il giorno 21 gennaio 2013 alle ore 19,00
presso la Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo
via Siena 1 - Catania
sarà presentato il libro
I DUE CRISTIANESIMI
La Meridiana - pag. 160 - € 16,00
per acquistarlo
Dal risvolto di copertina
Il termine cristianesimo indica due modelli di riferimento, sovente inconciliabili tra loro. Il primo modello si richiama a quel che Gesù ha detto e fatto, cioè al cuore del messaggio di Cristo. Il secondo si riferisce al cristianesimo reale così come si è affermato nella storia e nelle società umane, quel che si usa chiamare “cristianità”.
La divaricazione tra i due modelli, come dimostra l’acuta ricostruzione teologica e storica contenuta nelle pagine di questo coraggioso volume, è insopportabile. Eppure non impedisce all’autore di formulare la speranza sulla possibilità di una riconciliazione:
“Sperando contro ogni speranza, sogno un papa che si affacci sul mondo e si sciolga nel mare di folla che gli sta di fronte, un papa che continui a rivolgersi all’intera umanità non come portatore di una verità precostituita, inquinata dal modo prepotente di proporla e prigioniera di schemi obsoleti. Sogno di vederlo proporsi come ricercatore di verità, da investigare e far maturare insieme per dare un senso alla vita nell’armonia dell’insieme.
Sogno che si allarghi la schiera di coloro che si decidono ad allungare la mano verso chi è nel bisogno, nella fiducia che altri lo stiano già facendo. Se si chiamasse cristiano solo quel che è conforme al messaggio di Cristo, molte sovrastrutture si mostrerebbero chiaramente per quello che sono, e forse si scoprirebbe che i cristiani autentici sono più di quanto si creda. E susciterebbero sorpresa e ammirazione, e molti si sentirebbero attratti dal loro stile di vita, e comincerebbero a fare come loro.”
Indice del volume
L'ambiguità cristiana pag. 7
Due modelli. Cristomessaggio e cristianità.
Il modello nelle scritture. La ricerca del Gesù storico.
L'essenza della cristianità. Una duplicità machiavellica.
La duplicità nella storia pag. 34
La svolta imperialistica. Divide et impera.
Contraddizioni teoriche e impegno sociale.
La cristianità avanza. L'assolutismo papale.
L'imperialismo rinascimentale pag. 64
Il cristomessaggio nel medioevo. L'inquisizione medioevale.
Il magnifico Rinascimento. Il rutilante barocco.
Schiavitù e colonialismo..
Verso il presente pag. 93
Infallibilità e conflitti. La seconda guerra mondiale.
Il dopoguerra. Il Concilio: speranze e delusioni.
Le novità conciliari. Gli anni di Paolo VI.
Il recente passato pag. 117
Luci e ombre di Giovanni Paolo II. Aperture e chiusure.
Perdono e buona fede. Incoerenze latinoamericane.
Strumentalizzazioni e mani tese. Problematiche vitali.
Al giorno d'oggi pag. 144
Il divino erotismo. Pecunia non olet.
Ipocrisia e vergogna. Verso una Chiesa delle coscienze.
Un sogno e una speranza.
L'inizio
Equivoci e malintesi fanno parte integrante delle comunicazioni umane, perché i linguaggi sono ambigui di natura, e lo sono anche i singoli vocaboli. Tipico esempio è la parola cristianesimo (cristiano) che viene abitualmente usata per descrivere fatti e avvenimenti così diversi da condizionare non solo le valutazioni storiche, ma anche la comprensione di quel che accade al presente. Lo stesso termine cristianesimo, infatti, serve a indicare due modelli di riferimento, sovente inconciliabili tra loro, senza che si avverta una sufficiente preoccupazione di chiarirne le ambiguità. A me sembra interessante evidenziarli meglio.
Il primo dei due modelli si richiama a quel che Gesù ha detto e fatto, cioè al cuore del messaggio di Cristo. Il secondo si riferisce al cristianesimo reale così come si è affermato nella storia e nelle società umane, o per meglio dire a quel che si usa chiamare "cristianità". Ma sarebbe ingiustificato identificare il primo come "quello buono" e il secondo come "cattivo", o meno buono, o comunque negativo, perché le valutazioni sono assai complesse, e tanto più quando si guarda alle conseguenze pratiche nel contesto sociale e politico. Un esempio significativo è l'invito a porgere l'altra guancia, perché nella vita vissuta un tale atteggiamento potrebbe anche lasciar via libera ai soprusi dei maleintenzionati. Che fare dunque? Se ne può discutere da diversi punti di vista, e mi sembra lecito e giustificato che qualcuno consideri positivo o necessario usare talvolta perfino metodi violenti, se è per impedire a qualche energumeno di compiere crimini o soprusi. Tuttavia mi sembra indiscutibile che nulla di violento possa mai essere riferito all'insegnamento di Gesù, e quindi, al di là di qualsiasi intenzione, che utilizzare armi d'offesa in nome di Cristo sia da considerare, come minimo, scorretto. All'esortazione di porgere l'altra guancia egli non ha aggiunto precisazioni e distinguo: l'ha detto tout court, senza se e senza ma.
