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Un popolo di sacerdoti

 

Sacerdoti secondo Cristo

…. ha fatto di noi un regno di sacerdoti (Ap. 1,6)

Il sacerdozio comune dei fedeli

Più e più volte, nella mia lunga vita di ricerca spirituale, mi sono sentito interpellare da un antico interrogativo: se Cristo ci ha costituiti tutti sacerdoti, che differenza c'è tra un semplice fedele e un prete? In che cosa è diverso il sacerdozio ordinato da quello comune a tutti i fedeli? Per anni ho pensato a una differenza quantitativa, nel senso di attribuire al sacerdozio ordinato una maggior pienezza rispetto a quello comune. Ma poi, insistendo nella ricerca, un'improvvisa illuminazione mi ha fatto intuire che c'è invece una differenza di qualità, che a prima vista potrebbe sembrare sorprendente: il sacerdozio esistenziale comune a tutti i fedeli è di natura divina, mentre il ministero sacerdotale è di natura umana.
Accogliere Cristo per farlo vivere dentro di sé, infatti, equivale a lasciarsi a trasformare in realtà divina, e questo dovrebbe essere lo spirito sacerdotale comune a tutti i fedeli. D'altra parte, invece, nell'organizzazione ecclesiale è necessaria una struttura con delle regole per accompagnare il cammino di tutti, ed ecco l'istituzione del sacerdozio ordinato come servizio alla comunità, a scopo pedagogico. In una società fragile come la nostra è indispensabile trovare punti di riferimento, per non soccombere alle lusinghe e alle insidie dell'individualismo. Così la Chiesa, popolo di sacerdoti, dono dello Spirito, di natura divina, si offre personalmente a ciascun essere umano, ma non tutti sono sufficientemente maturi da saper rispondere. Ecco quindi il bisogno di strumenti pedagogici per poter affrontare comunque il cammino di maturazione. Questa necessità di carattere storico-sociale, fermo restando che i fedeli sono chiamati tutti a farsi sacerdoti in proprio, ha indotto la Chiesa a strutturarsi, delegando l'ordinazione ad alcuni e non ad altri, secondo certe regole e non altre, proprio per poter legare tutti in un cammino collettivo dove nessuno venga lasciato indietro.
Anche nel tradizionale linguaggio teologico ecclesiale, che definisce il sacerdozio ordinato sul piano dei mezzi e quello comune sul piano dei fini, si trova conferma che il primo ha caratteristiche transitorie (proprie dei mezzi) e quindi terrene, mentre solo il secondo è divino (unico vero fine). Infatti il sacerdozio comune resta, quello ministeriale passa; il primo si proietta in dimensione escatologica, il secondo ha soltanto funzione terrena. Il senso appare tanto più evidente se si considera che il sacerdozio costituito da Cristo non è per sacralizzare persone o luoghi, ma per far vivere dentro di sé lo Spirito, per rendere consapevoli «che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,6). Se tutti i cristiani fossero autenticamente cristiani (fossero esistenzialmente sacerdoti) i ministri ordinati sarebbero inutili.

Supplet ecclesia

Questa differenza di qualità sottolinea che la Chiesa istituzionale, con i suoi preti ordinati che ne sono l'espressione più tipica, è come un pedagogo che cerca di gettare un ponte tra l'uomo (per lo più infantile e di dura cervice, e quindi incapace di entrare nella pienezza umana) e un Dio che finisce per apparire lontano e distaccato. Fuga dalla realtà, alibi di comodo, delega di coscienza, spirito di sudditanza, paura della libertà, fanno dell'uomo un servo anziché un figlio, e allora diventa necessario porgergli un aiuto dall'esterno, un ponte per tentare di fargli raggiungere in qualche modo la dimensione divina. Il sacerdozio ordinato è espressione di un'umanità che, presa coscienza della sua distanza da Dio, cerca di costruirsi una mediazione incaricando qualcuno preparato ad hoc. Di conseguenza il sacerdote ministro, che è l'esecutore di un mandato ecclesiale (struttura fondata da Cristo ma che ha necessariamente aspetti istituzionali di natura umana) non agisce in proprio ma in nome della comunità intera che lo ha ordinato. Per questo può svolgere comunque il suo incarico, anche se fosse un cattivo prete, perchè le sue eventuali carenze personali verrebbero compensate dal tradizionale supplet ecclesia.
Al sacerdote comune-esistenziale è richiesta l'offerta di sé, della propria vita; l'ordinato riceve il mandato comunitario di amministrare i sacramenti e gli altri elementi di fede (naturalmente questo non impedisce ai preti ordinati, se vogliono, di essere anche sacerdoti comuni, oltre che ministri istituzionali). Gesù ha posto termine al culto rituale e ha istituito un culto esistenziale, che è trasformazione di se stessi per accogliere e coltivare l'amore divino. I sacramenti sono mezzo di congiunzione con Cristo, importantissimi perché elementi specifici d'incontro con lo Spirito Santo, ma pur sempre secondari, perché l'unico vero valore primario è far vivere Cristo dentro di sé, farsi come lui, trascendere i propri limiti, entrare in dimensione divina. In sostanza noi, comepersone umane, siamo chiamati a farci sacramento del Padre (figli di Dio) così come lo é stato Gesù Cristo.
Il sacramento è un'offerta divina che la Chiesa mette a disposizione di tutti, ma può essere inefficace se non viene accolto e utilizzato. Così il sacramento dell'ordine, che oltre a essere un mandato è anche uno straordinario aiuto personale per chi lo riceve, potrebbe anche rivelarsi sostanzialmente inutile e non produrre alcun effetto sul modo di essere della persona ordinata, se fosse recepito in modo disattento o scorretto. Ma il mandato comunitario resta sempre valido, indipendentemente dagli aspetti personali di ciascun prete.

