto è cambiato fra noi quando abbiamo rovesciato l'ottica e mi sono chiesto: a me interessa veramente la sua fedeltà? E dato che mi sono risposto di sì, ho cercato d'identificare quali miei atteggiamenti possono facilitarle il compito, e quali invece spingerla verso qualsiasi forma d'infedeltà, non soltanto di carattere fisico. Interrogativi fondamentali per un cambio di mentalità, che significa lavorare per l'interesse reciproco, riscoprire ogni giorno la persona amata, smetterla di pretendere che sia l'altro a cambiare o a doversi convertire, per cominciare dalla propria conversione. Perché nel rapporto coniugale bisogna anche saper perdere, e se uno ha il coraggio di perdere si accorge subito di aver guadagnato qualcosa. Non si può vincere a danno del coniuge: si può solo con-vincere: vincere insieme. O si vince insieme o si perde entrambi.Un equivoco molto comune è credere che andare d'accordo significhi pensare e sentire allo stesso modo, e invece, scontrandoci su quello che si potrebbe chiamare il campo di battaglia, ci siamo resi conto che andare d'accordo è litigare tenendosi per mano. Perché la nostra natura ci spinge al conflitto, ma continuando a tenerci per mano prima o poi troveremo una soluzione, riusciremo a con-vincerci, a vincere insieme.
La fedeltà creativa non può essere imposta, ma dev'essere offerta e ricambiata. Si preoccupa soprattutto di non lasciare spazi inesplorati, nel rapporto di coppia, che potrebbero schiudere le porte a potenziali infedeltà. Non esistono problemi che siano solo dell'uno o dell'altro, e rifiutare di coinvolgersi nelle difficoltà del coniuge sarebbe come autorizzarlo a cercare soluzioni altrove. Se dicessi a Giulia: questo è un problema tuo, e lei per risolverlo si coinvolgesse con qualcun altro, col rischio che poi vada a finire come si può immaginare, con quale faccia potrei accusarla di avermi tradito! Non rischierei di sentirmi rispondere: come? Ti ho chiesto aiuto e tu mi hai lasciato sola. Non è stato quello tuo un tradimento?
La fedeltà bisogna volerla, cercarla, favorirla. E la via maestra è facilitarsi la comunicazione per conoscere bene pensieri, aspirazioni, difficoltà, frustrazioni, e poter lavorare insieme per tutto quello che è d'interesse reciproco. Per riuscirci è indispensabile imparare a farsi dire, un'arte difficilissima. Perché se non voglio farmi dire, Giulia non riuscirà a dirmi nulla; mentre se le dimostrerò che desidero veramente conoscere il suo pensiero, anche se sgradevole, allora non solo lei si aprirà, ma lo farà nel modo migliore, rinunciando a quell'agressività che sorge spontanea quando le fisiologiche difficoltà a comunicare finiscono per far gettare brutalmente in faccia quel che c'è da dire. Talvolta, farsi dire può essere molto faticoso, ma è il modo migliore per conoscersi a fondo e per aiutarsi l'un l'altro.
Ed è importante dirsi non soltanto il negativo, ma anche il positivo, dirsi ti amo o qualcosa di equivalente, anche quando fatti e gesti sono già abbastanza evidenti. Alcuni pensano sia inutile perché tanto lo sai che ti amo. Che sciocchezza! Sarebbe come dire che non ha senso mangiare un cioccolatino, dal momento che già si sa che è buono. E invece, anche se lo so bene, ogni volta che ne mangio uno me lo gusto come se fosse la prima volta. Noi ci diciamo spesso il nostro amore, utilizzando molte parole diverse, anche perché ci siamo accorti che condividere il positivo è un modo per stimolarsi a dare il meglio di sé.

