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Roma 17 marzo 2004

 

Incontro con Antonio Thellung sul tema: Fede, etica, morale


Tra naturale e normale

Intanto grazie di avermi invitato: sono molto contento di essere qui a dialogare con voi. Cominciamo dal titolo, che per la verità m'intimidisce, perché se dovessimo, non dico sviscerare, ma almeno approfondire adeguatamente questi argomenti avremmo bisogno di chissà quanto tempo. Mi limiterò a esprimere in modo sommario quel che più sento vivo in questo periodo della mia vita, e poi eventualmente approfondiremo qualcosa con domande e risposte. Direi che etica e morale sono sinonimi, anche se abitualmente si tende a usare etica in senso filosofico, e morale più sul versante pratico e applicato. In realtà, in greco "ethos" significa costume, e altrettanto "mos, moris" in latino. Insomma l'etimologia è praticamente la stessa, e nella radice sembra voler indicare che morale (o etico) può dirsi ciò che è conforme ai costumi, agli usi, e quindi ai tempi ai quali si riferisce. Ma se così è, allora la morale non può essere considerata qualcosa di rigido e immodificabile, perché cambierebbe automaticamente col modificarsi degli usi e delle abitudini. E infatti nessuno nega che talune cose considerate scandalo in epoche passate oggi non scandalizzano più, e vice versa. Ben diverso è il moralismo, che in qualche modo considera immodificabile ciò che è stato definito una volta per tutte, anche se le circostanze cambiano.
Comincerei col distinguere le differenze di significato tra le parole naturale e normale. Nel linguaggio comune diciamo spesso "è naturale" per dire "è normale", come se fossero sinonimi. Ma non è affatto così: ad esempio, io indosso una camicia, dei pantaloni, un abito, e altrettanto fate tutti voi. Indossare abiti (per gli esseri umani) è assolutamente normale, eppure non è naturale, perché non è la natura a fornire abiti. Di esempi simili se ne possono trovare tanti: qui siamo riuniti all'interno di un edificio, cosa assolutamente normale anche se gli edifici non sono naturali. Per approfondire, ci sono oggi parecchi fatti innaturali che stanno diventando normali, per esempio i trapianti di organi. Trapianti di rene, di fegato, di cuore o altro si può ben dire che siano diventati normali. Eppure sono quanto di più innaturale esista. La natura infatti ci fornisce un organismo nel quale tutte le cellule hanno lo stesso codice genetico, mentre col trapianto inseriamo un organo con codice genetico diverso, tant'è vero che ci sono problemi di rigetto. Eppure tali pratiche, indubbiamente non semplicemente innaturali ma addirittura contro natura, sono ormai normali, e sono valutate, si può dire da tutti o quasi, in modo positivo. Più problematiche sono le valutazioni sugli OGM, certamente non naturali, ma che tendono a farsi sempre più normali. O anche le manipolazioni genetiche, rispetto alle quali taluni guardano con orrore finché pensano possano produrre mostruosità, pronti però a lodarne i benefici se s'ipotizza che ano servire a curare malattie o malformazioni.
Se ora accostiamo alla sessualità questa riflessione, si può dire indubbiamente che l'eterosessualità sia naturale e normale. perché madre natura produce maschi e femmine con caratteristiche complementari (dato naturale), i quali da sempre si accoppiano (dato normale). Parlando invece di sessualità diverse, come ad esempio l'omosessualità, comincerei a far presente che, ad esempio, nei documenti del Magistero viene definita negativa soprattutto «perché in contrasto con la legge naturale» (cfr. documento sul riconoscimento legale delle coppie di fatto e omosessuali della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 2003). Ma tale motivazione non può costituire un giudizio morale, dato che esistono tante cose in contrasto con la legge naturale, che come abbiamo visto sono considerate moralmente positive. Con questo non voglio assolutamente entrare in merito alla diatriba se l'omosessualità sia da considerare naturale o non naturale: dico solo che non vale la pena soffermarsi su tale argomento (come invece sovente si sente fare) dato che il fatto non ha alcuna implicazione concreta, e le valutazioni morali vanno ricercate altrove. Quanto al normale, si può dire che nell'antica Grecia l'omosessualità fosse normale, mentre in Italia, soprattutto fino a trenta o quarant'anni fa, non era certamente normale. Si può aggiungere che oggi in Olanda è già un po' più normale che da noi: i tempi cambiano, e così normalità e costumi si adeguano.
Per sottolineare ancora che la legge naturale non può essere elemento di valutazione morale, soffermiamoci un momento su un aspetto particolare della sessualità coniugale, quello degli anticoncezionali, che l'enciclica "Humanae Vitae" definisce immorali soprattutto perché li considera in contrasto con la legge naturale. Il rischio sarebbe quello di contrastare il piano di Dio, che proprio in quel momento potrebbe volere far nascere una nuova creatura. Se però prendiamo per buona questa ipotesi, allora anche nel trattenere l'istinto e astenersi dal compiere l'atto verrebbe frustrato il piano di Dio. E se portiamo questo ragionamento all'estremo, allora dovremmo considerare la scelta di celibato o di castità come il più grande contrasto al piano di Dio, perché con tali scelte radicali di rinuncia a procreare sarebbe come dire a Dio: tu puoi progettare tutti i figli che vuoi, tanto io comunque non te ne faccio. Mi pare superfluo insistere sui numerosi esempi che si potrebbero fare, per sottolineare che il naturale non si identifica con il positivo e il non naturale con il negativo.