Difendersi dai maleintenzionati può essere doveroso, sul piano sociale, e tuttavia dovrebbe restare sempre chiaro che certi metodi non sono quelli di Gesù. In altre parole, qualora un cristiano ritenesse necessario usare una qualsiasi forma di violenza, mi sembrerebbe corretto che riconoscesse esplicitamente di assumere decisioni non conformi al cuore del messaggio evangelico. Insomma, bisognerebbe avere l'onestà di dire: anche se faccio parte della comunità cristiana, in questo caso scelgo di non seguire il modello indicato da Cristo. Anzi, bisognerebbe ammettere sinceramente che certe volte, forse, nella pratica quotidiana è pressoché impossibile essere autenticamente cristiani.
Mi rendo conto che si tratta di un'affermazione pericolosa, ma francamente mi sembra assai peggio deformare il messaggio per giustificare le proprie incapacità, come ha fatto sovente la cristianità storica con le sue violenze anche istituzionalizzate, cercando di legittimarle con artificiose argomentazioni.
Il finale
Sperando contro ogni speranza, sogno un Papa che si affaccia sul mondo e si scioglie nel mare di folla che gli sta di fronte, un Papa che continua a rivolgersi all'intera umanità, ora che i mezzi di comunicazione lo rendono possibile, ma non come portatore di una verità precostituita, inquinata dal modo prepotente di proporla e prigioniera di schemi obsoleti. Sogno di vederlo proporsi come ricercatore di verità, da investigare e far maturare insieme, nell'intero popolo di Dio che riunisce in sé non solo le 65 lingue capaci di trasmettere auguri, ma soprattutto miliardi e miliardi di cuori che battono, ciascuno a suo modo, nella speranza di dare un senso alla vita nell'armonia dell'insieme.
Ma indipendentemente da quel che farà domani il Papa, e da come decideranno di muoversi i gestori del potere, sogno che si allarghi la schiera di coloro che si decidono ad allungare la mano verso chi è nel bisogno, nella fiducia che altri lo stiano già facendo. Se si chiamasse cristiano solo quel che è conforme al cristomessaggio, molte sovrastrutture si mostrerebbero chiaramente per quello che sono, e forse si scoprirebbe che i cristiani autentici sono più di quanto si creda. E susciterebbero sorpresa e ammirazione, e molti si sentirebbero attratti dal loro stile di vita, e comincerebbero a fare come loro.
La mondializzazione proietta la Chiesa fuori dai suoi tradizionali confini, rendendo chiaro che la salvezza, comunque intesa, sta proprio nel proiettarsi oltre, sulle ricchezze che si possono conquistare aprendosi agli altri. Altro che extra ecclesiam nulla salus! Che fare dunque perché il regno di Dio, cioè lo stile di vita indicato da Gesù, si renda più presente nella società umana? Per il cristomessaggio non è importante la religione praticata: quel che conta sono i gesti d'amore gratuito messi in pratica nella vita quotidiana, senza dover chiedere a chi li compie se è cristiano, musulmano, buddista, ebreo o seguace di qualsiasi altro credo (o non credo). Il cristianesimo sarà finalmente maturo quando i cristiani compiranno gli stessi gesti di Gesù Cristo senza neppure nominarlo.
Quale futuro, dunque? Credo che il cristomessaggio continuerà a essere vivo, anzi credo che riacquisterà vigore suscitando nuovi interessi. Ma nel suo aspetto sostanziale, però, e non teorico. Vivrà negli stili di vita che saranno espressi, come frutti maturi, da tutte quelle persone che hanno assorbito creativamente gli insegnamenti di Gesù, non importa se ricevuti direttamente da lui o attraverso altre strade. Persone vitali e determinate, presenti in ogni società, cultura, etnia, religione, che possono rivestire ruoli diversi perché c'è posto per tutti, dai più piccoli fino al Papa, secondo un ecumenismo concreto che bada al risultato e non a proclami, decreti, dogmi, dichiarazioni: tutte parole che restano vuote e sovente nocive, se non vengono verificate sui frutti. Quei frutti che sono e restano l'unica verità oggettiva.
Pur con un unico riferimento a Gesù, due sono i modi in cui si incarna il messaggio evangelico. Un libro per riflettere della cristianità nel nostro tempo.
Il titolo del nuovo libro di Antonio Thellung (ed. La Meridiana, Molfetta 2012, pp. 155) può sorprendere, e forse irritare, perché se è vero che il riferimento a Cristo è unico, è altrettanto vero che i modi teorici e pratici nei quali si incarna sono tanti, come ognuno sa. La storia ci offre tanti modelli di cristianesimo.
Ma l’intento dell’A. si fa subito chiaro fin dalle prime righe, quando – per togliere ogni ambiguità- scrive: “ Lo stesso termine Cristianesimo serve infatti a indicare due modelli di riferimento… il primo si richiama a quel che Gesù ha detto e fatto… il secondo si riferisce alla cristianità”. Una delle prime citazioni del Vangelo offre la chiave di lettura di questo agile libretto che si legge tutto di un fiato. Sono le parole di Gesù riportate da Matteo (20, 25-26): “ I capi delle Nazioni dominano su di esse…colui che vorrà diventare grande si farà vostro servo”.
