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Articoli sulla Comunità del Mattino

 

dal periodico:
Comunità
2 febbraio 1984

La Comunità del Mattino
A Roma vivono sotto lo stesso tetto un gruppo di famiglie
che condividono beni materiali e spirituali

Si potrebbero elencare molti motivi a sostegno di una scelta comunitaria, ma preferiamo dire subito che solo uno è per noi fondamentale: Cristo. Il suo invito è stimolante e convincente perchè il suo messaggio non esprime una serie di proposizioni teoriche o astratte: è invece un metodo per vivere in pienezza, giorno dopo giorno, il presente e il futuro Nella sua genialità Cristo ha tracciato una via articolata con infinite possibilità Una di queste è la vita comunitaria, che scegliamo perchè ci sembra il veicolo più adatto al caso nostro.
La Comunità del Mattino si propone di creare e sviluppare un ambiente di vita basato su un cristianesimo esistenziale, capace di esprimersi nei piccoli (e grandi) momenti di vita pratica quotidiana, e di aiutare ciascuno a crescere e maturare in modo sempre più completo. Niente di eccezionale: basta favorire un ambiente di vita dove condivisione e coinvolgimento prevalgono su contrapposizione e conflitti, e lo scopo sarà raggiunto: i frutti non potranno mancare.
Sovente ci sentiamo chiedere come sia possibile andare d’accordo in tanti, quando è già cosi difficile tra coniugi, che sono soltanto due. Ma l’esperienza di questi annidi vita in comune ci ha dimostrato invece che diventa facile intendersi quando si scelgono liberamente dei comuni punti di riferimento sui confrontarsi. Le difficoltà che incontriamo sono d’altro tipo. Derivano dall’incapacità di far fruttare il tempo per poter valorizzare meglio le proprie possibilità potenziali, in modo da sapersi mettere più efficacemente al servizio dei fratelli.
Siamo però incoraggiai dal vedere che stiamo migliorando, che il nostro cammino sta già dando qualche frutto, che la fiducia ha ormai instaurato con noi un rapporto sempre più intimo. E allora confidiamo che lo Spirito ci illumini e ci insegnerà a far fruttare sempre meglio i nostri talenti.
Allo stato attuale la comunità è formata in modo piuttosto articolato. Tre coppie di sposi di età diverse (dal mezzo al quarto di secolo) si sono già assunte gli impegni comunitari a tempo pieno, e ve ne sono altre tre che, già da tempo, convivono di fatto nello stesso spirito, anche se non hanno ancora preso impegni espliciti. Poi i figli, alcuni dei quali, maggiorenni, condividono part-time la vita comunitaria. Infine gli amici, molti dei quali trovano nella nostra comunità un punto di riferimento, e vivono un rapporto più o meno coinvolto, secondo le necessità.
Lavoriamo tutti, svolgendo attività e professioni diverse: insegnante, impiegato, professionista, pittore, scrittore, giornalista, e anche, perchè no? contadino (coltiviamo un piccolo orto). Abbiamo elaborato e pubblicato una Carta e un Regolamento (Comunità del Mattino, Una scelta una proposta, Roma 1983, Edizioni Borla) che servono a scandire la nostra vita quotidiana.
Qualcuno ha avuto l’impressione, leggendo la Carta e il Regolamento, che ci siamo voluti dare un’impostazione di vita rigorosa e severa. Non è affatto vero: se abbiamo cercato di definire con precisione e con insistenza i punti di confronto e di riferimento, nell’ applicazione pratica non dimentichiamo mai che le regole sono fatte per l’uomo, e non l’uomo per le regole. La nostra vita è molto normale, e possiamo assicurare che per fare comunità non ci vuole proprio nulla di eroico. Se l’impostazione è chiara fin dall’inizio, i frutti non possono essere che succosi e abbondanti, perchè i momenti quotidiani in comune non permettono di assopire scelte e di dimenticare i motivi che le sostengono.
Nella nostra Cappella, che è il «cuore pulsante» della Comunità, ci riuniamo ogni giorno per la preghiera del mattino e della sera, e, una volta la settimana, per una celebrazione eucaristica comunitaria. Con la nostra vita in comune cerchiamo di mettere in pratica (non sempre con buoni risultati) l’insegnamento di Cristo, stimolandoci continuamente all’ascolto di quanto viene proposto dalla chiesa intera e dal suo magistero, impegnandoci in attiva collaborazione con la nostra parrocchia e con altre realtà ecclesiali, mantenendoci in profonda comunione con l’intero popolo di Dio. E contemporaneamente cerchiamo di far penetrare dentro di noi le indicazioni teorico-pratiche della fede, per poterle sentire in modo vivo e vissuto nelle nostre coscienze.
San Paolo ci esorta a pregare incessantemente, spronandoci a incarnare la preghiera nella vita quotidiana: «sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio». E la gloria di Dio, come diceva sant’Ireneo, è l’uomo che vive in pienezza. La nostra vita comunitaria, la nostra chiesa domestica che ci preoccupiamo di mantenere in comunione con la Chiesa universale, è scelta di tradurre nella pratica quotidiana queste esortazioni. È in questo modo, valorizzando l’aspetto esistenziale del cristianesimo e assumendoci per intero la responsabilità di essere chiesa anche noi, nel nostro piccolo, che aspiriamo a fare tutta la nostra vita una preghiera.