Come seconda riflessione, trovo interessante mettere a fuoco la differenza fra religione e fede. Non solo per la riflessione di stasera, ma per comprendere meglio il senso della nostra realtà e dei valori che ricerchiamo. Si sente spesso parlare di fede e religione come se fossero la stessa cosa, mentre sono diversissime, diverse proprio di qualità. Possono aiutarsi a vicenda, eppure la storia insegna che sovente la religione è diventata nemica mortale della fede. Cerchiamo di capire perché.
La fede è un orientamento, è la messa a fuoco di un fine verso il quale, una volta identificato, non si può fare a meno di tendere. Invece la religione è un mezzo, e come tutti i mezzi può essere usata bene o male: se si pone al servizio della fede è positiva, se strumentalizza la fede diventa negativa. La religione è fatta di riti, liturgie, atteggiamenti, comportamenti: è sul piano del fare. La fede è invece uno stato d'animo, un modo di essere. Detto questo, è subito interessante notare che si può essere religiosi senza avere fede: compiere cioè gesti religiosi, partecipare a riti e celebrazioni, agire in conseguenza di principi religiosi proclamati, senza avere fede. Essere cioè religiosi a freddo, senza lasciarsi coinvolgere nell'intimo, aprendo perciò la strada a usi strumentali della religione. Vero che si può anche aver fede senza religiosità, avvertire nel proprio cuore una profonda fede e non occuparsi di religione, ma c'è una differenza: la fede è condizionante, e se avverto nel mio cuore questa realtà un po' strana che si chiama fede, non posso far finta di niente, perché ne resto comunque catturato, condizionato, senza poterne prescindere.
La religiosità è sovente ricerca di un rapporto con un Dio lontano, con un Dio diverso che sta lassù, nell'alto dei cieli. Ed è un tentativo di conquistarlo sottomettendosi a lui, facendosi suoi sudditi. Per le religioni, il timore più grande è quello di essere blasfemi, cioè offendere Dio, riferimento primario. E per non correre tali rischi, ecco norme e precetti da rispettare, perché "l'ha detto Dio". Chiedersi se sia vero è già considerato blasfemo. C'è sempre qualcuno pronto a dire: "te lo dico io che l'ha detto Dio, fidati!", e metterlo in dubbio è già atto riprovevole. È da questo stato d'ambiguità e confusione che nasce quell'atteggiamento religioso così ben identificato e criticato da Gesù, che si chiama ipocrisia. È interessante ricordare che la parola ipocrita, in origine, significa attore, commediante. L'ipocrita è colui che recita una parte, e quindi non mostra se stesso, ma qualche altra cosa. Un attore, ovviamente, lo fa per mestiere, e svolge una parte che ha studiato per rappresentare una finzione. L'ipocrita religioso, come dice Gesù, è uno che fa certe cose per farsi ammirare, per mettersi in mostra alla ricerca di prestigio, in modo da poter governare il popolo e tenerlo sottomesso.
La fede, invece, è condizionante, nasce dall'incontro con qualcosa o qualcuno che attira, e quando si sente questa attrazione non se ne può più prescindere. È come una strada sulla quale si potrà anche camminare male, ma non più abbandonare. La fede non è modificabile direttamente, come l'amore. Si potrebbe dire: voglio amare, voglio innamorarmi? L'amore nasce da certe condizioni che attraggono. Se non esistono, innamorarmi è impossibile. Allo stesso modo non si può dire: voglio aver fede. Posso dire: "credo", ma come affermazione mentale, perché aver fede, nel vero senso della parola, non è credere in questa o quella proposizione, in questo dogma o in quel concetto. Fede è sentire il cuore sconvolto, trascinato verso una certa direzione. Sentire la vita che cambia, che diventa un'altra. E li c'è poco da fare, perché non si può prendere in giro se stessi: se il cuore batte, batte. Alla fede non si comanda, fede è vita orientata, nella quale ci potranno essere sbandamenti, ma senza più perdere la bussola.
Chiediamoci allora qual è la caratteristica fondamentale della fede di Gesù Cristo. La sua proposta, semplicissima, è quella di somigliargli: fate come me, amatevi come io vi ho amato, andate per il mondo a portare semi di vita. E' interessante sottolineare che non dice: amatemi ma amatevi. Non accentra su di sé l'attenzione, tanto è vero che dice: "se vieni a portare all'altare la tua offerta e ti accorgi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia li l'offerta e vai prima a riconciliarti con tuo fratello". L'altare viene dopo, la chiesa viene dopo, la religione viene dopo, mentre fondamentale è il rapporto con fratelli e sorelle. Ecco il punto chiave: vivete in modo creativo, spargete semi di vita, aiutate chi è nel bisogno, risanate le ferite, portate un sorriso dove tristezza e pessimismo sembrano prevalere. Queste sono le pratiche religiose che propone Gesù: nulla di ritualistico. Celebrazioni e riti vengono dopo.