Un popolo di sacerdoti

Coerenza e serietà vorrebbero che esplicito e implicito, l'aspetto esteriore e quello interiore, coincidano. Dal punto di vista personale, che senso avrebbe richiedere e ricevere il sacramento dell'ordine se il proprio cuore non si sentisse intriso di autentico spirito sacerdotale? Ma dall'esterno, dal punto di vista ecclesiale-comunitario, non è possibile sindacare la sfera intima di ciascuno, compito specifico della coscienza. Perciò il fatto di ricevere il sacramento dell'ordine può favorire l'impegno pubblico del servizio agli altri, ma di per sé non serve a modificare l'essenza della persona che lo riceve, perché c'è un solo modo di vivere in pienezza lo spirito sacerdotale: quello di farsi personalmente sacerdote, in concreto, negli atteggiamenti e nei fatti. Ecco la novità assoluta istituita da Gesù Cristo. E questo vale allo stesso modo sia per i laici che per gli appartenenti al clero o agli ordini religiosi. Qualunque sia il ruolo ricoperto nella Chiesa, è autentico sacerdote solo colui che vive profondamente nel cuore lo Spirito di Cristo. Quanto ai ruoli, ve ne sono alcuni che possono facilitare lo spirito sacerdotale, altri che rischiano di essere fuorvianti e dispersivi. Ma nella Chiesa di Cristo non esistono ruoli più sacerdotali di altri.
Permangono però antichi pregiudizi, duri a morire. Considerare il sacerdote ordinato come persona diversa dagli altri uomini, con poteri divini che gli conferirebbero, checché se ne dica, una qualche componente magico-sacrale, è una concezione ancora molto presente, e per quanto rivestita di terminologia cristiana resta inevitabilmente legata a criteri veterotestamentari, e anche pagani. In tali contesti il sacerdote, per ricevere l'investitura, doveva compiere tutta una serie di purificazioni per separarsi dal contesto mondano e non essere più immondo (in-mondo). Poi, una volta avvenuta la purificazione, doveva indossare le vesti sacre come segno specifico di una realtà distaccata e distinta. Chiari usi di natura terrena, nel tentativo di giungere a Dio attraverso deleghe di coscienza, mentre Cristo chiede il coraggio, la fatica (e la gioia) di farsi personalmente uomo in pienezza, di farsi personalmente sacerdote. Insomma, quella tradizione sacerdotale che per esprimersi ha bisogno di prendere le distanze dall'umano per mezzo di gesti o paramenti sacri è precedente a Cristo, anche se permane presente nel cristianesimo anche ai giorni nostri.

