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commenti allo studio

per imparare a morire

 

alcuni commenti

 
 

Più rileggo i Tuoi capitoli, più mi viene il sospetto che sia in corso un fatto davvero singolare e cioè che ascoltando te che pensi di dover ancora 'imparare a morire' (o forse è meglio dire 'come imparare a morire', come saper accogliere l'arrivo di sorella morte) stia accadendo che tu in effetti stai, volente o no, insegnando o quantomeno aiutando molto me, come tante altre persone, a scoprire il proprio modo per farlo. Ti sei posto come discente del tema e ti stai rivelando efficace docente, con spontaneità e modestia ma con evidente efficacia, ai miei occhi ed alle mie orecchie.
Naturalmente non mi sfugge il fatto che un percorso di tale importanza per ciascuno che senta di doverlo intraprendere non può essere una semplice acquisizione di altrui esperienza , ma capita di scoprire che l'altrui sentire è molto vicino al tuo e allora....... Voilà, ti accorgi di fare in poche settimane passi che forse aspettavi di fare da tempo.
A proposito di rileggere, sto iniziando la mia terza rilettura di Una Saldissima Fede Incerta. Rileggo sempre quello che mi interessa, perché mi accorgo ad ogni rilettura di scoprire sempre cose nuove, sempre qualcosa di più importante e profondo. Qualcosa che stava lì già da prima, ma succede che le cose si mettono a fuoco e diventano visibili e poi sempre più nitide man mano che gli vai incontro.
......"l'unica cosa che ci chiede la morte è di trovarci vivi" A sentir parlare di morte molti si spaventano.......eppure prepararsi al congedo, imparare a morire, a compiere la propria vita, dovrebbe essere un esercizio quotidiano"….
Ecco il contenuto dei capitoli che ci invii sono proprio la generosa offerta del racconto di questo esercizio quotidiano, il cammino di preparazione tuo, che è di suggerimento e possibilità di confronto per ciascuno dei tuoi lettori con il proprio.
......"l'abbandono alla divina provvidenza, che un tempo mi pareva qualcosa di passivo e un po' vigliacco, ora che lo vedo come atteggiamento di attiva fiducia e collaborazione con l'insieme mi sta conquistando"……
In queste tue parole trovo la descrizione del mezzo, dell'atteggiamento da adottare per morire senza morire, per morire per vivere. Cosa ovviamente impossibile se non si ha prima avviato una quotidiana instancabile, faticosa ma fiduciosa "ricerca di senso", altrimenti non si parte e non si arriva da nessuna parte. (Antonio Gambelunghe)


Noto che i capitoli stanno diventando puntate: mi piace, è più dinamico. A meno che non diventi una telenovela..... Che rompiscatole, come dice il mio amato e (credo) amante sposo! Cercare il pelo nell'uovo è però solo un vizio esteriore e spero inoffensivo.
Questa volta mi sono un po' arrabbiata leggendo di qualcuno che vivrebbe solo per arrivare alla sera: spero che queste negatività siano figlie dell'ernia e delle sue complicanze. Io mi chiedo infatti: come si fa, mentre si sta facendo qualcosa di bello utile e produttivo, a dire non mi va? Ho capito male? lo spero.
Il nostro caro Costantino soleva dire: " L'importante è che la morte ci colga vivi". Anche se lui non metteva del tutto in pratica quel concetto, penso che intendesse bene cosa significa: non rinunciare, non aver paura del mare troppo grande delle moderne tecnologie, dare il nostro contributo finché ne siamo capaci.
Mia nonna, quando proponeva un progetto, fosse cosa seminare nell'orto a primavera o chi invitare per Natale, soleva premettere una frase: "Se ci sarò ancora..." E a noi bambini pareva che l'"esserci" della nonna fosse non solo la condizione necessaria dell'attuabilità di quel progetto, ma una specie di formula magica che la rendeva immortale (e difatti lei c'era sempre, per tutta la nostra infanzia e giovinezza).
Ma forse quella frase non esprimeva una consapevolezza di fragilità, bensì l'intenzione di "esserci" in senso progettuale: non lo saprò mai, e anche se potessi chiederglielo non credo che ci capirebbe granché. Io comunque preferisco la seconda. (Laura Burgo Roggero)
 

Ti sto seguendo con attenzione e interesse. Un giorno, ti leggerò con ancora maggiore attenzione, vedendo meglio e nel suo insieme, l'esperienza che ci stai raccontando.  Ti posso solo per ora dire che le vite umane spesso si assomigliano tanto, ma che sto provando ancora la sensazione, già vissuta nei due anni passati, che le nostre vite abbiano molto in comune. E non solo in quanto tali, ma per come ci hanno dato la certezza che la gioia del vivere e dello star bene insieme, sia l'elemento essenziale che ci consente di raccontarle con un sottofondo di orgoglio e di riconoscenza al buon Dio. (Gualtiero Meneghelli).