Non c'è più religione

Somigliare a Gesù non è certo facile, è probabile sentirsi in coscienza lontani e di non esserne capaci, eppure non sarebbe giustificato scoraggiarsi, perché fede in Gesù è soprattutto fiducia di poterci riuscire, almeno in parte. Gesù lo ha detto chiaramente: "Quello che ho fatto io farete anche voi, anzi farete addirittura cose più grandi". Se poi ci chiediamo qual è lo stato d'animo che consente di somigliare a Gesù, scopriamo che è l'amore, null'altro che l'amore, che è però una parola tanto difficile e ambigua da diventare talvolta perfino antipatica, perché usata talmente a sproposito da lasciare scoraggiati. Gesù però precisa bene quale amore intende: amate i vostri nemici, pregate per i vostri persecutori, perché il vostro Padre celeste fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. Se amate quelli che vi amano che merito ne avete? Ecco. Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Viene istintivo domandarsi se sia possibile esser perfetto come Dio, ma la risposta è: sissignore! Possiamo essere perfetti come Dio, perché Gesù non parla affatto di una la perfezione astratta, filosofica, tipo primo motore immobile, quello che non sbaglia mai, quello che sa tutto. Gesù non si occupa di queste cose, ma indica un altro tipo di perfezione alla quale siamo chiamati tutti: amare senza contropartita. Ama non perché gli altri ti amano, cosa naturale e normale per tutti! Dice piuttosto: tu ama senza stare a guardare che cosa fa l'altro, ama, senza contropartita, ama gratis. Questa è la perfezione dell'amore gratuito e disinteressato. Non importa la quantità, ma la qualità. Probabilmente Dio amerà in misura ben maggiore, ma la qualità può essere la stessa. Ciascuno è chiamato all'amore gratuito per quello che può, secondo i talenti ricevuti: fate del bene, prestate senza sperare nulla. E poi, infine, siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro. Ed è bene ricordare che misericordia significa amore verso chi non contraccambia. L'amore verso chi contraccambia è ovvio e normale, ma Gesù chiede questo passo in più: Tu ama comunque, offri il tuo amore senza stare a guardare che cosa fanno gli altri.
Oggi questa esortazione assume un significato di particolare attualità, date le continue contrapposizioni che si ripropongono a tutti i livelli: i diversi vanno emarginati, bisogna schierarsi contro di loro, e così anche i diversi non possono far altro che contrapporsi anche loro. Sei diverso? Vattene, e via di questo passo. Gesù dice ben altro: è vero, siamo diversi, stentiamo ad andare d'accordo, magari litighiamo, però vieni qua, guardiamoci in faccia, proviamo a stare insieme, può anche darsi che qualche cosa si sciolga. Separarci, uno da una parte, uno dall'altra, è sempre un atteggiamento perdente. Nella mia esperienza, mi sono accorto e mi convinco sempre più che, contrariamente al pensiero comune, andare d'accordo non significa avere le stesse opinioni, gli stessi gusti, gli stessi desideri, ma significa piuttosto litigare tenendosi per mano. Perché il contrasto è inevitabile, fa parte della natura umana, i momenti di conflitto rinascono in continuazione, e se in tali momenti ci spingiamo in direzioni opposte, quale speranza abbiamo? Se invece ti prendo per mano e ti dico: senti, mi viene da contrastarti, anche aspramente, e magari ti butto addosso tutti gli insulti che mi vengono in mente perché credo che tu te li meriti, però, se ci teniamo per mano, tu puoi fare altrettanto. Tenerci per mano rende chiaro che continuiamo comunque a camminare insieme, e per questo possiamo dirci in faccia delle cose sgradevoli senza ipocrisie. La mano nella mano garantisce che c'è speranza, e se continuiamo a tenerci per mano prima o poi riusciremo a capirci.
Questa è l'essenza del messaggio di Gesù. Da che mondo è mondo, secondo la mentalità religiosa Dio punisce i cattivi e premia i buoni, mentre per Gesù è "benevolo con gli ingrati e i malvagi". Ma se è così, se Dio non è più quello che punisce i cattivi e premia i buoni, allora non c'è più religione! E difatti, in Gesù, non c'è più religione, perché la religione diventa assolutamente secondaria. E tuttavia ha una funzione positiva, se ben utilizzata, perché abbiamo bisogno di riti, liturgie, preghiere, celebrazioni, tutte pratiche religiose che possono essere magnifici veicoli per aiutare a coltivare e far crescere la fede. Quando invece la religione entra in conflitto con la fede, quando diventa nemica della fede? Quando si sostituisce alla fede, quando le pratiche religiose diventano sostitutive dell'unica cosa essenziale del messaggio di Gesù: tentare di somigliargli.
Se vado in chiesa, a messa, faccio la comunione, e magari mi confesso (sinceramente) dei miei peccati, e poi dico: ecco, sono a posto con Dio, e quindi sono a posto con ciò che è essenziale, allora non ho capito niente, allora pratico una religione che è nemica della fede, che la soffoca e la uccide. Perché Gesù indica come assolutamente primario il rapporto con i fratelli. Chi non ama il fratello che vede non può amare Dio che non vede. E questo deve restare chiarissimo: la religione può aiutare a formarsi uno stato d'animo teso verso una maggiore somiglianza con Cristo, a patto che resti sempre ben chiaro che non è nelle pratiche religiose che s'incontra Dio, che lo si incontra dando da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, vestendo chi è nudo eccetera. Insomma, andando in giro per il mondo a spargere segni di vita. Ma allora, mi chiedo, che cosa ci vado a fare in chiesa? E mi rispondo: se uno vuole fare l'atleta, gareggiare, andare alle olimpiadi, dovrà pure andare in palestra ad allenarsi, e allora la religione è la mia palestra spirituale. Ma se un atleta pensasse che la palestra è primaria rispetto a tutto il resto, sarebbe fuori strada.
Ovvio che in una struttura organizzata la religione sia vista con più favore della fede, perché la religione è governabile, mentre la fede non è governabile. Come la coscienza, che non è governabile, mentre è governabile la sudditanza. E infatti un aspetto fondamentale della differenza tra religione e fede, è proprio il tipico elemento di governo delle coscienze, basato su disciplina e riprovazione, o meglio sul "perdono", che l'autorità interpreta a modo suo. Chiedi perdono a Dio, e noi che lo rappresentiamo in terra siamo autorizzati a concedertelo. Riconosci di essere peccatore, chiedi perdono, e noi ti perdoneremo. Dopo di che continua pure a peccare, e noi continueremo a perdonarti. L'importante è che riconosci di essere peccatore, che ti sottometti, e sempre sarai perdonato, per quante colpe tu possa avere. Tutto questo è governabile in modo efficace. Eppure Gesù non ha detto di chiedere perdono a Dio per i propri peccati, ma di perdonare sorelle e fratelli. E per chi ha orecchie per intendere, il perché appare chiaro. Perché il perdono non è un pacchetto preconfezionato che si riceve dall'esterno, ma una realtà che diventa operativa nel momento che lo stato d'animo è intriso di perdono. Se non perdono mio fratello o sorella capisco che è assolutamente inutile chiedere perdono, perché non sarei capace di accogliere dentro di me il perdono che mi viene donato! Per questo, senza uno stato d'animo intriso di perdono è assolutamente inutile chiedere perdono a Dio, mentre perdonando sento di essere già sei perdonato. Perché nostro Padre ci ha già perdonato in anticipo, ma qual è la condizione per riceverlo? È il desiderio, la voglia, la capacità concreta di perdonare gli altri, semplicemente questo: se perdoni, automaticamente sei perdonato, e la tua coscienza verrà illuminata. Ma governare chi si sente immerso nei sensi di colpa è facile, e la religione può essere un efficace strumento per alimentarli.
Tuttavia bisogna ribadire che fra religione e fede può esserci anche una collaborazione molto positiva, purché resti sempre ben chiaro che Dio si incontra nei fratelli, che primario è il servizio ai fratelli. Allora, e solo allora, sarà possibile l'incontro con Dio anche in chiesa, nelle pratiche religiose. Ma senza incontrarlo nei fratelli e nelle sorelle il Dio di Gesù non ha possibilità di essere conosciuto.

