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Sia fatto a voi secondo il vostro dissenso

Catania 12 marzo 2010 - Parrocchia S.Pietro e Paolo


Dal dissenso respinto e arrabbiato al dissenso accolto e affettuoso
(rielaborazione scritta della conversazione)


Buonasera a tutti, sono molto contento di essere qui nella vostra parrocchia di San Pietro e Paolo, vi ringrazio per avermi invitato per questa serata dedicata ancora una volta all'elogio del dissenso cristiano. Mi dicono che in questa comunità la sera del venerdì è solitamente dedicata alla lettura e al commento della parola della domenica, e stasera non faremo eccezioni, perché si da il caso (o forse è lo Spirito Santo in incognito a fare uno dei suoi soliti scherzi) che domenica prossima ci sia un brano del vangelo che si potrebbe definire come emblema del dissenso cristiano. È la parabola del figliol prodigo. Cominciamo quindi da questo vangelo che insegna molte cose, se viene letto attentamente. Ho portato con me la riproduzione di un celebre quadro di Rembrandt dove si vede il figliol prodigo inginocchiato davanti a suo padre che lo avvolge benevolmente con le sue braccia. Ebbene, questo quadro è un esempio classico di grande arte e pessimo catechismo, perché il figlio prodigo non si è mai inginocchiato davanti a suo padre, e il padre non lo ha mai trattato così, paternalisticamente, dall'alto in basso. Una simile presentazione deriva da una lettura strumentale dell'episodio, più o meno voluta, che è funzionale al potere costituito e contrario a ogni forma di dissenso.

Che cosa insegna l'episodio evangelico? Esiste una famiglia dove un giorno un figlio dice: voglio gestire autonomamente la mia vita, o, in altre parole, esprime un dissenso dallo stile di vita che era proposto e manifesta l'intenzione di volerne seguire un altro. Come reagisce il padre, cioè l'autorità? Con la classica predica, forse? Con qualche paternale, tipo: tu ti credi che…. , che cosa vuoi capire, dai retta a me che ne so più di te, altrimenti vedrai che te ne pentirai, ecc? Nient'affatto. Anzi, non gli dice nulla, si preoccupa piuttosto di dargli la sua parte, quella che gli serve per compiere il suo percorso individuale. E neppure gli manda dietro una guardia del corpo per sorvegliarlo o proteggerlo. Non sa e neppure vuol sapere che cosa fa e dove va, perché il solo saperlo condizionerebbe già la libertà del figlio. Ecco, Dio-padre accoglie così il dissenso dei suoi figli, e reagisce lasciandoli interamente liberi di fare la propria esperienza. Dopo di che continua a fare la sua vita di sempre limitandosi a guardare lontano, perché da un lato, ovviamente, sente il desiderio di vedere suo figlio ritornare a casa, ma non si spinge oltre l'attesa. E quando il figlio appare, lo vede da lontano, gli corre incontro e gli butta le braccia al collo. Il figlio, da parte sua, si era preparato un discorsetto per farsi perdonare, ma il padre gli tappa la bocca come a volergli dire: che cosa c'importa delle parole, l'unica cosa che conta è che sei qua. Se ci sei nessuna parola ha senso, e se non ci sei neppure. È la presenza che conta: ora che ci sei facciamo festa. Il figlio ha fatto il suo itinerario, è arrivato in porto, null'altro conta.

C'è poi l'altro aspetto del racconto: il fratello maggiore. Non ha mai trasgredito a un ordine del padre, e tuttavia non ha capito nulla. Ecco come il vangelo descrive il dissenso, con le sue conseguenze: chi dissente e segue la sua strada secondo propri criteri (giusti o sbagliati che siano), può giungere a prendere coscienza della realtà e fare una scelta consapevolmente positiva. Chi si appiattisce al seguito altrui non capisce, non può capire nulla.