Anticipo escatologico

Il sacerdozio comune esprime la possibilità potenziale di entrare in contatto diretto con Dio Padre, facendosi figlio, rendendosi adulto, maturo, responsabile, diventando uomo nuovo che mostra il volto del Padre e compie le sue opere. Non un sacerdozio formale ma sostanziale, non sul piano del fare ma su quello dell'essere. E mentre il prete ordinato può anche avere scarso spirito sacerdotale, e tuttavia svolgere soddisfacentemente i compiti del suo mandato, sacerdoti comuni-esistenziali o lo si è o non lo si è, indipendentemente dai ruoli. Per questo Gesù non ha costituito un popolo sacerdotale in senso collettivo, ma un popolo di sacerdoti, nel quale ciascuno personalmente e' chiamato a esserlo (anch'io, devo ripetermi, se voglio farmi suo seguace). Si tratta di una potenzialità a disposizione di tutti, ma che deve essere concretamente accolta e fatta propria per diventare vera. Altrimenti resterebbe soltanto un sacerdozio frustato.
Nell'ottica di Cristo, come sottolinea San Paolo, l'istituzione è importante per la sua capacità pedagogica di aiutare ciascuno a diventare sacerdote di se stesso, e non per proporsi come mediazione permanente. Una Chiesa dai ruoli rigidi, nella quale soltanto alcuni sono sacerdoti, e lo sono per sempre, mentre chi non lo è resta dipendente da un mediatore esterno a sé, non sarebbe conforme al mandato di Cristo, che ha donato personalmente a ciascuno un sacerdozio regale, di pari dignità per tutti. Nessuno, in senso spirituale, è subordinato ad altri, fosse pure il Re o il Papa, o chiunque gestisca il potere temporale o spirituale. In questo senso, si potrebbe dire che l'antica immagine del "Re per Grazia di Dio", e relativi derivati, rappresentano l'antitesi del messaggio evangelico. E altrettanto potrebbe apparire il sacerdote ordinato, se anziché ministro al servizio della comunità, venisse inteso in senso sacrale, come interprete e portavoce del mondo divino.
Sul piano esistenziale ciascuno è sacerdote di se stesso, è responsabile del suo rapporto diretto con Dio Padre: un rapporto da persona a persona capace di realizzare la pienezza divino-umana fino a darne testimonianza vissuta, fino a dimostrare che l'uomo nuovo, capace di far vivere Cristo dentro di sé, è una realtà. Non c'è da purificarsi e separarsi dal mondo per andare verso un Dio che sta lassù, lontano, distaccato, ma, al contrario, c'è da accogliere Dio che scende a livello umano, che si pone fianco a fianco con i figli-fratelli, che si coinvolge con l'uomo, che vive al nostro livello. Non si tratta di gettare un ponte per salire a Dio, ma di lasciarsi raggiungere dal ponte che Dio ci lancia, da quel sacerdozio di natura divina offerto in dono gratuitamente. Basta aprire il cuore al Padre che sta alla porta e bussa, basta lasciare entrare lo Spirito nel proprio cuore. Se questo non avviene, nessun sacerdote esterno potrà mai sostituirsi a noi e aprire lui il nostro cuore.
Nella celebre parabola del vangelo di Luca, il figliol prodigo rappresenta lo spirito ribelle e il figlio maggiore il suddito. Entrambi faticano a capire che il loro papà chiede a ciascuno di porsi alla pari con lui, di entrare nella sua dimensione, d'imparare a guardare le cose dal suo stesso punto di vista, perché solo chi accoglie la spirito sacerdotale e lo lascia vivere dentro di sé può capirlo, può rendersene conto. Chi si fa figlio senza riserve non ha più bisogno di mediatori con il divino, perché egli stesso entra a farne parte, e nessun figlio si rivolge al proprio genitore attraverso mediatori.
Le vie della salvezza sono infinite, e probabilmente chi fatica ad assumersi un personale impegno di coscienza può trovare valido e positivo anche rivolgersi a un sacerdote esterno. Anzi, talvolta potrebbe rivelarsi una scelta migliore di quell'atteggiamento scettico-arbitrario che caratterizza sovente l'uomo odierno. A patto però che resti chiaro l'aspetto pedagogico, quindi temporaneo, e non diventi una scusa per adagiarsi su comodi atteggiamenti passivi, delegando ad altri la coscienza.. Forse sarà anche possibile farsi discepoli di Cristo (figli del Padre in pienezza) specializzandosi in taluni campi (come ad esempio il servizio) delegando ad altri la ricerca dell'aspetto sacerdotale. Vi sono infatti persone che sul piano dell'aiuto ai fratelli realizzano splendidi frutti, così, spontaneamente, senza porsi il problema d'identificare razionalmente gli aspetti del loro rapporto col mondo divino: fanno del bene, capiscono che è qualcosa di bello, e si accontentano di percepirne il senso. Ma quella strana sensazione di speranza e fiducia intrecciate assieme di cui parlano i mistici, testimoniandola come un autentico anticipo escatologico, la si può vivere solo nello spirito sacerdotale, nel coinvolgimento con la realtà divina che rende consapevoli di partecipare attivamente al riscatto e alla redenzione dai limiti e dalla contraddizioni della natura umana. Che rende consapevoli di lavorare concretamente per trasformare il male in bene.

 




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