Sessualità e moralismo

Proviamo ora a entrare nell'argomento sessualità, realtà particolarmente coinvolgente e anche un po' strana, per il suo modo di investire in profondità lo stato d'animo della persona, di sconquassarci dentro creandoci situazioni di grande vivacità, di grande fermento, e talvolta anche di grande turbamento. Per prima cosa mi sembra opportuna una distinzione tra quella che si può chiamare sessualità naturale, scelta, solare, arricchente, e quindi stabilmente orientata, e al contrario una sessualità occasionale, subita, dispersiva, o addirittura sessualità di rivalsa, che nasce dallo sfogo di pulsioni incontrollate e quindi soggetta a deviazioni di qualsiasi tipo. Su questo versante, per esempio, sappiamo che in ambienti dove vivono persone dello stesso sesso, come collegi, caserme, seminari, conventi maschili o femminili, vi sono abbondanti manifestazioni di omosessualità. Tra l'altro, un paio di mesi fa sono stato sul Monte Athos e ho girato diversi monasteri parlando abbastanza a fondo con alcuni monaci, i quali mi hanno confermato che il problema dell'omosessualità è molto presente anche da loro. Ma non è detto che questa sia realmente omosessualità, perché nasce da forti pulsioni, difficili da controllare, che possono indurre a scegliere la via più facile nella situazione concreta in cui ci si trova. L'omosessualità può essere considerata realmente tale solo quando sono concretamente presenti le possibilità di scelta dell'altro sesso. Altrimenti si resta nell'ambiguità.
Come sapete, io sono felicemente sposato da più di cinquant'anni, mi sento attratto dalle persone dell'altro sesso, mi trovo bene così, quindi posso parlare di omosessualità in pura teoria, perché è una realtà che non sento e non vivo. Perciò esprimo soltanto riflessioni teoriche e razionali senza azzardarmi assolutamente a pretendere che siano valide per chi il problema lo vive dall'interno. Da parte mia ho il massimo rispetto per le persone omosessuali, tale e quale come per quelle eterosessuali. Penso che l'importante, per tutti, sia vivere una sessualità orientata verso qualche cosa di costruttivo, e non casuale, fine a se stessa, in senso squallidamente edonistico. Non si può negare, invece, che il magistero della chiesa abbia una posizione drasticamente contraria all'omosessualità. Questo lo sappiamo tutti, ma sarebbe sbagliato credere, come qualcuno mi ha scritto, che "vede il sesso negativo nell'omosessualità, e positivo soltanto nel matrimonio". Alto là: salvo qualche apertura dal Concilio Vaticano II in poi, si può ben dire che l'abbia sempre visto negativo anche nel matrimonio. La storia insegna che si tratta di un'avversione al sesso tout-court. Che poi nei confronti degli omosessuali ci metta un carico maggiore, perché in qualche modo ritiene di avere qualche freccia in più al suo arco, è un conto. Però la storia della nostra chiesa si potrebbe chiamare "storia di una paura".
Ma perché, vien da chiedersi, l'autorità ecclesiastica ha tanta paura della sessualità? Forse vi sono svariati e complessi motivi, ma uno mi sembra assai logico: per chi rinuncia al sesso, che è una pulsione straordinariamente forte, credo diventi istintivo pensare che sia una realtà negativa, alla quale sia meglio rinunciare. Altrimenti, quando ne sente le pulsioni, che si presentano e ripresentano con insistenza, come saprebbe continuare a trattenersi, qualora la considerasse positiva? Deve per forza pensare che sia una tentazione diabolica. Da parte mia invece, che continuo a sperimentarlo costruttivamente da oltre cinquant'anni, la considero uno straordinario dono divino, posto a disposizione delle persone umane perché imparino anche ad amarlo meglio, oltre che ad amarsi fra loro. Certo, a patto che la sessualità si orienti ai valori della vita, e non ad un superficiale edonismo usa e getta.
Dalla storia di questa paura, ora vi leggerò alcune citazioni a volo d'angelo, per dare qualche esempio (per chi vuole approfondire meglio, nel mio libro "La morale coniugale scompaginata" può trovare tutti i rimandi). Per esempio, Sant'Agostino diceva: "desiderate l'unione fisica solo nei limiti necessari a generare figli e poiché non potete averne in altra maniera, abbassatevi a quell'atto con dolore". Fin da allora è il piacere che viene preso di mira e condannato. Anzi, il perfido piacere. Ecco un campionario di ciò che hanno detto teologi di vario genere attraverso i tempi: "È impossibile che il piacere possa essere senza colpa, l'atto coniugale non può mai avvenire senza colpa almeno veniale"; "Le relazioni coniugali sarebbero senza peccato soltanto se si rinunciasse al piacere " (si noti, all'interno del matrimonio); "Chiedere l'atto coniugale nell'ambito del matrimonio a causa del piacere, è sempre un peccato veniale, come mangiare per piacere"; "Se si ha un'unione sessuale per provare piacere, non può non esserci peccato". Non vado avanti perché mi sembrano sufficienti queste: se avete voglia di leggerne altre o di approfondire l'argomento compratevi questo libro, e ne troverete parecchie. Comunque sia, aggiungerei che il magistero bisogna capirlo, perché in fondo è coerente con le scelte fatte. Ad un certo punto della storia ecclesiastica i membri del clero, cioè coloro che in qualche modo si sono assunti il compito di guidare gli altri, hanno identificato la rinuncia al piacere come sacrificio per poter svolgere meglio il loro compito. Si potranno avere opinioni diverse sulla positività o meno di tale scelta, che è degna comunque del massimo rispetto.