Se proviamo a chiederci come viene invece visto e accolto il dissenso dalle autorità questo nostro modo, ci accorgiamo che non è affatto così. Anzi, il dissenso viene di solito affrontato con fastidio, se non con rabbia, come se fosse un nemico che disturba il manovratore, un nemico da contenere, soffocare, eliminare. Perché il manovratore dimentica, anzi non vuole nemmeno pensare che anche lui, mentre manovra, ha bisogno di controllare, verificare, correggere costantemente la manovra per mantenere la rotta. E trova più comodo zittire il dissenso a priori, anziché verificare attentamente le indicazioni che gli fornisce per capire meglio se si trova sulla giusta rotta, o se c'è qualcosa da modificare per non rischiare di finire fuori strada. Mi sovviene come esempio un'esperienza che ho vissuto nel passato. Ricordo che nel dopoguerra qualcuno diceva che Mussolini era stato ingannato e per questo aveva combinato i guai noti. «Gli han fatto credere questo e quello» era un ritornello abituale. Ed era vero, direi (a parte ogni altra considerazione). Certamente Mussolini si era fatto delle illusioni, era stato ingannato dal suo entourage, ma come avrebbe potuto essere diversamente? Che cosa avrebbe potuto aspettarsi, dopo che si era circondato soltanto di adulatori, di yes men, emarginando e cacciando via tutti quelli  che osavano sollevare obiezioni ai suoi voleri, fino a fare tabula rasa del dissenso? È lui che si era messo in condizioni di essere inevitabilmente ingannato. E una tentazione simile la vediamo continuamente inseguita anche dalle autorità del presente, religiose o civili che siano.

A pensarci bene, il dissenso è il miglior amico che abbiamo, perché funziona come sentinella delle coscienze. È il dissenso che può salvarci da subdoli inganni, primo fra tutti la troppa sicurezza di sé, la presunzione di saper comprendere la realtà, la supponenza di essere nel giusto. In altre parole, il dissenso mi serve per capire se le mie convinzioni meritano conferma, oppure se c'è qualcosa da modificare e aggiornare.

Che cosa avviene invece, di solito? Avviene che l'autorità reprime il dissenso, che, di conseguenza, diventa sempre più arrabbiato, creando contrapposizioni negative per tutti. Forse sono un sognatore, ma da parte mia sono convinto che se il dissenso fosse accolto con il rispetto che merita, imparerebbe a esprimersi in modo affettuoso e costruttivo, a beneficio di tutti. Ma ci vorrebbe molto coraggio da entrambe le parti.

Chiediamoci ancora, perché il dissenso è visto come un nemico? Personalmente credo che questo atteggiamento, comune a tutte le autorità, derivi dal fatto che subdolamente persiste l'idea di fondo che gli uomini (maschi e femmine) si dividono in buoni e cattivi. E quindi viene spontaneo pensare che i buoni sono quelli dalla propria parte e i cattivi sono gli altri, i nemici, quelli che sollevano problemi e ostacoli. Chi dissente è sempre cattivo. Invece, se è vero che un sistematico dissenso di principio non sarebbe affatto positivo, è anche vero che un dissenso trattato da entrambe le parti con benevolenza e senso di responsabilità potrebbe far progredire tutti in modo positivo, riducendo di gran lunga storture e deviazioni. Basterebbe dire che se l'autorità ecclesiastica del passato, a suo tempo, avesse dato più ascolto al dissenso, oggi Papa Giovanni Paolo II si sarebbe risparmiati diversi mea culpa.

Sovente nascono elementi di dissenso da equivoci di linguaggio o addirittura dall'uso improprio di singole parole. Come esempio tipico prendiamo la parola chiesa che viene abitualmente utilizzata con significati diversi, radicalmente diversi. Viene infatti usata per indicare l'intero popolo dei credenti in Gesù Cristo, ma anche per indicare il solo magistero, cosa tremendamente ambigua, perché insinua un'immagine di chiesa che non è corretta. Il fatto è che c'è l'idea diffusa, tra i cristiani praticanti ma ancor più tra i "lontani", che la Chiesa sia una società formata da coloro che accettano certe regole elaborate e controllate dall'autorità, mentre non fan parte della chiesa coloro che non rispettano quelle regole. Ma si tratta di un'idea scorretta nient'affatto giustificata. La Chiesa, invece, è formata da tutti coloro che guardano a Cristo, buoni o cattivi che siano, in modo giusto o sbagliato (tanto guardiamo tutti a Cristo in modo almeno un po' sbagliato). È chiaro che bisogna cercare di depurare la figura di Gesù da interpretazioni equivoche o tendenziose, ma bisogna imparare a farlo tenendo conto di tutte le istanze che lo spirito suscita all'interno della comunità ecclesiale, e non partendo dal presupposto che la verità sta senz'altro da una parte, e gli altri possono soltanto adeguarsi o sbagliare.