Purtroppo le autorità cristiane dopo i primi due secoli hanno abbandonato la fedeltà a Cristo e dopo l’editto costantiniano del 313 hanno fatto proprio un modello imperialistico, organizzandosi secondo schemi gerarchici tipici di chi esercita il dominio su popoli e persone.
Il prevalere di questo secondo modello è analizzato lungo tutto l’arco della storia di questi duemila anni attraverso le affermazioni dei concili e dei papi, in una carrellata impressionante di fatti e misfatti dell’ autoritarismo ecclesiatico, che si è sempre opposto alle voci e agli esempi di quanti intendevano rimanere fedeli alla parola evangelica, dagli eremiti ai monaci; dai mendicanti, come Francesco, a Rosmini e –ai giorni nostri- ai preti operai e ai teologi della liberazione e ai cristiani adulti. Luci ed ombre si sono alternate lungo la storia, e come ben evidenzia il libro, sono proprio le prime che mettono maggiormente in risalto le seconde.
Direi che con questo scritto l’A. completa un trittico significativo, avendo egli gia dato alle stampe due libri dal titolo emblematico: “Elogio del dissenso” e “Con la Chiesa oltre la Chiesa”.
Interessante in questo senso l’ultima parte del nostro libro, quando si analizzano i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che alternano alcune aperture alla repressione delle nuove ricerche teologiche e prassi delle comunità di base.
Per fare solo un esempio l’A. richiama un passo dell’enciclica Deus caritas est del papa ‘regnante’ –come purtroppo ancora si dice- dove si parla in termini positivi dell’amore erotico, come estasi, come cammino come esodo dall’io chiuso in se stesso nel dono di sé per la felicità dell’altro. Come si concilia questo atteggiamento che finalmente contraddice il misogenismo di S. Agostino, con la dichiarazione della Dominus Jesus, che frena tutto il movimento ecumenico e sembra riproporre la dottrina che non c’è salvezza fuori della chiesa cattolica romana?
Permane dunque un tratto imperiale nella monarchia assoluta del papa, che non si apre alla collegialità episcopale e che non rispetta le coscienze dei laici cristiani. Ecco però che proprio da qui sorge nell’A. la viva speranza –alimentata da alcune affermazioni del Concilio Vaticano II- della nascita di una Chiesa delle coscienze, che superi definitivamente il modello imperialistico e si apra ad accogliere effettivamente nelle opere di ogni giorno il messaggio evangelico di Gesù.
Fabrizio Truini Pax Christi Roma
Adista n.38 27 ottobre 2012
Chiesa e storia:
Da Gesù a Ratzinger, “cristianesimi” a confronto
LUCA KOCCI INTERVISTA ANTONIO THELLUNG
La parola cristianesimo viene usata con due significati: il messaggio evangelico di Gesù, ma anche il “cristianesimo reale”, ovvero quello che i cristiani hanno espresso e costruito nella storia, comprese le strutture ecclesiastiche di potere. Allora mettere in luce le differenze può aiutare a comprendere meglio quanto accaduto nel passato, a spiegare le contraddizioni del presente e a non perdere la speranza nel futuro. Ed è proprio questa l’operazione che compie Antonio Thellung – già autore di Una saldissima fede incerta ed Elogio del dissenso; ulteriori informazioni sull’autore al sito www.antoniothellung.it – nei Due cristianesimi, il suo libro appena pubblicato dalla Meridiana (pp. 156, 16€; in vendita anche presso Adista, tel. 06/6868692, e-mail: abbonamenti@adista.it). Un’attenta ricostruzione teologica e storica – non specialistica, ma non per questo superficiale e semplicistica – del percorso del cristianesimo, dall’annuncio di Gesù fino a papa Ratzinger, passando per i nodi fondamentali del cammino dei fedeli e della Chiesa (dalla «svolta imperialistica» di Costantino alla cristianità medievale, dall’«assolutismo papale» al Concilio Vaticano II), per mettere a fuoco la progressiva divaricazione fra i due modelli e, nello stesso tempo, non abbandonare le speranze di riconciliazione. «La storia del cristianesimo si è sviluppata attraverso questa ambiguità, che da un lato comprende l'assoluta novità del messaggio evangelico e dall'altro gli aspetti prepotenti dell'autoritarismo di sempre», spiega Thellung. «Ed è interessante constatare come le esigenze imperialistiche abbiano saputo svilupparsi rigogliosamente senza mai contestare o rinnegare il messaggio di Gesù, ma utilizzandolo nei suoi vari aspetti come surrettizie giustificazioni per sostenere talvolta perfino l'ingiustificabile: insomma siamo stati capaci di proclamare Cristo e contemporaneamente di tradirlo col cuore e con i gesti».