Ama e fa quello che vuoi

A questo punto vorrei entrare brevemente in merito al dibattito in corso ormai da tempo sui diritti civili e il riconoscimento delle coppie di fatto. E anche in relazione a coppie omosessuali, che in alcuni paesi vengono ormai riconosciute anche di diritto attraverso pratiche di tipo matrimoniale. Sia chiaro che intendo esprimere semplicemente le mie opinioni personali, senza alcuna pretesa che abbiano valore oggettivo. Io, francamente, riserverei la parola matrimonio a quello tradizionale, che ha caratteristiche sue, ed esteso a forme diverse mi sembra possa soltanto alimentare confusione. Intanto perché credo importante valorizzare il diverso, cosa che in ogni caso è sempre una maggiore ricchezza. E poi perché al giorno d'oggi il matrimonio è già talmente immerso nelle contraddizioni e nella confusione da non aver affatto bisogno di nuove ambiguità. Aggiungo però che io non chiamerei matrimonio la maggior parte dei matrimoni tradizionali. In proposito, trovo emblematica quella bellissima pubblicità radiofonica del digestivo Antonetto, di quei due che stanno per sposarsi e la sposa ha mal di stomaco. Lo sposo le propone una pastiglia di Antonetto, che si può prendere senz'acqua. Nel frattempo il prete sta formulando la domanda di rito: "Vuoi tu prendere quest'uomo come tuo sposo?", contemporaneamente allo sposo che le chiede sottovoce: "ma lo vuoi veramente?". Risultato, la sposa risponde allo sposo con un deciso sì, che il prete prende per assenso alla domanda di rito e risponde: "vi dichiaro marito e moglie". Mi domando: quanti sì vengono pronunciati davanti all'altare per motivi che con un reale matrimonio hanno poco a che fare? Tra l'altro, per contrastare il divorzio, da qualche tempo i tribunali ecclesiastici hanno semplificato le procedure d'annullamento, e qualche inchiesta ha evidenziato che c'è perfino chi si predispone facilmente eventuali vie d'uscita. Basta infatti, qualche giorno prima del matrimonio, scrivere una o due lettere a qualche amico dicendo più o meno che ci si sente incastrati e compromessi, costretti in qualche modo a doversi sposare senza averne l'intenzione, per avere poi, nel caso, testimonianze sufficienti a ottenere un rapido annullamento.
Il problema attuale non sta nel riconoscimento formale, tanto è vero che negli stessi rapporti eterosessuali sempre più uomini e donne vanno semplicemente a convivere. Credo invece corretto e positivo battersi per il riconoscimento dei diritti civili, come ad esempio copertura sanitaria, reversibilità della pensione, diritti ereditari, per coloro che scelgono di condividere in modo stabile la loro vita. Ma, ripeto, suggerirei di non creare confusione con il matrimonio, d'inventare formule diverse, di valorizzare il diverso, anche per affermare inequivocabilmente che il positivo o il negativo esiste in tutti rapporti affettivi, siano essi eterosessuali o omosessuali, e non può essere la comparazione fra i due tipi a determinare i valori.
Su un versante ancor più delicato, devo francamente dire che personalmente mi sento contrario all'ipotesi di adozione di bambini da parte di coppie omosessuali. Non per motivi moralistici, ma semplicemente perché non ci sono elementi scientifici sufficienti a dimostrare che un bambino può crescere in modo equilibrato con due genitori dello stesso sesso. Tra l'altro, è difficilissimo anche solo ipotizzare quali potrebbero essere le conseguenze, che si vedrebbero nel tempo, e siccome per me i bambini sono sempre al primo posto, credo che esperimenti sui bambini non si debbano assolutamente fare. Sarei invece favorevole alla concessione di adozione a singole persone, dati i moltissimi bambini che ne avrebbero bisogno. E la valutazione d'idoneità penso debba prescindere dalle inclinazioni sessuali, che considero assolutamente secondarie.
Per avviarci alla conclusione, credo che la sessualità, di qualsiasi tipo, sia positiva se viene orientata e vissuta in modo costruttivo, e per noi che siamo cristiani questo significa orientarla secondo le indicazioni di Gesù Cristo, che ha invitato semplicemente a somigliargli dicendo: fate come me, amatevi come io vi ho amato, andate per il mondo a spargere semi di vita (il che significa non solo procreare, ma anche coltivare e far crescere la vita esistente, aiutare chi è nel bisogno, riconciliarsi, perdonare, utilizzare qualsiasi cosa allo scopo di migliorare i rapporti interpersonali e superare positivamente i conflitti). Credo che la sessualità orientata offra uno straordinario cammino di maturazione spirituale. Del resto, se guardiamo all'India, scopriamo nei Tantra una disciplina che armonizza sesso e spiritualità. Perché? Perché il sesso è un efficacissimo strumento di condivisione, e siccome l'individualismo è quello che uccide, e ogni persona che si racchiude in se stessa si condanna all'autodistruzione, tutto ciò che facilita le relazioni umane produce vita, e anche questo è insegnamento di Gesù. Non per niente lui dice: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome..." Uno solo non basta, la vita di relazione è indispensabile per incontrarsi con lui. E la sessualità orientata è uno strumento straordinario per promuovere comunicazione, quindi per promuovere l'altro, per avere un equilibrio di vita.
Lo straordinario è che promuovere l'altro diventa un autentico boomerang, che riversa su chi si orienta in tale direzione, grandi benefici. Infatti, se mi domando: "Come faccio ad essere felice?" la risposta non tarda ad affiorare. Come potrei essere felice se le persone che vivono accanto a me, (e tanto più vale per quelle che convivono intimamente) non sono felici? Se il mio compagno/a, o altri conviventi, sono persone arrabbiate, di contropelo, frustrate, pronti alla ripicca, il mio stato d'animo non potrà certamente essere tranquillo e felice. Insomma, può sembrar strano accorgersene, se voglio essere felice devo preoccuparmi innanzi tutto di rendere il più possibile felici le persone che mi stanno accanto. E naturalmente il risultato si farà particolarmente brillante se la stessa cosa fanno tutte le persone dello stesso ambiente: ecco che il mio interesse personale coincide con l'interesse degli altri, una scoperta straordinaria.
Per esperienza personale posso dire che nei rapporti coniugali l'aspetto sessuale più aiutare moltissimo a tali realizzazioni, e immagino che altrettanto possa accadere anche nei rapporti sessuali d'altro tipo. Purché l'orientamento si muova dall'individualismo alla condivisione. Perché l'individuo usa gli altri cercando di prevalere, mentre la condivisione è reciprocità, condividere vuol dire mettersi in comune, camminare insieme tenendosi per mano, e sapere anche, nel caso, litigare tenendosi per mano, evitando che i conflitti si trasformino in contrapposizioni. E allora, per finire, vorrei citare un'altra frase di Sant'Agostino, che ne ha dette di grosse e inaccettabili, ma qualche volta anche di geniali. E questa frase che ci ha lasciato in eredità è veramente illuminante: "ama e fa' quello che vuoi". Certamente impegnativa, perché al di là del "fa quello che vuoi", che potrebbe suonare attraente per tutti, invita continuamente a chiedersi: "Ma io amo? Sto amando?" E se amo, mi accorgo che il fare quello che voglio è una possibilità all'interno dell'ambito dell'amore. Se amo non posso volere quel che contrasta con l'amore. E allora fa' quello che vuoi diventa invito a non lasciarsi imbrigliare da moralismi, per compiere gesti di vita. Purché siano autentici gesti di vita, anche magari piccoli gesti di armonia nei rapporti interpersonali, ma sempre gesti di vita.