La Comunità del Mattino

Note di Pastorale giovanile
LDC3 marzo 1983

chiesa e giovani
STRANIERI MA FRATELLI

Una piccola comunità di laici sperimenta l’accoglienza come nuovo stile di fraternità.

Il mondo sta cercando per il suo futuro un nuovo stile di incontro e di fraternità. Per crearlo non sono sufficienti le decisioni dei politici e dei militari. Per la pace di cui il mondo ha bisogno non basta lo smantellamento dei missili e lo svuotamento degli arsenali. È necessario creare anche una nuova sensibilità di accoglienza reciproca. Questo è sempre stato uno dei tratti caratteristici della comunione evangelica fin dai primi tempi della vita ecclesiale; ma la facilità delle comunicazioni e l’impellenza dell’unificazione dei popoli esige ora un nuovo stile di accoglienza, anche al di là delle chiese e delle religioni.
Ovunque si crea questo nuovo stile, si costruisce l’umanità del domani, si prepara la nuova fase della pace, l’incontro fraterno dei popoli.
Roma cattolica ha saggiato la sua capacità di accoglienza nei confronti delle migliaia di credenti convocati dalla Comunità di Taizé per il Concilio dei giovani. Non è di quelle esperienze che fanno chiasso e che vengono solitamente registrate dai mezzi di comunicazione; ma è di quelle che fanno la storia e creano una generazione nuova di uomini.
Credo perciò importante segnalare il fatto e coglierne il valore. Lo faccio con la breve cronaca di un’esperienza vissuta da una piccola comunità di coppie, la Comunità del Mattino.
La nostra è una piccola comunità di laici sposati con figli; viviamo mettendo in comune la nostra vita, e la nostra casa è abbastanza grande da permettere il servizio dell’accoglienza, magari riempiendo tutti gli spazi disponibili. Non è questo un concreto servizio dell’unità e una condivisione anche della fede comune?
Già nell’80 avevamo ospitato una trentina di giovani venuti per il «Concilio», con cui avevamo mantenuto rapporti di corrispondenza epistolare e di amicizia. Quella esperienza ha avuto un seguito. Arrivano oggi, 28 dicembre 1982: ne ospiteremo 18, altri andranno in parrocchia. Polacchi, svizzeri, tedeschi, spagnoli: con la lingua andiamo proprio male, ci si intende a sorrisi, gesti e qualcosa di inglese. Cerchiamo di farli trovare a loro agio, ma non c’è tempo di pensarci troppo: devono uscire subito perché la sera stessa c’è il primo incontro di preghiera nelle basiliche di Roma. Tornano molto stanchi per la fatica del viaggio: tutti a dormire. L’indomani i rapporti cominciano a sciogliersi, e ancor più nei giorni successivi. Impariamo a comunicare in tanti modi. L’incarico di coordinare l’intero gruppo parrocchiale è stato dato a noi. La mattina ci troviamo tutti in parrocchia per un breve incontro di preghiera e per visitare alcuni luoghi di speranza, come il piccolo monastero di suore russe cattoliche, unico nel mondo, che rappresenta una piccola fiammella di speranza per la riconciliazione tra oriente e occidente cristiano.
La notte di San Silvestro aspettiamo tutti insieme l’anno nuovo facendo un po’ di festa. Niente di speciale: qualche panettone e qualche tappo che salta a mezzanotte. Un po’ di musica allegra e balli soprattutto collettivi dove il buon umore si scatena. Tante risate e tanta allegria. siamo diventati amici. Confessiamo che all’inizio c’era un po’ di timore: chissà chi arriverà, che tipi saranno, se riusciremo a intenderci. Ma ora tutto è chiaro: chi si muove con lo spirito di questi giovani per incontrarsi a pregare, a far festa insieme, non può essere che totalmente disponibile alla comunicazione e alla fraternità. Tanto disponibile da essere capace a creare, in pochi giorni, nuovi rapporti di vita.
Ad un tratto, durante la festa, qualcuno esprime l’intenzione di ritirarsi in cappella. Tutti aderiscono alla proposta e la nostra piccola cappella si riempie. Solo una candela è accesa. Un registratore propone in sottofondo quei monotoni e meravigliosi canti che avevamo registrato nei giorni precedenti durante gli incontri di preghiera nelle basiliche. Quegli incontri dove migliaia e migliaia di giovani seduti a terra cantavano in un’atmosfera tersa e serena, le loro speranze. Partecipare a quegl’incontri era stato per noi un’esperienza indescrivibile, e ora, nella nostra cappella, nell’intimo di poche decine di persone, i nostri canti ci sembravano altrettanto maestosi e l’atmosfera si è fatta ben presto carica di valori spirituali. Alcuni hanno cominciato a esprimere le loro intenzioni di preghiera e le loro riflessioni. Cercavamo di tradurre come si poteva, ma se molte parole venivano perdute, il senso restava chiarissimo.
La mattina di capodanno messa internazionale in parrocchia, con liturgia in latino e letture, omelie, preghiere nelle varie lingue dei presenti. E poi tutti a casa per il pranzo di capodanno. Ma non c’è tempo per dilungarsi troppo. Il pellegrinaggio è finito: nel pomeriggio ci sono le partenze. Il tempo di fare qualche fotografia e poi cominciano i saluti. E qui avviene una cosa strana: la commozione emerge spontanea. Eravamo estranei e sconosciuti fino a qualche giorno fa, e ora ci sentiamo così vicini e legati! È proprio vero che lo Spirito fa certi scherzi! Un vecchio proverbio dice che partire è un po’ morire. Ma non è vero. I nostri fratelli di Taizé sono partiti, eppure restano così vivi dentro di noi. Anche i loro predecessori che sono stati con noi due anni or sono hanno lasciato un ricordo che continua a essere vivo, e che viene ogni tanto rinfrescato da qualche scambio di corrispondenza. Questi incontri significativi sono per la vita. E non importa se anche non ci si rivedrà mai più: basta trovarsi una volta e condividere in spirito di preghiera anche un solo momento della propria vita per costruire un rapporto indelebile, per seminare un segno di speranza, per contribuire in qualche modo a rendere migliore il mondo.