Giulia

Avere degli interessi comuni, fare qualcosa di bello insieme, andare in qualche museo o fare una passeggiata in montagna, coinvolgersi insieme nell'arte e nella natura. Oppure fare un viaggio alla scoperta di realtà diverse, interrompere la vita quotidiana anche per riscoprire la propria intimità in contesti diversi, fuori da schemi stereotipati. Ecco che cosa può dare veramente aria fresca e spirito nuovo al rapporto. Noi abbiamo fatto dei bellissimi viaggi, e più volte ci siamo coinvolti profondamente di fronte alla natura o a qualche opera d'arte, piangendo insieme di commozione. Ci siamo veramente sentiti una cosa sola, e ci rendiamo conto che quei momenti hanno inciso in maniera determinante sul nostro matrimonio. Ascoltare musica, leggersi reciprocamente qualcosa di coinvolgente, talvolta anche semplicemente vedere la televisione, se c'è qualche bel programma: l'importante è farlo insieme, perché il matrimonio è bello, e bisogna sfruttare tutto quello che può farlo diventare sempre più bello, sempre più vivo.
Avere interessi comuni è qualcosa che unisce, ma è anche normale avere ciascuno dei propri interessi. Per esempio, entrambi ci occupiamo di malati ma in maniera diversa. Lui cura a domicilio i malati terminali, mentre io mi occupo di bambini all'ospedale Bambino Gesù. Ma parliamo insieme dei fatti più significativi, così entrambi sappiamo molte cose su malati che non conosciamo personalmente. Abbiamo anche interessi personali non equivalenti: lui, ad esempio, ha una particolare interesse per la musica, mentre io da anni mi dedico alla meditazione. Ma lui viene sovente a meditare con me, e più volte ascoltiamo musica insieme.
E poi, come ha già detto Antonio, è fondamentale condividere il positivo. Perché spesso i problemi tendono a invadere tutto lo spazio, col rischio di far scadere la condivisione a continue discussioni. Così, se è importante discutere su quel che non va, è stimolante sentirsi d'accordo nel valutare le cose positive. Io lo so che tante cose mie le apprezza, ma quando me lo dice mi sento incoraggiata a dare il meglio di me. È come per i bambini: se ci rivolgiamo a loro solo per sgridarli o per riprenderli, finiranno per credere di saper fare solo cose negative. Mentre apprezzarli e sottolineare quel che fanno di buono, trasmetter loro stima e fiducia, oltre che affetto, li aiuta a crescere in modo equilibrato e creativo.
Noi cerchiamo soprattutto di coltivare la spiritualità nel quotidiano, e sovente ci accorgiamo che subito dopo uno scambio di affettuosità nasce spontanea la voglia di pregare, come dopo aver pregato è facile scambiarci un "ti amo". Quando siamo a tavola ci capita spesso. E poi abbiamo sempre più l'abitudine di prenderci in giro. Ognuno di noi ha le sue piccole manie, che con l'età aumentano, e così ridiamo volentieri l'uno dell'altro, e ancor più di noi stessi. Una volta mi seccavo e certe volte mi offendevo, ma poi ho capito che non c'è nulla di meglio per ridimensionare le sciocchezze. Talvolta ridiamo come due scemi, ma non ce ne vergognamo, neppure quando qualcuno ci vede. Per fare un esempio, una volta, parecchi anni fa, mi ero comprata una crema antirughe, e sapete che cosa mi ha detto quando l'ha vista? Dovevi pensarci prima! Ho tentato di picchiarlo, ma ci siamo divertiti un sacco. E ancora adesso, quando mi capita di mettermi qualche crema, talvolta gli chiedo: dovevo pensarci prima, eh? E il divertimento rinasce.