Spronare l'autorità a convertirsi

A proposito dei moralismi, ancora oggi sovente si sente parlare di mancanza di libertà (soprattutto nell'ambiente ecclesiale), di lacci, divieti, riprovazioni che impedirebbero di comportarsi liberamente. Capisco la necessità di combattere per aprire nuovi spazi, ma credo sia finita la stagione delle rivendicazioni. Oggi credo che di libertà ce ne sia fin troppa, anche all'interno della chiesa cattolica, solo che moltissimi mostrano di non essersene ancora accorti. Sta di fatto che un tempo a prendersi delle libertà c'era il rischio di esser messi sotto inquisizione dalle autorità religiose, e poi essere trattati come ben sappiamo. Questo creava un clima di autentico terrore, perciò ben pochi avevano il coraggio di prendersi delle libertà. Ma oggi non possono far niente di simile: noi non ce ne siamo ancora accorti, ma sono senza potere. Perciò non serve più contrapporsi. Credo invece, e quando posso insisto, che sia l'ora di promuovere un atteggiamento di affettuoso dissenso. Non più quel dissenso arrabbiato che non serve a nulla e rischia di promuovere solo risultati negativi. Dobbiamo dire chiaramente quello che pensiamo e sentiamo, senza però dimenticare che apparteniamo tutti nella stessa chiesa, perché la chiesa di Cristo non è la chiesa di chi ha le idee giuste o di chi comporta bene, ma è la chiesa di tutti, buoni o cattivi che siano. E tutti dovrebbero sentirsi impegnati a renderla migliore.
Nel nuovo dizionario di teologia edito dalle Paoline 25 anni fa c'era un magnifico articolo del teologo Tullo Goffi che più o meno diceva: "il cristiano ha il dovere di non assuefarsi a un'autorità religiosa ambigua, deve spronarla a convertirsi al Signore. Con amore filiale deve continuare ad insistere perché si converta al Signore". L'autorità ne ha bisogno, e ciascuno ha l'autorità che si merita. Le coscienze adulte e mature sanno porsi in atteggiamento creativo nei confronti dell'autorità, per aiutarla a capire che è finita l'era delle coscienze delegate, che non ha più futuro un'autorità che voglia continuare a sostituirsi alle coscienze, che pretenda di essere sostitutiva del messaggio di Cristo. E tuttavia siamo fratelli, e anche se non mi piacciono certe dichiarazioni o documenti, restiamo pur sempre fratelli. E allora è importante non farsi infinocchiare da documenti, autorità, sacralità e quant'altro, perché l'importante è continuare a condividere problemi, disaccordi, contrasti e difficoltà. E tanto più lo faremo con spirito affettuoso, tanto più avremo speranza di ottenere qualche risultato. Tenendo comunque chiaro nella propria mente che qualora l'autorità volesse persistere su posizioni autoritarie, non potrebbe comunque impedire alle coscienze di comportarsi liberamente.
L'unica preoccupazione concreta è quella di amare, di gestire il proprio amore in modo da somigliare di più a Gesù Cristo, attraverso qualsiasi aspetto, anche secondario, della propria vita. E quindi anche attraverso la sessualità, se viene orientata in tale direzione. E soprattutto cercare di vivere il bello insieme, e sessualità orientata per me significa anche questo. Nel matrimonio funziona, posso testimoniarlo in prima persona. Con Giulia, mia moglie, abitualmente cerchiamo insieme il bello, e spesso, davanti a qualcosa di bello, come un tramonto, un quadro, un'opera d'arte, ci commuoviamo. Per esempio, quando siamo stati a Parigi, al museo dell'Orangerie dove ci sono quelle enormi tele di Monet, i pianti che ci siamo fatti! Gli altri che ci vedevano probabilmente avranno pensato che eravamo due scemi, oppure chissà che cosa. Ma noi abbiamo vissuto un momento che definirei di preghiera struggente, perché ci siamo trovati in un luogo che non immaginavamo, di fronte a una realtà inattesa, e questo ci ha richiamato alla mente un'enormità di episodi della nostra vita, del nostro cammino, che da tanto tempo abbiamo messo in comune. E non è stata affatto l'unica volta. Aggiungo che di fronte al bello a noi viene spontaneo pregare, perché il bello è divino. E questo vale anche per la sessualità, perché se ami, concretamente, e non in modo superficiale o evasivo, allora anche la tua sessualità sarà positiva, creativa, orientata in senso divino. Non temo di affermare che per me e mia moglie Cristo è presente anche in camera da letto.
Giunti così al termine di questa conversazione chiediamoci allora: che cos'è morale? A me sembra che l'unica morale indiscutibile siano i gesti d'amore applicato. Non basta dire amore, perché la parola amore è ambigua, e può essere confusa col puro sentimentalismo. Ma i gesti d'amore applicato sono inequivocabilmente concreti, e quando stai compiendo gesti d'amore applicato lo sai. Anzi, parafrasando il vangelo, credo che Gesù direbbe: "Chiunque compie gesti d'amore applicato, in verità, in verità vi dico, non perderà la sua ricompensa".
Grazie.

Domande e risposte

Ubaldo: La relazione mi ha provocato, e anche fatto un po' arrabbiare. Intanto l'esordio: mi sembra ovvio, oltre che condivisibile, il fatto di non associare alla naturalità la normalità, e viceversa, senza giustificare come buona o cattiva una cosa in quanto normale o naturale, però mi è sembrato che alla fin resti sotteso il fatto che noi non siamo naturali. Io invece mi sento profondamente naturale e rivendico profondamente la naturalità dell'omosessualità. Un altro discorso è concludere che sia buona o cattiva, cosa che ognuno giudica con i propri criteri. Però è naturale, perché nessuno di noi ha scelto se essere o non essere omosessuale.
Un altro passaggio che mi ha fatto un po' arrabbiare è il discorso attinente all'omosessualità legata solamente all'atto sessuale, e allora voglio dire: si è omosessuali perché ci si innamora di persone del proprio sesso, non perché si va a letto con persone del proprio sesso, perché la differenza fondante della nostra identità è relazionale, è affettiva. Dopo di che è anche sessuale, però per favore non mandiamo questi retro messaggi che sono passati stasera, che noi siamo omosessuali perché, scusate la brutalità, perché scopiamo tra di noi, no! Noi siamo omosessuali perché ci innamoriamo di persone del nostro sesso.
Altro messaggio che mi è sembrato un po' omofobo è il dire: "A me sta benissimo l'unione tra persone dello stesso sesso, però non chiamiamolo matrimonio". Allora, per carità, chiamiamolo pure in un'altra maniera. L'esigenza delle persone omosessuali è quella di formare famiglie, che saranno implicitamente diverse dalla famiglie eterosessuali ma sono famiglie, sono famiglie nella loro costituzione fondante, di relazione tra persone che si vogliono bene. Poi diamogli pure i nomi che vogliamo.
Mi giunge poi come una ginocchiata il sentir dire: "Io sono aperto all'adozione da parte di persone singole, ma non di coppie omosessuali". Cioè pare che sia meglio per un bambino avere un genitore solo, ma non averne due dello stesso sesso. E anche qua il messaggio che passa in maniera non dichiarata, ma in maniera molto sottile è terribile, a me arriva terribile, perché, voglio dire, ma perché mai allora, posto che è ovvio che un bambino deve stare con suo padre e sua madre, posto che probabilmente si potrà anche dire che sia meglio per un bambino stare con due genitori che assomigliano a suo padre e a sua madre, voglio capire perché è meglio avere un genitore solo piuttosto che due. Mi pare una cosa diversa pensare di adottare un figlio da soli o pensare di adottarlo come coppia, ancorché omosessuale.
Anche sul discorso dell'omosessualità nel clero starei attento alla superficialità, perché fatte le premesse di cui sopra, i comportamenti dei preti spesso sono legati a scelte che vengono a monte, c'è anche chi si domanda se alcuni preti omosessuali non si siano fatti preti perché omosessuali e non che siano diventati omosessuali perché si sono fatti preti.