Spesso anche piegando il lessico a questa sorta di conciliazione dei lontani, se non degli opposti…
Esatto. Mentre mi piacerebbe che si chiamassero le cose con il loro nome, cioè che si chiamasse cristianesimo solo quel che è conforme al messaggio di Gesù, dando invece il loro nome a tutti quegli aspetti imperialistici della cristianità che si sono affermati nella storia e che permangono tuttora sotto diversi aspetti. Pensiamo alla battaglia di Lepanto del 1571: la storia usa chiamare “flotta cristiana” quella che ha sconfitto i turchi, ma in un linguaggio corretto bisognerebbe dire che con quella flotta armata Cristo non c'entrava proprio nulla. Era semplicemente la flotta occidentale. Un altro esempio, a noi più familiare, è l'uso ambiguo che si continua a fare della parola Chiesa, sia per indicare l'intero popolo cristiano, sia con riferimento al solo Magistero. In tal modo l'autorità può facilmente utilizzare i valori dell'insieme per legittimare se stessa anche là dove Cristo non c'entra a nulla. La Lumen Gentium dice che «l'universalità dei fedeli... non può sbagliarsi nel credere... quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale». Ma quando questa universalità non c'è, e capita molto spesso, sarebbe meglio che il Magistero esprimesse chiaramente qual è il proprio pensiero, senza pretendere che sia quello della Chiesa intera.
Ci vorrebbe anche una “purificazione” del linguaggio?
Sì, perché se si chiamasse cristiano solo quello che è conforme al Vangelo, molte sovrastrutture si mostrerebbero chiaramente per quello che sono.
Ti sembra che questa ambiguità abbia delle ripercussioni sulla vita di fede dei cattolici?
Certamente. Negli ambienti della società civile, molti oggi si trovano a disagio nel dirsi cristiani, perché temono di essere assimilati a qualcosa che con Gesù non c'entra. Così, talvolta, tendono a giustificarsi con dei distinguo come se si vergognassero. Il fatto è che mentre sarebbe ovvio sentirsi fieri dell'essenza evangelica, c'è da vergognarsi, e molto, di tutto quello che viene definito come cristiano mentre non lo è. Del resto in molti Paesi orientali il cristianesimo viene identificato con la civiltà occidentale, col risultato che per certe popolazioni i cristiani risultano prepotenti, guerrafondai, colonialisti e oppressori. E il messaggio di Gesù, mite e umile di cuore, rimane umiliato e ignorato.
Cosa è la Chiesa?
È assemblea di incontro e confronto, comunione di consensi e dissensi, ricerca di aiuto reciproco per farsi tutti solidali. I confini dell'autentica Chiesa non sono definibili con criteri imperialistici, basati su inclusioni o esclusioni, perché chiunque guarda a Cristo fa parte della sua Chiesa: giusti e peccatori, prostitute e pubblicani, grano e zizzania, e tutti quelli che verranno da Oriente e da Occidente. I seguaci di Cristo sono tenuti a identificarne i vari aspetti di volta in volta. Cominciare a utilizzare la parola cristiano in modo proprio contribuirebbe a facilitare il compito.
C’è speranza?
Io continuo a sperare e a sognare. Sogno una Chiesa dalle coscienze adulte, che ha bisogno anche di un Magistero, purché non sia autoritario e prevaricante. Un Magistero che sappia dialogare positivamente con il consenso ma ancor più con il dissenso, sempre utilissimo per correggere i rischi di finire fuori strada. Dall'altro lato, però, le coscienze adulte dovranno saper esprimere un dissenso affettuoso, senza sterili contrapposizioni, per costruire tutti insieme il futuro. l
I due cristianesimi
Il cristianesimo non deriva dalle scritture neotestamentarie, come si tende istintivamente a credere, ma da un evento precedente: la vita vissuta dall’uomo Gesù. […] Gli scritti neotestamentari sono documenti ecclesiastici, non di Gesù, e inevitabilmente contengono, oltre ai suoi insegnamenti, anche tipici elementi della cultura di quel tempo, perché, pur volendo partire dall’assioma che si tratta di parola divina, restano di natura umana le orecchie che l’hanno ascoltata, le menti che l’hanno assimilata, i linguaggi che l’hanno trasmessa, le traduzioni nelle varie lingue, con tutti i relativi difetti.
Equivoci e malintesi fanno parte integrante delle comunicazioni umane perché i linguaggi – e i singoli vocaboli – sono ambigui per natura. Anche il termine ’cristianesimo’ lo è nel suo riferirsi al contempo, e ambiguamente, sia al cuore del messaggio di Cristo – quindi propriamente a ciò che l’uomo Gesù ha detto e ha fatto – sia a quanto si è affermato nella storia e nella società umana, propriamente detta “cristianità”.
È su questa duplice natura che verte la riflessione della novità editoriale dalle edizioni la meridiana: I due cristianesimi, volume pubblicato nella collana paginealtre (pp. 160, Euro 16,00), scritto da Antonio Thellung.
C’è il cristianesimo che dice gli insegnamenti di Cristo e un cristianesimo che dice invece la pratica cristiana comune. Questo libro indaga tale dualismo con onestà di fondo, perché esplora quello che accade nella pratica quando, pur riconoscendosi parte della comunità cristiana, in alcuni momenti l’individuo sceglie di non seguire il modello indicato da Cristo. Anzi, forse bisognerebbe ammettere che molte volte, nella vita pratica, è pressoché impossibile essere autenticamente cristiani. Cosa implica questo per il cristianesimo che parla invece di Gesù Cristo?