Troppo spesso si dimenticata la parabola del grano e della zizzania, e troppo spesso è stato dimenticato che non siamo in grado di capire, in certi momenti particolari, che cosa realmente vale e che cosa è da scartare. E ancor più, che certi metodi di "pulizia" finiscono per sporcare tutti, anche chi è animato dalle più nobili intenzioni. Come se Gesù non fosse stato forse abbastanza chiaro. allora? È necessario rendersi conto che la chiesa di Gesù Cristo, quella vera, è formata da grano e da zizzania, è un insieme tra diversi. Non possiamo pretendere, magari inconsciamente, di camminare con quelli che ragionano come noi (ma fino a che punto, poi?). Gesù lo spiega: se salutate coloro che vi salutano, se siete benevoli con quelli che sono benevoli con voi, che cosa fate di straordinario? Tutti fanno così, anche i peggiori. Per questo ha formato la Chiesa, che è un insieme tra diversi.

Qualcuno, talvolta, sembrerebbe aver la pretesa di rendere puro a priori un cammino di purificazione. Mentre è la Chiesa stessa un cammino di purificazione. E come si potrebbe dire: tu te ne devi andare perché non sei puro? Al banchetto di nozze sono invitati tutti, buoni e cattivi. E bisogna imparare a convivere con le diversità. Voglio fare una confessione, come esempio: una volta quando durante qualche messa ascoltavo delle omelie un po' squallide e stereotipate, mi sentivo disturbato e cercvavo di non frequentare più quella chiesa. Poi però mi sono detto: ma chi sono io per sentirmi più avanti degli altri? Per pensare che altri dicono delle sciocchezze e io non ne dico? O per stabilire che determinate opinioni altrui sono superstizioni o religiosità di serie B? Oggi invece, quando ascolto un'omelia che non mi piace, sono contento, perché mi offre un'occasione per riflettere meglio, per verificare taluni aspetti del mio credo. E poi ho capito che se anche cercassi di frequentare ambienti di persone che sono più vicine al mio sentire, so che troverei comunque delle divergenze, di tanto in tanto, e quindi sarebbe sempre necessario affrontare e superare dei disaccordi. Perché i disaccordi sono connaturati ai limiti strutturali delle persone umane. Insomma, sarebbe ora di mettersi in testa che chi dissente è diverso, ma non cattivo. E se poi anche fosse cattivo, dovremmo sapergli dire: vieni con noi lo stesso, perché andando avanti insieme forse potrai cambiare, lasciare da parte la cattiveria, imparare anche tu che insieme si sta meglio, che si sta in armonia che in contrapposizione.

Per tornare al dissenso nel campo ecclesiastico, si può dire che tutta la storia della chiesa è trapunta di dissenso. Per esempio, alla messa recitiamo il credo che si chiama Niceno Costantinopolitano, perché si è formato nei concili di Nicea (anno 325) e di Costantinopoli (anno 381). Oggi tendiamo a pensare che in un concilio, dove sono riunite le massime autorità della chiesa, ci siano motivi per discutere e pr confrontarsi, per poi giungere però a un accordo all'unanimità o quasi, e questo immaginiamo sia avvenuto. Invece non è affatto così. Intanto quei concili sono stati convocati dall'Imperatore e non dal Papa che, anzi, non era neppure presente. Tra l'altro a quello di Nicea erano presenti i suoi legati, mentre a quello di Costantinopoli c'erano solo vescovi orientali, mentre il Papa lo aveva dichiarato non valido, tanto è vero che i suoi canoni sono stati approvati ufficialmente dalla chiesa d'occidente soltanto nel 1274, ben 800 anni dopo. Eppure i due concili sono tra i pilastri del cristianesimo, solo che nel loro svolgersi i contrasti e i disaccordi l'hanno fatta da protagonisti, quasi a voler dimostrare che senza confrontarsi con il dissenso non si potrebbero raggiungere risultati validi. Poi c'è da aggiungere che al concilio di Nicea, dopo accaniti scontri, alla fine sono state condannate le tesi di Ario, e noi siamo portati a pensare che quello sia stato un punto fermo. Ma nient'affatto, perché nei cinquant'anni successivi Ario e i suoi seguaci sono stati più volte riabilitati e ricondannati, tanto che il vescovo di Alessandria, ariano, è stato cacciato e reintegrato nel suo ruolo per ben cinque volte. Per chi è tendenzialmente portato a vedere l'autorità come un monolite, magari con diverse posizioni al suo interno ma poi monolite nelle sue decisioni, questi esempi potranno bastare a rendersi conto che non è così. E meno male.