 
 

Mi compiaccio del tuo impegno a svelare i più reconditi pensieri e sentimenti per condividerli con amici e conoscenti. Chi ti ha definito"trasparente" forse si riferiva proprio alla qualità che ti permette di rivelare sensazioni, aspirazioni, pulsioni segrete , intime che i più non oserebbero mai esprimere chiaramente. Confessi che l' umiltà, nel significato letterale,non è accettabile e questo concetto, personalissimo, ti permette di aprirti con sincerità. Le tue riflessioni quindi risultano chiare e libere, frutto di un carattere forte,estroverso e ricco. (Gisetta Alloisio)

 
 

Tu inserisci nel discorso "da parte mia credo che l'umiltà sia l'essere coscienti dei propri talenti, né più né meno: il difficile è riuscirci". Ora viene da chiedermi se non erano forse umili S. Francesco, Madre Teresa, Gesù, S. Paolo, S. Pietro ecc.... allora perché ti è venuto da ridere per il tuo accostamento a loro? (bada bene Antonio, mi guardo bene dal voler tessere lodi). Qualcuno scriveva che "pensare a Dio e diventare come Lui è esattamente ciò che bisogna fare per vivere una vita ispirata". Questa scelta quindi credo la si possa fare in piena umiltà. "Il maestro comparirà quando l'allievo è pronto" e allora perché non si può essere preparati ad accogliere i maestri e gli insegnamenti? (nella mia agenda ho voluto scrivere due semplici parole "SONO PRONTO") che rileggo ogni volta e mi regalano un senso di umiltà e grandezza al tempo sesso. Nello Spirito mi sento più ispirato a scorgere il potenziale di grandezza. All'angoscia si sostituisce la fiducia che almeno posso vivere nella grazia ed esercitarmi ad essere una forza divina.  Se allora mi viene da sorridere è soltanto perché è tanta la gioia di sentirmi "divinamente". (Natalino Vanni)


Ho ricevuto e letto con gusto il capitolo 18 del quale ti ringrazio come per tutti i precedenti. Farei una considerazione: è sempre interessante leggerti, ma quando parli di Giulia e della tua vita di coppia...... allora sei veramente specialissimo, simpaticissimo e, soprattutto, credo, UNICO! (Paolo Roggero)
 

Mi sono ritrovata nei tuoi scritti. Le tue riflessioni sono reali e concrete. Il nostro animo si è liberato dal possesso delle cose e degli affetti, anche se all’improvviso ci prende il timore di perdere tutto e vorremmo scegliere le cose più care o mantenere  in piedi gli affetti più importanti. L’attimo  fuggente! E’difficile dimenticarsi di vivere. Magari cambiare stile, creare nuovi obiettivi che ci allontanano dal possesso morboso e ci avvicinano al DIO che ci attende. Noi non ci conosciamo, né penso ci incontreremo mai, ma cosa importa? Siamo abbastanza vicini. (Evelina Matera)

Libertà è scegliersi la schiavitù preferita. Quante volte ho sentito dire questa frase nella mia vita! ma l'ho capita veramente? Comunque tutte le mie schiavitù mi piacciono molto! Quando ero felice avevo anche la schiavitù di preparare la merenda a Pierluigi e aiutarlo a studiare, e tutto il resto. Ora che non ho più questa schiavitù non sono più felice, dentro ai miei occhi, se mi specchio vedo qualcosa di cupo, sordo e profondo che non so spiegare, ma dalla vita bisogna accettare anche questo (forse anche questo è imparare a morire). Grazie Antoniotto! (Paola Palladini)

 