Antonio: Ti ringrazio moltissimo delle contestazioni che consentono di chiarire meglio. Mi rendo conto che certe volte passano messaggi diversi dalle intenzioni. Io temo sempre di essere noioso a precisare troppo, e così talvolta il messaggio rischia di restare un po' equivoco. Per quanto riguarda il "naturale" io non ho alcuna difficoltà a considerare naturale essere omosessuali, ma queste precisazioni su naturale/normale le ho fatte esclusivamente, e mi sembrava abbastanza chiaro, per sgombrare il campo da un equivoco. In sostanza, i documenti del magistero dicono: no all'omosessualità perché contrasta con la legge naturale. Secondo me, vero o non vero che sia, non ha alcuna importanza, e non vale la pena di perdere tempo a discutere se sia o non sia naturale, perché in ogni caso non è da questo che possono venire valutazioni morali. Sovente sento accanite discussioni su questo argomento, cosa che, secondo me, è tempo perso.
Poi, sul legare l'omosessualità legata al solo atto sessuale, chiedo scusa se ho fatto capire questo. Tuttavia mi sembra strano, perché mi sembrava di aver parlato con insistenza e chiarezza di sessualità orientata, sottolineando che vale sia per le coppie eterosessuali che per le altre. Ripeto: credo che la sessualità, per essere positiva, debba essere orientata e non casuale, edonistica, fine a se stessa. Più di così che cosa si potrebbe dire? Una sessualità orientata significa affettuosità a tutto campo, e non soltanto "farsi una scopata". Pensavo di averlo detto abbastanza chiaramente, in ogni caso il mio pensiero è questo.
In relazione all'omosessualità del clero, so anch'io che tanti preti sono realmente omosessuali. Quel che ho inteso dire è che non fa testo la percentuale di omosessualità presente nei seminari o nei conventi, perché negli ambienti dove non sono possibili alternative il dato non è attendibile. La dimostrazione di essere realmente omosessuali si ha quando si sceglie il proprio sesso, malgrado esista la possibilità di scegliere l'altro sesso. Altrimenti potrebbe essere incapacità di resistere alle pulsioni, con relativo adattamento a quel che è concretamente possibile.
E ancora: perché chiamarlo matrimonio? Tu hai fatto un lungo discorso sulla famiglia, però matrimonio e famiglia non sono sinonimi. Vuoi dire che una coppia omosessuale crea una famiglia? Si può essere più o meno d'accordo, però il matrimonio è un legame di tipo particolare, formalizzato in un certo modo, con delle componenti proprie come ad esempio quella di unirsi per procreare. Da parte mia penso sarebbe meglio e più appropriato non chiamarlo matrimonio (quello omosessuale), ma non contesto affatto l'ipotesi di considerarlo una famiglia, con tutte le componenti socio economiche.
Sull'adozione il discorso è diverso: da parte mia nessuna connotazione moralistica, ma semplicemente mi chiedo che cosa può essere meglio per un bambino. E non saprei rispondere, ma siccome non possiamo sapere se per un bambino sia positivo crescere con due genitori dello stesso sesso, o se corra invece il rischio di squilibri psicologici, preferirei che non si rischiasse sulla pelle dei bambini. Tutto qui, è un'opinione che può essere sbagliata, ma senza alcuna connotazione moralistica.

Mauro: Mi piacerebbe sapere quale termine usa Agostino quando dice "Ama e poi fai quello che vuoi" perché in latino, come in greco, vi sono più termini, come "diligo" e "amo". Una seconda cosa, dal momento che Gesù di Nazareth non parla mai di sesso, quindi non esprime alcuna condanna, e inoltre dato che è un ebreo e vive come ebreo, in mezzo agli ebrei, nella religione ebraica che non ha alcun atteggiamento ostile al sesso, come mai la chiesa cristiana è evoluta verso questa condanna paranoica nei confronti del sesso? La terza cosa, un po' più complessa, è una posizione mia. Forse sbaglio, mi sembra comunque che dalla finestra in qualche modo rientra quello che si è fatto uscire dalla porta. Tu hai parlato di sessualità orientata, ed è vero che la sessualità orientata è concepibile esclusivamente in un forte rapporto amoroso, ma questo non ci fa correre il rischio comunque di condannare, non gli atteggiamenti edonistici finalizzati soltanto al piacere, ma tutti quegli atteggiamenti di coloro che s'incontrano per il piacere di incontrarsi, a prescindere dalla voglia e dalla possibilità di costruire un grande rapporto d'amore. Io penso che anche nell'espressione sessuale, in quanto tale, c'è una grande comunicazione quando è reciproco anche il piacere. Ovvio che se cerco una donna soltanto per soddisfare i miei istinti, allora è un fatto egoistico e deprecabile. Ma oggi anche la psicologia tende a constatare la difficoltà di rapporto tra due persone, e credo che sia positivo tutto ciò che può aiutare a superare tali difficoltà.

Antonio: Su quest'ultimo punto: il piacere d'incontrarsi, e quindi anche la sessualità finalizzata al piacere d'incontrarsi e di conoscersi. Da parte mia, dicendo che è importante che la sessualità sia orientata, intendo dire che sia orientata a costruire qualcosa di buono e di valido. Quindi attenzione, perché se la sessualità è orientata, allora significa che ci sono dei precisi punti di riferimento che indirizzano il cammino in modo lineare. Se non c'è orientamento, invece, le singole esperienze possono anche portare fuori strada senza neppure accorgersene. Provo a fare un esempio, per spiegare meglio che cosa intendo dire: se prendiamo un'automobilina da bambini e la vogliamo far camminare, possiamo attaccarci uno spago davanti e tirarla, oppure e spingerla da dietro con un bastone. Ovvio che se la tiro con uno spago questa verrà dritta verso di me, mentre se la spingo con un bastone è facile che si sposti di lato e si metta di traverso. L'orientamento è il polo d'attrazione, il punto verso cui io mi muovo. Se invece mi muovo perché vengo spinto da altre cause (per esempio da pulsioni istintive) può anche darsi che vi siano risultati positivi, ma potrei ritrovarmi di traverso o fuori strada. Questo non esclude che ci possano essere parziali momenti positivi, però il solo piacere d'incontrarsi, senza un orientamento di fondo, mi sembra comporti anche grandi rischi.
Sul secondo punto, come mai questa avversione ecclesiastica al sesso? Vorrei tanto saperlo, per certi versi mi sembra incomprensibile, ma una mezza idea ce l'avrei. Credo che chi sceglie la rinuncia al sesso inevitabilmente, almeno nell'inconscio, sia in un ceri senso costretto a considerarlo negativo e diabolico. Altrimenti, di fronte agli impulsi, come saprebbe resistere se lo considerasse bello e positivo? Anche soltanto a porsi questa problematica dallo stesso punto di vista, è facile concludere che dev'essere proprio diabolico. E dato che "così è se vi pare….".
Sul terzo punto, nel dire "ama e fa quello che vuoi" Agostino (in latino) usa il termine "diligi", che equivale grosso modo al verbo greco "agapao".

Marco: Di questi tempi, incontrare un uomo, anzi una coppia con cinquant'anni di "felice matrimonio" sulle spalle è un fatto inconsueto. Mi piacerebbe sapere qualcosa di più sul come ci siete arrivati.