Vorrei ancora aggiungere che istintivamente siamo abituati a considerare il dissenso come una sorta di anarchia, e quindi tipico degli ambienti progressisti, o si potrebbe dire di "sinistra". Invece non è così, anzi, e come esempio voglio leggervi alcune citazioni tratte da giornali di estrema destra, editi dalla congregazione del vescovo Lefebvre. Ne accenno solo alcuni: «Il cardinal Casaroli e il padre Arrupes.j. pubblici nemici della Chiesa»; «il Vaticano II: un'autentica truffa ai danni della verità rivelata»; «il nulla osta della curia di Milano alla demolizione della fede»; «Ratzinger, un prefetto senza fede alla Congregazione della fede»; «C,M,Martini: un non credente sulla cattedra di S. Ambrogio»; «la tremenda colpa di Giovanni XXIII»; «l'errore fondamentale della teologia di Giovanni Paolo II». Credo che basti per dimostrare che il dissenso esiste a tutti i livelli e nelle più svariate forme. Ed è irrinunciabile farci i conti.

È proprio oggi in particolare che il dissenso potrebbe rivelarsi il miglior amico delle autorità ecclesiastiche, se fosse accolto benevolmente con l'attenzione che merita, perché la credibilità del Magistero è molto in ribasso, e la cieca difesa di vecchie posizioni obsolete rischia di farla cadere ancora più in basso. Per esempio, quando di tanto in tanto si sente dire che il Magistero della Chiesa ha sempre difeso la vita dal concepimento alla sua fine naturale, e che lo ha sempre fatto, tutti sanno che non è vero. Non lo è stato in passato, cosa ben nota, ma non lo è neppure al presente, perché recenti documenti ufficiali, come ad esempio l'enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, come anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, dicono che il comandamento non uccidere ha valore assoluto soltanto per l'innocente e il giusto. Evidentemente, secondo il Magistero, la vita dei "cattivi" non merita di essere difesa. Personalmente penso che, probabilmente, l'autorità odierna eliminerebbe volentieri quel "vale solo per l'innocente", ma dichiararlo esplicitamente significherebbe riconoscere che nel passato il Magistero si era sbagliato. Non che qualcuno ne dubiti, tutti sanno che ha sbagliato, ma guai a dirlo ufficialmente perché c'è una gran paura ad ammettere che la Chiesa possa sbagliare.

Al di là del discorso di principio sul rispetto della vita umana comunque, c'è poi la drammatica ricaduta nella vita pratica. Perché una volta affidato a valutazioni di merito l'applicazione del comandamento non uccidere, questo significa classificare e dividere gli esseri umani in buoni e in cattivi. Inoltre poi, chi è che stabilisce se uno è buono o cattivo, se non la stessa autorità che può comminare la pena? In prospettiva, un tale atteggiamento non è altro che un avallo incondizionato alla legge del più forte. È come autorizzare i prepotenti a dire: se stai con me, bene, altrimenti io ti dichiaro cattivo e ti elimino, con tanto d'autorizzazione legale e benedizione morale. In altre parole, dire che il colpevole si può anche condannare a morte significa dire che si può giungere a qualsiasi arbitrio, senza nessuna verifica e nessun contrappeso. Infatti, mi domando, quale autorità ha mai condannato a morte un innocente (secondo i suoi criteri)?

La Chiesa, nel passato, ha sbagliato: oggi non si può più sostenere il contrario. Ci saranno state delle giustificazioni? Forse. Erano altri tempi? È vero. Non era facile capire il senso dei diritti umani? Può darsi. Ma al di là di qualsiasi valutazione del passato, oggi non esiste più alcuna giustificazione, e il Magistero della Chiesa, se vuole essere credibile, dovrebbe decidersi a dichiarare a chiarissime lettere che il comandamento non uccidere vale per tutti, assolutamente per tutti, innocenti e colpevoli, buoni e cattivi. Credo che su questo punto, dissentire dalle posizioni ufficiali sia non solo lecito, ma doveroso. Se l'autorità, nel passato, avesse dato più ascolto al dissenso, Papa Giovanni Paolo II si sarebbe risparmiato parecchi mea culpa.