Per intrecciare un dialogo, sempre stimolante con quello che scrivi, stavolta mi richiami quel che mi accompagna da tanti anni. Il rapporto tra libertà e realtà, come il verso e il rovescio della stessa medaglia.
Ho scoperto che la realtà, se pur fortemente condizionante, è l'effettiva possibilità del mio essere che si forma e cresce. E' il mio pavimento, che, anziché un limite, è quel che mi sostiene e mi dà l'opportunità di esistere. Senza pavimento non sarei libero: sprofonderei. Senza limiti, non sarei: senza i miei limiti non sarei me stesso. Senza il suo corpo la mia anima di uomo non sarebbe nulla, non proverebbe nulla, non avrebbe consistenza, come senza la sua cassa armonica e le sue corde l'arco e le dita, il violino non potrebbe esprimere la sua musica. E' proprio l'essere precisamente condizionati che ci dà la concreta possibilità di esistere.
Da ciò ho dedotto che tutta la realtà ha bisogno di una sostanza, qualcosa che da sotto la sostiene e le dà consistenza. Non si confonde con la realtà, ma ne costituisce il fondamento dell'esistenza e l'imprinting originario, l'impulso divino a creare e a creare come ha creato. Cioè non finito, cioè in un processo di espansione creativa continua, cioè libero di essere, a partire dai limiti della sua realtà. E' vero: non può che essere se stesso, non può che obbedire al suo impulso. Come la sorgente affiora e si espande in onde sempre più ampie, travalicandosi: mentre si esaurisce in un punto si ricrea in altri, impensati e sempre nuovi.
La realtà è fondata sull'attrazione, sul continuo stimolo ad avvicinarci e ad allontanarci andando oltre, forze primordiali che determinano l'esistenza. A mio parere la tradizione ascetica che ha contrastato le passioni, sulla quale siamo stati educati, con paura, rinunce, pessimismo, non solo è antiumana ma anche antireligiosa, almeno del Dio di Gesù. Lo stesso Qoelet che tu citi, invita esplicitamente ad andare dove ci porta il cuore e a seguire gli impulsi della gioventù. Anche questo è sapienza, è arte di vivere: è imparare.
Col passare degli anni, mutando le stagioni della vita, possibilità e impulsi cambiano. Io per esempio, molto sensibile agli odori, mi sono accorto che ne sto perdendo la percezione: devo ammettere che ne sento la mancanza, sia come avvertimento del pericolo (per esempio il gas aperto), sia come potere inebriante, il profumo del limone in fiore o i mille altri profumi della vita. Si fa più acuto il desiderio di conoscere come esperienza. La riduzione della produzione di insulina, con la dieta della riduzione degli zuccheri e dei condimenti, mi ha portato a gustare più sensibilmente a piccole dosi e a cambiare anche gusti. L'amaro, che da ragazzo non mi piaceva, adesso mi piace, mentre solo una puntina di dolce mi va bene, e di più mi sa troppo: non è ormai di mio gusto.
Per formazione ho sviluppato il piacere intellettuale, per esempio quello della poesia; la riduzione del campo visivo ha acuito il desiderio di gustare la bellezza visibile. Così mentre lo spazio di libertà si restringe per il restringersi delle sensazioni, il gusto si fa più acuto, e per altri aspetti più raffinato e sensibile.
Ciò che più mi pesa come perdita di libertà è l'impoverirsi del mio impegno a lungo termine. Con gli amici, colleghi di lavoro, con incontri o via e-mail. Finora ho continuato a utilizzare la mia esperienza di lavoro nelle scuole, insegnando agli studenti come orientarsi al lavoro, con la federazione dei maestri del lavoro, a cui sono stato associato, andando in pensione. Quest'anno mi è mancato.
Il mio racconto testimonianza non ha ancora trovato sbocchi di diffussione con dialoghi, presentazioni. La difficoltà di uscire di sera è limitante, anche delle possibilità.   
Cerco nuovi spazi e modi di libertà. Grazie del dialogo che mi offri. (Sandro Stella)

 

 

Mi è sorta una domanda: perché chiami "Cap" le riflessioni settimanali? Sarà un'abitudine da scrittore, o il segreto intento (magari inconscio) di farne un libro? Del resto non sarebbe cattiva l'idea di uno zibaldone - sunto e consuntivo di una vita un po' sopra le righe. Magari arricchito con risposte, critiche, dissensi o consensi che avrai ricevuto via via... Ma lo scopo conclamato dell'opera (imparare a morire, e perciò a staccarsi dalla vita, a non mettersi più in gioco) è di fatto la negazione di un progetto, che comporterebbe un ulteriore impegno. Però, diciamo la verità, io non ti ci vedo a rinunciare a un progetto, specie se stimolante e costruttivo come il confronto con tante altre realtà. Bah, spiegami tu... con affetto. (Laura Burgo Roggero)