Carlo Molari

 

L'INFORMAZIONE Domenica 9 ottobre 1994

UNA STORIA DI OGGI
Alle porte di Roma un nuovo modello di mini comunità

Tre famiglie con figli, che vivono lo stesso tetto, condividono i beni in comune, testimoniano insieme la loro fede. Un nuovo modello di comunità, una mini-famiglia di famiglie che abita alle porte di Roma Una proposta d’attualità, tra lo scorrere dell’Anno della Famiglia e i lavori del Sinodo sulla vita consacrata.
Ma anche una proposta fuori dagli schemi. «Siamo convinti che si può essere felici e che andare d’accordo è facile», afferma con sicurezza Antonio Thellung, sui 60 anni, genovese, a Roma dal 1950. L’idea della comunità è sua, in condominio con la moglie Giulia e le alte due coppie fondatrici, Elio ed Emanuela Carrera con Roberto e Isabella Salvan, di circa vent’anni più giovani.
Suoi anche la casa e il terreno che accolgono la comunità. Un ettaro in tutto a via della Pisana, all’altezza del Raccordo, compreso il mini parco fatto di pini e di salici, e il magazzino nel quale tutti lavorano al confezionamento e alla spedizione di prodotti dell’Unicef. È la fonte principale di sostentamento della comunità Uno di loro fa anche l’impiegato. I guadagni finiscono in una cassa comune e le spese vengono decise insieme. All’unanimità, come per le altre décisioni.
L’idea di fondare la comunità risale al 1977. Una partenza in salita per il: lavoro di riflessione comune, anche con la partecipazione di sacerdoti, poi l’ipotesi diventa realtà. Viene preparata una Carta della comunità, con tanto di regolamento.
Nel febbraio 1983 l’atto ufficiale di fondazione con una Messa celebrata da padre Giuseppe Lombardi, gesuita, una sorta di assistente spirituale della comunità, Ci sono anche altre tre famiglie, che nel 1989, però, decidono di andar via. Il primo segnale di difficoltà.
«Nonostante questo abbiamo sperimentato che l’idea funziona - spiega Thellung -. Si può coniugare insieme felicità e salvezza: Gesù è venuto per insegnare ad essere felici ed è stato messo in croce perché si è scontrato con la stupidità umana, con le tre P, possesso, potere, prestigio». Da queste realtà, invece, i dodici del “Mattino” (ci sono anche il figlio di Thellung, Filippo, 28 anni, e i cinque figli delle altre due coppie) cercano distare alla larga. Si sono imposti uno stile di vita sobrio. Ma senza eroismi o rinunce clamorose. E alcuni metodi per una vita in comune serena. Ingredienti: fiducia, sincerità, soprattutto disponibilità.
È questa, secondo loro, la parola magica, che riassume tutto quello che per i consacrati alla vita religiosa significano i tre tradizionali voti di povertà, obbedienza e castità. Una parola nuova per una strada nuova. Esempio concreto? «Ci siamo impegnati - afferma Thellung..- a rispettare quella frase di San Paolo secondo cui “Il sole non tramonti sulla tua ira”. Ovvero, la disponibilità a dirci tutto, senza riserve mentali, ogni volta che ci siano contrasti o divergenze» E per farlo quale luogo migliore della cappellina accanto alla casa, sede di tutte le celebrazioni comunitarie?
Cosa che accade anche per l’educazione dei figli «Ma - precisa Thellung - senza - confusione di. ruoli. Sanno bene chi sono i genitori. Non. tutti, comunque, hanno seguito l’idea di papà e mamma: le due figlie di Thellung, Marina, di 40 anni, e Costanza, di 36, hanno scelto di vivere li accanto senza far parte della comunità.  Ma il clima è ottimo.
La domenica tutti a Messa in parrocchia. Per confermare l’appartenenza alla Chiesa. «Vogliamo esserne parte, vogliamo vivere un cristianesimo esistenziale», spiega ancora Thellung. Ottimista, ma consapevole dei limiti. «È stato anche un mezzo fallimento, pensavamo di coinvolgere altra gente» Ci sono riusciti, ma all’estero, in Polonia. Hanno fondato a Wadowice, la città natale del Papa, una comuintà “sorella”. E cosi s va avanti. Nel giardino di via della Pisana. Cinquantamila pacchi all’anno spediti per conto dell’Unicef. Da un lato, la convinzione di essersi «assestati su una vita, borghese», dall’altro la volontà di essere una «famiglia plurale», un «progetto di vita consacrata».