Antonio: La risposta non è semplice. Comunque, tanto per fare un po' di pubblicità ai miei libri, ce n'è uno dal titolo: "Il sapore dell'amore compiuto" che è un romanzo e non un'autobiografia, perché i personaggi e le situazioni sono in gran parte costruiti con la fantasia, e tuttavia contiene un significato autobiografico, perché descrive la complessa evoluzione di un rapporto coniugale, ovviamente problematico, ma che riesce a consolidarsi fino a raggiungere uno straordinario livello d'amore compiuto. Anche se i protagonisti non siamo noi, può dirsi una storia vera di vita vissuta e sentita, che simbolicamente può essere considerata la nostra. Per il resto, noi ci siamo sposati a poco più di ventun anni, fra poco ne compiremo settantatre, con cinquant'anni di matrimonio già compiuti, abbiamo tre figli, sette nipoti di tutte le età più una in arrivo, (la più grande ha oltre ventisette anni). Insomma, nel nostro panorama c'è e c'è stato di tutto, l'andamento del nostro rapporto non è stato affatto tranquillo, anzi, a più riprese abbondantemente conflittuale, in certi momenti abbiamo rischiato di sfasciare tutto, e per capire come fare a capirsi ci abbiamo messo molti anni. Tra l'altro, anche perché al tempo nostro nessuno ci ha spiegato niente. Adesso, se non altro, si fa una qualche preparazione al matrimonio, anche se talvolta in modo discutibile, mentre al tempo nostro non si usava, e noi ci siamo trovati a doverci inventare tutto. Possiamo dire che prima di svoltare ci abbiamo messo trent'anni. Non che prima andasse tutto male, però la situazione diventava frequentemente instabile. Ora, quando nei corsi di preparazione al matrimonio, dico che ci abbiamo messo trent'anni a svoltare, di solito qualche fidanzato prende in senso pessimistico la prospettiva, senza tener conto che sono ormai più di vent'anni che noi due ce la stiamo godendo a tutto campo. E allora vorrei dirvi: non valeva la pena di lavorare trent'anni per scoprire e gustare quel che un matrimonio può offrire?
Vorrei poi sottolineare che il nostro matrimonio è così ricco non solo perché ci amiamo, con tutti i connessi, ma anche, direi soprattutto, perché ci divertiamo a essere sposati. Ci divertiamo tanto insieme, ci prendiamo in giro, ci facciamo delle formidabili risate. Penso che certe volte la gente ci prenda per scemi, perché talvolta ridiamo come scemi anche per la strada, se capita l'occasione. Il fatto è che ci siamo incontrati: sembra banale e scontato, ma non è così, perché molti vivono accanto senza incontrarsi. La comunicazione è sempre molto difficile, perché le reazioni sono spesso conflittuali, e allora si finisce per accumulare tensione dentro di sé col risultato poi di esprimersi in modo aggressivo, provocando risposte ancor più aggressive, fino a far esplodere facilmente conflitti e voglia di rivalsa. Il nostro piccolo segreto, su come siamo riusciti a incontrarci, è che un bel giorno ci siamo chiesti: come si possono superare queste difficoltà? E a quel punto abbiamo deciso di rovesciare la situazione, e abbiamo preso l'abitudine di chiederci sovente l'un l'altra: "hai qualcosa da dirmi?" oppure: "posso fare qualche cosa per te?", e abbiamo visto che l'offerta esplicita della propria disponibilità ha sbloccato la situazione. Così il clima nel nostro matrimonio è cambiato rapidamente, da che abbiamo cominciato a fare così, in breve tempo abbiamo imparato a comunicare e a capirci.
Questo è il segreto nella comunicazione, che vale per il rapporto coniugale ma anche per qualunque tipo di rapporto. Il segreto è imparare a "farsi dire", perché se non voglio farmi dire l'altro non riuscirà a dirmi quello che vorrebbe, e la comunicazione resterà falsata, parziale, artificiosa.. Ma se voglio farmi dire, se mi interessa veramente conoscere il pensiero del mio interlocutore, se lo pregherò di comunicarmelo, anche se sgradevole, perché capisco che devo comunque fare i conti con i pensieri di chi vive con me, tanto più se in modo coinvolto, allora il mio coniuge si sentirà ascoltato, col risultato di dirmi anche le cose sgradevoli nel migliore dei modi. E capirsi sarà più facile.
Con questa grande svolta nella nostra vita tutto è cambiato. Poi abbiamo incontrato altri, abbiamo formato la Comunità del Mattino, nella quale abbiamo approfondito e constatato insieme i benefici della vita coniugale, quando è ricca di comunicazione.

Franco: Più volte hai parlato di orientamento: potresti dire qualcosa di più sull' orientamento vostro e della vostra comunità?

Antonio: Sulla Comunità del Mattino è difficile dire qualcosa di semplice, perché la sua parabola è stata molto complessa, e attualmente non è ben chiara neppure a noi. Approfitto però, anche per fare un po' di pubblicità a un altro dei miei libri, che là in fondo, tra gli altri. Quello che si intitola: "Quel che resta del Mattino", che è piuttosto agile e esauriente a un tempo. In poche parole posso aggiungere che la Comunità del Mattino è ormai sul viale del tramonto, perché ha compiuto gran parte della sua parabola, ha avuto in passato un'espansione nella quale sembrava anche esportare le proprie caratteristiche peculiari, tanto è vero che abbiamo perfino fondato una comunità sorella in Polonia, tuttora esistente. Ma poi qualche cosa non ha funzionato a dovere, qualcuno ha cominciato ad andarsene per rimettere su casa per proprio conto, e ci siamo ridotti in pochi. Oggi trasciniamo un po' i piedi, nel senso che ci è rimasto qualcosa di positivo, anzi, di altamente positivo, però non c'è più quella spinta a muoversi verso qualcosa di nuovo, e soprattutto verso nuovi rapporti, cosa essenziale per una comunità che voglia essere creativa.
Questo però non impedisce a ciascuno di noi di mantenere vivo l'orientamento al futuro, anche se in forme più autonome e meno comunitarie. Per quanto riguarda in particolare Giulia e me, tanto per chiarire meglio il nostro stato d'animo, voglio raccontarvi un episodio che continua a lasciarmi di stucco ogni volta che lo rammento. Tempo fa, in uno dei nostri ricorrenti esercizi spirituali, durati alcuni giorni, ci è stata fatta una proposta: esaminare una gran quantità di slogan o di frasi fatte, invitandoci a farne una selezione in modo rigorosamente autonomo, senza influenzarci l'un l'altro. Dapprima abbiamo dovuto estrarne una cinquantina, poi, dopo diverso tempo, ridurle a venti. Poi a dieci, cinque, tre, e alla fine una sola. Ce n'erano tante, tantissime, interessanti e toccanti. Non è stato per nulla facile, e ricordo che l'incertezza mi aveva costretto più volte a pensarci bene. Alla fine la grande sorpresa è stata di accorgerci che noi due avevamo scelto la stessa!
La frase scelta è questa: "Apri le braccia al futuro, il meglio deve ancora venire!" Eravamo già vecchi, si può dire, e inoltre siamo diversissimi per temperamento, e come tutti coloro che hanno caratteristiche complementari, abbiamo anche modi molto diversi di vedere e affrontare i problemi. Eppure tutti e due abbiamo scelto la frase: "Apri le braccia al futuro, il meglio deve ancora venire!". Ecco il nostro orientamento, che si potrebbe definire qualcosa più grande di noi.




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