L’autore indaga le motivazioni storico-culturali (divenute poi motivazioni teologiche) che hanno portato alla separazione dei due modelli, formulando la speranza di una loro riconciliazione: «Il cuore della rivelazione cristiana – afferma chiaramente Antonio Thellung – sta nella vita vissuta da Gesù, e i vangeli ne sono soltanto una mediazione, un riflesso non privo di ambiguità». Questo quindi non esclude la possibilità di un recupero del messaggio originale, di risalire al Gesù essenziale, quello dell’evangelo, ossia della buona novella, dell’annuncio radicalmente nuovo, che si esplica nell’insegnamento fondamentale dell’amore gratuito: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8).
la Voce di Fiore http://www.lavocedifiore.org
CRISTIANESIMO, CATTOLICESIMO E "CHIESA" DI MINORITA’. ELOGIO DEL DISSENSO: FUORI DAL GREGGE ...
I DUE CRISTIANESIMI E LA PROPRIA FACOLTA’ DI GIUDIZIO. "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?". Una nota di Antonio Thellung, da"mosaico di pace" - a c. di Federico La Sala
USCIRE DALLO "STATO" DI MINORITA’. L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. (...)
[...] Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile! [...]
Fuori dal gregge
da: mosaico di pace, luglio 2012
L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.
Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X.
Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!
Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita.
San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?
Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca.
Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.
Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino.
Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili
Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita.
Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".
La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.
Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.
Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.
La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.
Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.
Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!
Il Regno
numero 6 – anno 2013
Spesso la Chiesa viene
accusata d'incoerenza rispetto al messaggio evangelico e su questa linea si
muove tutto il testo, il cui a. è un laico, fondatore di comunità dedicatosi
per anni all'assistenza di malati terminali. La sua tesi è che sia necessario
distinguere chiaramente l'insegnamento di Gesù, da lui chiamato «cristo
messaggio», dalla sua concreta incarnazione storica che identifichiamo con
«cristianità», la quale, pur tradendo il primo, ha saputo preservarlo.
L'argomentazione percorre brevemente la storia del cristianesimo fin dal II
secolo concentrandosi soprattutto sugli aspetti istituzionali della Chiesa e in
particolare le vicende del papato.
Mercoledì 02 Gennaio 2013
“I DUE CRISTIANESIMI”
Combattere il male diventa più importante che fare del bene…
Impressioni e note di ADELFIA FRANCHI
ANTONIO THELLUNG ………… si legge di lui: ricercatore, pittore, scrittore, è stato educato da figli e nipoti al dissenso. Per molti anni si è dedicato all’assistenza dei malati terminali. Raggiunta l’età che comprime il futuro, sta tentando di non sprecare il presente.
Nella sua veste di scrittore, ha presentato presso il Centro Ecumenico Russo, in Roma a via Borgo Pio, il suo ultimo saggio “I DUE CRISTIANESIMI”. Spunti di riflessioni, dove ognuno di noi può riscopre un profondo legame con un mondo che ci sembrava lontanissimo .….. attraverso notizie tecniche e storiche ci permette di esplorare sentimenti ed emozioni. Un saggio che ci riporta a pensare al suo libro: ELOGIO DEL DISSENSO (2007). Il primo pensiero che ci affolla la mente è: perché si parla ancora di cristianesimo? La risposta che arriva immediata è: perché c’è confusione.In un percorso ben articolato, l’autore racconta la tolleranza religiosa, la divulgazione della parola, cultura e storia, che passa dalle vie dell’ambiguità cristiana, all’ imperialismo rinascimentale, fino ad arrivare al giorno d’oggi.
2000 anni riassunti con brevi cenni in un’ analisi di una realtà recente, l‘occasione per un incontro importante, come ci spiega una relatrice autorevole: MARINELLA PERRONE - Presidente dal 2005 del Coordinamento Teologhe Italiane. Fa riflettere gli ascoltatori ponendo domande: a cosa sono condannati i due Cristianesimi? È possibile arrivare ad una comparizione? Conversione del CRISTO MESSAGGIO? Asserisce che per ora non abbiamo risposte, questi 2000 anni di storia sono un riconoscimento delle conflittualità da parte delle istituzionalità.