Angelo Zema

 

Jesus agosto 2000

Se “La Collina” rappresenta l’esperienza storica, se il Casale muove i primi passi, esiste anche chi, dopo dieci anni di intensa vita comune, ha deciso di rompere un po' le righe. «Oggi siamo ridotti al minimo ma continuiamo ad avere dei momenti di condivisione. Pensiamo comunque che l’esperienza fatta sia stata importantissima». Antonio e Giulia Thellung vivono sulla Pisana, zona Ovest di Roma. Abitano in un casale a due piani con altre tre famiglie. Fino a qualche anno fa erano 23 persone più gli ospiti di turno.
L’idea di mettere su una comunità di vita, che condividesse tutto, dalla preghiera allo stipendio, era venuta ad Antonio, pittore e scrittore. Si parte nel ‘78, con alcuni amici e dei giovani cresciuti intorno ai Thellung. La casa di famiglia viene divisa, a piano terra una stanza è adibita a cappella. Alle pareti Antonio dipinge una Ultima Cena con sagome senza volto (Ognuno può metterci il suo). Un gesuita, padre Giuseppe Lombardi, segue da vicino l’esperienza. Si prendono impegni formali, si sceglie un nome: ‘Comunità del Mattino” («Guardiamo al Futuro, pensiamo di essere agli inizi del cristianesimo»), e un logo, un gabbiano dalle ali spiegate. La casa ospita stranieri di passaggio, tra i quali un frate cappuccino polacco che, entusiasta, li invita a fondare nel suo Paese una comunità gemella. Sarà poi la volta di alcune famiglie di Sarajevo o di giovani pellegrini provenienti da Taizé.
Quindi l’esigenza di maggiore privacy, soprattutto da parte delle nuove generazioni, spinge a ridimensionare l’esperienza di condivisione. Per chi resta alla Pisana rimane un punto fermo la preghiera della sera e del mattino, la collaborazione con la parrocchia di zona, e l’assistenza dei malati terminali. Chi va via si ritrova talvolta all’Eucaristia del martedì. Alla messa di fine anno, però, non manca nessuno: diventa un momento per rinsaldare i fili e continuare a camminare nello stesso spirito, anche se per strade diverse. «Siamo felici di quello che abbiamo costruito», dice Isabella. «Se non è possibile per tutta la vita, comunque è un’esperienza che vale la pena di fare, perché la convivenza, anche se difficile, ti stimola continuamente, ti aiuta a crescere e a incontrare gli altri.

Vittoria Prisciandaro




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