Il fatto è che sulla parola cristiano c'è un'ambiguità di fondo, perché viene utilizzata sia come riferimento a Cristo, sia come riferimento ai cristiani, cioè al cristianesimo reale così come si è strutturato nella storia. Ma i due significati sono molto diversi, e su molti punti addirittura inconciliabili. In sintesi, il primo significa che siamo tutti fratelli, tutti dalla stessa parte (ma proprio tutti tutti). Perciò, se un fratello va fuori strada è naturale cercare di ricuperarlo, è naturale offrirgli sempre una nuova opportunità (porgere l'altra guancia). Il secondo invece divide gli esseri umani in buoni e cattivi, con l'implicito invito: se vuoi stare dalla parte dei buoni (che siamo noi) devi combattere i cattivi, e se necessario ucciderli. Una posizione giustificata sovente con la tesi che se si lasciano agire impunemente i violenti, allora prevarranno (cosa che purtroppo è vera). Ma ben diverso è difendersi, dolorosamente e con molta tristezza, quando è proprio indispensabile, dal teorizzare trionfalisticamente che sterminare i cattivi è un atto positovo! San Bernardo, al tempo delle crociate, diceva che uccidere un cattivo non è omicidio ma un malicidio. Non voglio fare ora facili commenti, ma mi domando: si può dissentire oggi dalle posizioni ufficiali cristallizzate nella storia, e chiedere al Magistero di decidersi una volta per tutte e senza ambiguità che deve essere applicato a tutti, innocenti e colpevoli, il rispetto assoluto della vita umana dal concepimento fino alla sua fine naturale (inclusa la rinuncia a ogni forma di accanimento terapeutico, argomento però che lasciamo a un'altra occasione).

L'ossessione di non ammettere mai di sbagliare è tipica dei dittatori, perciò dovrebbe essere ben lontana dalla mentalità di coloro che si rifanno a Gesù Cristo. Invece! Significativo è il fatto che Hitler, nel suo Main Kampf, elogia la Chiesa, dice, perché cambiare (dice) è segno di debolezza, e la Chiesa,  una volta fatta un'affermazione, non la cambia più. E altrettanto significativo è che Sant'Ignazio, che peraltro può dirsi un genio della spiritualità, si spinga però a dire (nel n. 365 dei suoi esercizi spirituali): Per non sbagliare, dobbiamo sempre ritenere che quello che vediamo bianco sia nero, se lo dice la Chiesa gerarchica! Francamente, a me mi spaventa.

Per avviarci al termine, mi chiederei quale sarà la Chiesa del futuro, e la mia speranza è che si affermi finalmente la Chiesa delle coscienze, dove il dissenso sia accolto e trattato con l'attenzione che merita, e riconosciuto come miglior amico della verità. Questo il modello di Chiesa che vedrei volentieri: tutti insieme, buoni e cattivi, grano e zizzania, perché l'insieme tra uguali è facile, mentre è l'insieme tra diversi che Gesù Cristo ci esorta a costruire. Una Chiesa fatta di coscienze mature. Concluderei con un aneddoto che viene dall'antica Grecia, che considero molto significativo come indicazione di comportamento costruttivo. Si dice che un giorno il grande filosofo Zenone stesse tenendo una delle sue famose conferenze nelle quali, con ragionamenti logici inoppugnabili, sosteneva l'impossibilità del movimento. E Antistene, che stava ad ascoltare, anziché intervenire per confutare con le parole tali tesi, si alzò e si mise a camminare su e giù per la stanza. Ora da parte mia non disprezzerei il confrontarmi con Zenone, magari discutendo animatamente, perché credo necessario sviscerare l'aspetto razionale delle nostre conoscenze, ma contemporaneamente credo indispensabile camminare con Antistene, nella fiducia che se cammineremo insieme lo Spirito Santo continuerà ad assisterci, ma come sa lui, e non come pensiamo noi.

Fondamentale, credo, è che il dissenso sia costruttivo, e non frenate. Credo che Gesù, col suo messaggio, abbia inteso dire: sia fatto a voi secondo il vostro dissenso. Grazie




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