Per Don MATTEO MARIA ZUPPI, che potrebbe essere il quarto Vescovo della chiesa cattolica scelto tra i preti della Comunità di Sant’Egidio, attualmente Parroco a Torre Angela, un quartiere di Roma storicamente disagiato, il libro ha il vantaggio della dialettica per la chiesa e - per lui stesso - la persona è al centro. Il desiderio del saggio è di cercare una chiesa che viva il CRISTO MESSAGGIO e lo sappia comunicare … continua con ironia: ”ho dovuto ritirare fuori la tonaca, ci sono rientrato, per mia fortuna. Il vero problema è: ricercare una chiesa che sia vicino alla gente. Il mondo è cambiato e mi trovo un po’ in imbarazzo; il problema vero è di guardare per strada, le zuffe di sacrestia non mi sono mai interessate”. Il libro ci pone tante domande, dove tutto alla fine ha un prezzo, ma fra le tante una: cosa lasciamo agli altri? L’impressione allarmante è che la vita delle persone stia da un’altra parte, ci raccomanda dal dissentire dai profeti di sventure, guai e rovine, si percepisce che la domanda vera è: abbiamo ancora la speranza? Siamo in grado di mediare con tutte le nostre contraddizioni? Don Matteo continua ….. ll problema vero è “cosa fare oggi”….. io credo nella chiesa delle coscienze, ci credo e ci spero, sarà utopia, sarò un illuso. Credo ci sa bisogno di autorevolezza, come qualsiasi realtà non di potere che prevarica l’altro, ma un punto di rifermento per l’ALTRO. Nel 2000 Papa Woityla con la sua richiesta di perdono della chiesa è stato straordinario; lui ha avuto il coraggio..… Oggi gli direi: se quelli avessero ascoltato il dissenso, ti saresti risparmiato il “Dissenso”. Conclude trasmettendo a tutti le sue emozioni ”Ho sogni e speranze, dialogare fa sempre bene a tutti”.
Prendo io la parola ed Antonio Thellung accetta di buon grado le mie domande impertinenti guardandomi con sfida dice ”non vale quello che dico, ma quello che confermo”; disponibilità e gentilezza lo contraddistinguono da molti. ”Noi viviamo nell’ ambiguità, dove il diabolico è negativo e li positivo è l’inverso, il nemico del vero è il falso ?”…. mette dubbi Antonio, ma subito dopo le dissipa dichiarando ”No il nemico del vero è il verosimile, dove s identifica qualcosa di vero; il diabolico ci ha fregati, bisogna recuperare il senso delle parole; esprimono cose, obbedienza, ascolto, sudditanza. Ritornare ad ascoltare attentamente la propria coscienza, cosa fondamentale, sarebbe ora chiamare le cose con il loro nome, altrimenti il rischio è che si rischia di pensare di non essere ascoltati; cominceremo a manifestare un dissenso arrabbiato, perché la nostra sensazione è: non ce la facciamo a spiegarci” ….ma mette in guardia “l’ascolto deve essere reciproco ed avremo cosi un dissenso affettuoso”. Nel suo libro Antonio Thellung è esplicativo, l’essenza del messaggio è: i due cristianesimi sono lontani fra loro anni luce, c’è inconciliabilità. Racconta la storia per mettere in evidenza che la civiltà occidentale è un'altra cosa, sia in positivo che in negativo: “un esempio ? quando l’occidente ha sconfitto i Turchi.” Le cose positive Antonio le vede per sopportare i resto; un sms di GESU’ gli dà la carica per distinguere il positivo e il negativo, per non rischiare i tutto. Ritornare ad una Chiesa delle coscienze è prioritario su tutto, altrimenti dice, si formano sudditi, con il rischio di fare cose orrende. Sarà utopia, illusione, ma ha bisogno di autorità, come qualsiasi realtà, non di un potere che prevarica l’altro ma,un punto di riferimento per l’altro.
A questo punto, per me che con la scrittura ho un rapporto complesso, la domanda da porgli è: “Antonio, perché scrive?” - La sua risposta? ”E’come dire perché vivo….Per invitarvi a leggere” il libro vi lascia con un messaggio rubato all’autore: le parole le dobbiamo ritrovare, riappropriarcene… rimaneggiare la carta, che propone e canta fra le nostre mani…
Rubare non è corretto….. presa in prestito per invitare tutti noi a riflettere.
MADE IN ITALY
domenica 14 ottobre 2012
I due cristianesimi di Antonio Thellung
edizioni la meridiana
Il cristianesimo non deriva dalle scritture neotestamentarie, come si tende istintivamente a credere, ma da un evento precedente: la vita vissuta dall’uomo Gesù. […] Gli scritti neotestamentari sono documenti ecclesiastici, non di Gesù, e inevitabilmente contengono, oltre ai suoi insegnamenti, anche tipici elementi della cultura di quel tempo, perché, pur volendo partire dall’assioma che si tratta di parola divina, restano di natura umana le orecchie che l’hanno ascoltata, le menti che l’hanno assimilata, i linguaggi che l’hanno trasmessa, le traduzioni nelle varie lingue, con tutti i relativi difetti.
Equivoci e malintesi fanno parte integrante delle comunicazioni umane perché i linguaggi – e i singoli vocaboli – sono ambigui per natura. Anche il termine ’cristianesimo’ lo è nel suo riferirsi al contempo, e ambiguamente, sia al cuore del messaggio di Cristo – quindi propriamente a ciò che l’uomo Gesù ha detto e ha fatto – sia a quanto si è affermato nella storia e nella società umana, propriamente detta “cristianità”.
È su questa duplice natura che verte la riflessione della novità editoriale dalle edizioni la meridiana: I due cristianesimi, volume pubblicato nella collana paginealtre (pp. 160, Euro 16,00), scritto da Antonio Thellung.