Antonio

La stranezza è che a me le sue vecchiezze piacciono. Ricordo che molti anni fa, quando avevano cominciato a manifestarsi nel fisico di entrambi qualche segno del tempo, come grinze o sfioriture della pelle, ero un po' preoccupato, perché temevo che ben presto sarebbe svanita l'attrazione reciproca. Invece devo dire che evidentemente, nel nostro lungo percorso, la bussola e gli altri strumenti di navigazione si sono personalizzati su di noi. Le vedo, le vedo bene le sue vecchiezze, non sono mica cieco. Eppure continua a piacermi, tanto. Talvolta, quando incontro qualche signora della sua età, mi sorprendo a chiedermi se potrei trovarla attraente, e subito mi dico di no, perché la vecchiezza non attrae. Ma quella di Giulia è un'altra cosa, perché si è modellata sul nostro amore. Su di lei i segni del tempo non mi creano alcun problema, e non frenano affatto il nostro desiderio d'intimità. Questo è un miracolo, questo significa che veramente invecchiando siamo maturati insieme. Aggiungerei che la mia sposa mi è sempre piaciuta, tanto. Da giovane era molto bella, ma oggi non la vorrei più giovane, perché temo che rischierei di non riconoscerla più, di non sentire accanto a me la compagna di tutta una vita.
Noi cerchiamo di sviluppare e vivere una spiritualità esistenziale, per cercare di rendere preghiera, come suggerisce San Paolo, il mangiare, il bere e qualunque altra cosa. Voglio fare un esempio: ricordo l'ultima volta che siamo stati ad Auschwitz, nello sterminato campo di Birkenau, abbiamo girato a lungo, talvolta ciascuno per conto proprio per poi ritrovarci accanto, riprenderci per mano, e di nuovo muoverci in direzioni diverse. Eravamo soli, siamo stati tanto tempo, seduti dentro qualche baracca, o davanti ai resti dei forni crematori. La sofferenza era tremenda e sentivamo di viverla insieme, quasi di scambiarcela. Il pianto di Giulia trascinava il mio, e l'esperienza mistica era fortissima.
Mi rendo conto, dicendolo, che Auschwitz può essere quasi assimilato a un santuario, a un luogo religioso, e allora voglio fare un altro esempio: qualche anno fa siamo stati a Parigi, e abbiamo scoperto, al museo dell'Orangerie, le ultime grandi tele di Monet. Non ci aspettavamo uno spettacolo simile, e siamo rimasti sconvolti. Anche in quell'occasione abbiamo versate non poche lacrime, ogni tanto ci guardavamo negli occhi e ci veniva da ridere, ma non per questo smettevamo di piangere. Chissà cos'avranno pensato gli altri visitatori, ma per noi è stata un'esperienza mistica indimenticabile. Qualcuno si chiederà: ma Monet che cos'ha di divino? Ma se lo Spirito Santo soffia dove vuole, se Cristo viene a noi attraverso i fratelli, quando ci troviamo coinvolti nel suo nome, perché la stessa cosa non dovrebbe accadere anche attraverso un fratello così sensibile come Monet? Fatto sta che per noi, quell'esperienza, è stata una preghiera intensissima. E credo che ciò sia accaduto perché eravamo insieme, perché il nostro piangere, pur se ridicolo per certi versi, ci confermava che i nostri cuori battevano all'unisono. Se fossi stato solo, avrei visto qualcosa di bello e basta. Vivendolo insieme, invece, quel momento si è trasformato in esperienza divina.
«Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» dice Gesù. E chi, più di due coniugi, può riunirsi nel nome di Cristo, per salvarsi insieme (ricordiamoci che Gesù significa salvezza) da una vita piena d'insidie, che rischia di trascinarci nel baratro? O, in altre parole, per creare quell'unità di coppia che è simbolo di redenzione, di riscatto da ogni forma d'individualismo? Una volta i greci, nella loro lingua, usavano il duale, che non è né singolare né plurale, ma un insieme di coppia. Nel linguaggio, poi, il duale si è perso, ma è importante richiamarlo e riscoprirne il senso, perché maturando la coppia passa dal tu e io al noi, nel quale il tu e io restano integri, ma non più indipendenti. E aggiungerei che solo chi non vive simili esperienze può sentirsi perplesso o spaventato da questa dipendenza reciproca, mentre chi la sperimenta assapora una ricchezza di vita altrimenti impossibile da conoscere. Mi vengono i capelli dritti a pensare che se fossimo rimasti su posizioni conflittuali, con Giulia, non avremmo conosciuto la realtà attuale.