C’è il cristianesimo che dice gli insegnamenti di Cristo e un cristianesimo che dice invece la pratica cristiana comune. Questo libro indaga tale dualismo con onestà di fondo, perché esplora quello che accade nella pratica quando, pur riconoscendosi parte della comunità cristiana, in alcuni momenti l’individuo sceglie di non seguire il modello indicato da Cristo. Anzi, forse bisognerebbe ammettere che molte volte, nella vita pratica, è pressoché impossibile essere autenticamente cristiani. Cosa implica questo per il cristianesimo che parla invece di Gesù Cristo?
L’autore indaga le motivazioni storico-culturali (divenute poi motivazioni teologiche) che hanno portato alla separazione dei due modelli, formulando la speranza di una loro riconciliazione: «Il cuore della rivelazione cristiana – afferma chiaramente Antonio Thellung – sta nella vita vissuta da Gesù, e i vangeli ne sono soltanto una mediazione, un riflesso non privo di ambiguità». Questo quindi non esclude la possibilità di un recupero del messaggio originale, di risalire al Gesù essenziale, quello dell’evangelo, ossia della buona novella, dell’annuncio radicalmente nuovo, che si esplica nell’insegnamento fondamentale dell’amore gratuito: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8).
Con le edizioni la meridiana, sempre nella collana paginealtre, Antonio Thellung ha già pubblicato Elogio del dissenso (2007).
Gualtiero Meneghelli mi scrive:
Ho letto il tuo libro. Per ora posso solo dirti che l'ho trovato molto buono, sia nell'anamnesi storica della nostra brutta storia (mi è parso di rileggere al meglio e aggiornata L'ERESIA di Marcello Craveri, da lui scritta e da me letta nel 1997) che nelle tue conclusioni, laddove, anche rifacendoti a Martini, rilevi l'arroganza di un Magistero che teme le coscienze adulte, privando la Chiesa di una liturgia, non clericale, che potrebbe sgravare Dio del "carico di preghiere sbagliate", come cantava padre Turoldo. Mi fa molto piacere anche, e dopo aver letto tutti i tuoi libri non mi aspettavo niente di diverso, condividere con te la sollecitazione che esprimi per fare in modo che, la Chiesa che è popolo di Dio plurale e universale, affronti come tale e con coraggio l'impegno a tornare alle origini apostoliche del cristo-messaggio, lasciando la sua tradizione imperiale. O, come dice anche Raniero La Valle nelle conclusioni del Convegno sul Concilio giovanneo, del 15 settembre a Roma, mettendo in discussione la delega data dagli apostoli ai vescovi e al clero, considerando la tradizione lasciata dai discepoli di Gesù a tutti , e dicendo che non c'è solo la successione apostolica, che da Pietro e dagli altri apostoli arriva ai nostri vescovi e al papa, ma c'è anche una successione laicale, che dai discepoli anonimi, che Gesù amava, è giunta fino a noi. Una successione non meno importante della prima.
Grazie di cuore per il sollievo che, anche in quest' occasione, hai portato alla mia speranza, ... piuttosto delusa.
Piergiorgio Bortolotti mi scrive:
ho letto con vivo interesse il tuo libro I due cristianesimi. Hai saputo riassumere in modo egregio la diversità che informa l’ottica del modello di Cristo e della cristianità così com’è venuta configurandosi lungo la storia fino ai nostri giorni. Non posso che condividere quanto hai scritto; soprattutto l’amore e il rispetto con i quali hai trattato entrambe le questioni, riconoscendo che coinvolgono un po’ tutti noi, così che, come scrivi, “forse nella pratica quotidiana è pressoché impossibile essere autenticamente cristiani”. Un altro passaggio che ho annotato, e che condivido pienamente, è quando affermi, cito a memoria, che bisognerebbe riconoscere e avere il coraggio e l’onestà di affermare, in talune situazioni, quello che stiamo facendo non c’entra nulla con il cristomessaggio.
Fanny Scocciolini mi scrive
le scrivo per complimentarmi con lei del suo lavoro e di aver reso in modo semplice e comprensibile i tanti intrecci e le tante disastrose situazioni in cui si è trovata e si trova la Chiesa, quella che non ha niente di Cristo. A volte mi chiedo che solo gente preparata può diffondere la fede e mettere da parte la religione, ma la massa non ascolta. Io ( sono stata catechista per tanti anni) ho provato da tempo con i miei amici ma sono saldi in quelle regole che li proteggono da ogni responsabilità. Oggi invece si ha bisogno più che mai di una FEDE ADULTA e direi lontano dal potere della chiesa che rischia di allontanare tutti perché nasconde il vero "volto" di Dio. La saluto e grazie del suo impegno
Due cristianesimi
mercoledì, 17 ottobre 2012
Marcello Vigli
Sono tempi duri per i cattolici che credono in Gesù di Nazaret. Quel Gesù che si sottomette all’autorità costituita per gestire il potere politico e perfino rinvia i guariti alle autorità religiose per legittimare i suoi miracoli. Si trovano governati da un papa irretito in una Curia inquinata proprio da feroci lotte per il potere e confusi con i Formigoni di turno, che del potere fanno il loro unico scopo.