Il senso del duale ha grande valore simbolico per ripartire dall'amore coniugale. Ho cercato di esprimerlo nel mio ultimo libro, Il sapore dell'amore compiuto, che è un romanzo e non un'autobiografia, perché le vicende sono costruite sulla fantasia. Ma simbolicamente esprime il senso del nostro amore vissuto. Un racconto che contiene anche molte problematiche esistenziali, perché il protagonista s'interroga ripetutamente su quanto sia possibile, in un mondo così intriso di tragedie quotidiane, vivere la propria felicità. E confesso che, mentre un tempo credevo che felicità e angoscia fossero in alternativa: o l'una o l'altra, da parecchio tempo, invece, le sento intrecciate insieme in modo paradossale. Quel che mi consola e allegerisce il versante angoscia, è condividere anche queste sensazioni con la mia sposa.
Ci sentiamo inondati dalla Grazia di Dio, che forse viene riversata su tutti, ma la nostra fortuna è esplosa quando ce ne siamo accorti. Perciò ci sentiamo di dire a chi non se n'è ancora accorto: siete sempre in tempo, ponetevi il problema e forse vedrete sciogliersi le difficoltà, e vi sentirete stupiti di quanto sia facile costruire anziché contrapporsi. Provare per credere, anzi, per dirla con il vangelo: chi ha il coraggio di provare non perderà la sua ricompensa. E noi lo possiamo dire soprattutto oggi che siamo vecchi, perché amarsi da vecchi è una grandissima Grazia di Dio. È il tempo che si spende a costruire insieme un amore personalizzato, che fa innamorare sempre di più, giorno dopo giorno. Che follia rovinarsi la vita passando il tempo a combattere l'uno contro l'altro! Come non capire che è darsi la zappa sui piedi, che è fare il proprio danno! Ci si sposa per essere felici, e quante volte invece ci si fa del male, tanto, tanto male! Quell'incapacità di stendere la mano, di accogliere uno sguardo, di uscire dal proprio arroccamento per cercare il bene comune! E pensare che l'amore ha una grande facilità di esprimersi: basterebbe rendersi amabile e il gioco è fatto. Da quando la mia sposa ha preso l'abitudine di facilitarmi il compito, il mio amore per lei continua ad arricchirsi d'immensa gratitudine, perché amare è la cosa più bella del mondo, molto più che essere amati. Oggi a me non salterebbe più in mente di dire a Giulia: ti ringrazio perché mi ami, ma gli ripeto invece: ti ringrazio di amarti. Perché so che la Grazia di sperimentare questo incredibile stato d'animo dipende dal suo rendersi amabile. Che altro potrei desiderare?
Alcuni riscontri oggettivi dimostrano che non si tratta di teoria. Ho già parlato dei segni di vecchiezza che non infastidiscono per nulla i vecchi innamorati. E il reciproco odore? Come mai l'alito di molte persone mi disturba anche da lontano, e quello della mia sposa mai? E poi quanto è bello stare vicini, in silenzio, magari a contatto di pelle. Col tempo si sente crescere il gusto di un erotismo nient'affatto schiavo del piacere, ma sempre più strumento di comunicazione e di unione. Il matrimonio è proprio come il vino buono, che invecchiando migliora.
Fantasie? Chi conosce soltanto esperienze conflittuali tenderà a pensare che si tratti di pura teoria. Pirandello direbbe: così è se vi pare. Infatti chi non varca la soglia del coinvolgimento coniugale senza riserve ha ragione a restare scettico. Mentre chi la varca.....
Non per nulla Gesù dice: sia fatto a voi secondo la vostra fede.




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