Non c’è da meravigliarsi quindi se alcuni si ritagliano spazi di autonomia dichiarando apertamente di non riconoscersi nell’uno e nell’altro, pur senza costruire nuove autorità sempre a rischio di inquinamento, ma sentono l’esigenza di fissare confini e di darsi una identità. I due cristianesimi (*) è il titolo, infatti, che Antonio Thellung ha dato al suo ultimo libro. Contrappone, quale radicalmente diversa, l’ottica del modello di Cristo a quello della cristianità, come recita il sottotitolo.
Dimostrarlo è l’obiettivo delle 155 pagine del libro. In esse, dopo aver individuato la coesistenza dei due modelli negli stessi testi neotestamentari, prima ripercorre, in una concisa, ma ben chiara sintesi, il dipanarsi della nascita, sviluppo, affermazione e decadenza del secondo modello, mutuato dalla struttura gerarchica dell’impero romano, poi, a conclusione, si diffonde a presentarne come emblematico il pontificato di Giovanni Paolo II.
In questa sua analisi il discorso muove da una denuncia puntuale dei limiti del modello di cristianità evidenziando come in esso sia prevalsa, a partire dal compromesso costantiniano, la logica della ricerca del potere e della ricchezza. Se papa Silvestro è stato indotto a farsi strumentalizzare, poi, però, quella logica si è imposta nella stessa gestione del governo della cristianità per tutto il Medio Evo e, in modo diverso, fino ai nostri giorni, attuando la visione delle due città di Agostino legittimata nel Dictatus di Gregorio VII.
Gli ordini cavallereschi furono approvati, gli ordini mendicanti perseguitati: solo Francesco prima maniera si è salvato perché praticava la povertà non la predicava per la Chiesa! Alle istanze di riforma emerse nel tempo i papi risposero con l’Inquisizione e con il Sant’Uffizio, furono, però, pronti alla sudditanza verso il potere politico dei sovrani assoluti quando, con l’illuminismo, l’Europa si affrancò dall’egemonia della Chiesa.
Passando attraverso gravi contraddizioni, che l’autore evidenzia con l’analisi dei pronunciamenti, le “bolle papali”, si giunse all’età moderna dei concordati quando, però, la secolarizzazione e la diffusa emancipazione sociale resero più forti le voci che proponevano il modello di Cristo: da Rosmini ai preti operai, fino alla scelta radicale di papa Giovanni di convocare il Concilio.
Da qui il conflitto fra i due modelli si fa più evidente e investe la chiesa a tutti i livelli. Ad esso Thellung dedica la seconda parte del suo libro mettendo a confronto Paolo VI e Giovanni Palo II, Madre Teresa e il fondatore dei Legionari di Cristo, la Dichiarazione di Colonia firmata da 163 teologi con il depotenziamento del Sinodo dei vescovi e delle Conferenze episcopali. Le indubbie modernizzazioni imposte da papa Woytjla in alternativa alla repressione sistematica delle sollecitazioni al rinnovamento promosse da teologi e gruppi di base.
Questa vivacità e ricchezza di luci e ombre non è venuta meno con l’esplosione degli scandali della pedofilia, dello Ior e della “fuga” di notizie, riservate ma non edificanti, che stanno caratterizzando i pochi anni del pontificato di Benedetto XVI. In contrasto con essi non mancano persone capaci di incarnare concretamente Cristo nella vita quotidiana, rassicura Thellung aggiungendo che bisognerebbe aver ben chiaro che il messaggio di Cristo è un intreccio indissolubile di utopia e realismo.
Forte di questa convinzione sostenuta dalla speranza di un mondo migliore, l’autore mentre rifiuta l’opinione molto diffusa che questo momento della storia sia peggiore di altri precedenti, si impegna ad indicare come consentire a questa speranza di concretizzarsi. Bisogna innanzi tutto ridimensionare il suo obiettivo che non è quello di cambiare il mondo ma di trasformare in bene quella porzione di male che incontriamo quotidianamente sul nostro cammino, riconoscendo i limiti costituzionali nelle nostre capacità a fare meglio a cominciare almeno con un primo passo.
Bisogna cioè imparare a usare correttamente la parola Chiesa, perché di essa e di un’autorità c’è bisogno: Non è possibile seguire Cristo individualmente, mentre è indispensabile farlo insieme ad altri, in un cammino comune. Si tratta di un’ecclesialità come incontro e confronto, comunione di consensi e dissensi , ricerca di aiuto per farsi migliori, pur se non può prescindere dalla presenza di un’autorità che pur avendo inevitabilmente tutti i limiti della natura umana, sappia assumere anche un senso costruttivo per tendere a formare coscienze adulte.
Si tratta, in verità, di una Chiesa capace di superare il dualismo dei modelli per diventare espressione di un cristianesimo finalmente maturo in cui i cristiani compiranno gli stessi gesti di Gesù Cristo senza neppure nominarlo.
In esso, forse, potranno vivere la loro esperienza di fede senza sentirsi a disagio, quei cattolici che, seguendo il modello di Cristo, rifiutano quello di cristianità.