Anch'io, con Maria, come te e Giulia, mi ritengo fortunato. Anche se in questi giorni faccio più difficoltà, con mamma (all'inizio dei suoi novantaquattro anni) sempre più sofferente, quasi piagata per l'immobilità e l'insufficienza circolatoria, che quasi tutte le notti è agitata e non dorme, spesso assente...
Maria che non ce la fa più a salire sull'autobus quando va dal medico per la riabilitazione e io non ho più la forza di aiutarla ad arrampicarsi sui gradini e ogni volta è uno strazio per me vederla in ginocchio, senza riuscire ad aiutarla...
Certo, guardandomi intorno, vicino e lontano, dovrei dire: abbiamo avuto tanto che saremmo ingiusti a lamentarci, soprattutto in mezzo all'immensa sofferenza che avvolge il mondo e colpisce tanti di mali ben più gravi, fin dalla più tenera età.
Eppure... non siamo fatti per la felicità? Non ne abbiamo più diritto perché abbiamo avuto più della nostra parte?
Gesù, nonostante la situazione in cui si trova a nascere, non abolisce la domanda di felicità che sale a Dio dal cuore dell'uomo. Anzi prova a realizzarla: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i morti risorgono, ai poveri viene promessa la liberazione della loro condizione: ci sarà la giustizia e i prepotenti non prospereranno più, ma saranno spazzati via.
La sua felicità è certo paradossale: beati i poveri, quelli che piangono, quelli che cercano giustizia e pace, quelli che subiscono soprusi. Non perché Dio li vuole in questa condizione per amarli, come fanno i ricchi che debbono gratificare il loro cuore con la beneficenza, ma perché ha deciso, finalmente per tutti, l'esodo da una vita che non è vita secondo l'intenzione del Padre che abbiamo nei cieli: un buon governo per il povero, la vedova, l'orfano, il disgraziato; un tempo nel quale ognuno, anche chi era in disgrazia, anche per sua colpa, verrà graziato di tutto e ricolmato della felicità cui ha diritto.
Alcuni gli hanno creduto. Hanno creduto che questo portento che hanno visto con i loro occhi nella breve stagione in cui è passato per i villaggi del suo piccolo paese, poteva rinnovarsi nel loro cuore. L'aveva detto lui stesso: "se siete convinti potete fare cose più grandi di quelle che ho fatto io".
Gesù guariva toccando: secondo l'esperienza di chi assisteva alle sue guarigioni con animo libero da pregiudizi, usciva da lui una forza che sanava tutti.
Ma in realtà egli diceva: Se vuoi puoi guarire. E' in te questa forza interiore che guarisce.
Il miracolo, mi pare di coglierlo in questo: c'è bisogno che qualcuno con i suoi gesti e le sue parole amichevoli soffi sulla nostra fede perché diventi fiamma.
Quel che capisco è che la nostra infelicità dipende dal sentirsi soli, infreddoliti dall'indifferenza, non sentire gli altri intorno a farci coraggio, nella nostra personale agonia con la morte, fino a un ultimo respiro che può essere anche un pacificato dire a se stesso e al mondo intero: ce l'ho fatta, e tutto è stato grazia.
Riesco a pensare alla morte solo continuando a cercare la felicità del vivere.(Alessandro Stella)

Grazie per il nuovo recentissimo invio! A quanto pare siamo nati fortunati.......ma sarà vero? Come la mettiamo con la famosa frase "è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli!"?
Ma essere nati in Europa anziché nell'Africa Nera, oppure trovarsi in campagna al calduccio anziché al fronte, oppure essere europei e non dover partire per il Vietnam ecc. ecc.... tanto da essere arrivati benestanti a una certa età e così via..... si può anche definire "ricchezza" in senso lato appunto, quindi?
Siamo stati abbastanza altruisti oppure siamo dei grandissimi egoisti? E se chi è nato SFORTUNATO passasse nella cruna dell'ago e noi due NO????????
Nel nostro mondo "fortunato" e relativo esiste la felicità e il dolore così come nei mondi "altri" presunti sfortunati e comunque....tutto dipende dai punti di vista.
Noi siamo fortunati perché siamo nati qua? E chi lo dice? Forse uno che è nato la?La felicità è forse data dal benessere? Comunque tu ed io ci riteniamo AFFORTUNATI ma non per colpa nostra. Nessuno ci impedisce di devolvere le nostre cose ai meno fortunati....tranne la storia del cammello. Qualche anno fa un certo Francesco di Assisi lo fece ..... secondo te fece la cosa giusta? (Paolo Roggero)

Mi diventa difficile rinunciare all'ormai abituale appuntamento settimanale. (Giovanni Giavazzi)

La premura della risposta stava e sta per due motivi: per uno riguarda la sorpresa malinconica che ho provato nel leggere la mail prima dell'allegato; avevo dedotto che si trattasse della conclusione della tua ricerca. Buon per te pensai ma, egoisticamente, mi sarei trovato privato dell'appuntamento atteso con le tue riflessioni.
Letto il capitolo xv ecco insorgere l'altro motivo: dovevo farti sapere che ti pensai come un re Mida cristiano gradito al Padreterno -non da Dionisio- perché quello che tocchi e quello che ti tocca (ora c'è l'ernia) li sai trasformare in positivo e, a volte, in perle - per esempio l'utilizzo di Haydn-.
L'appellativo re Mida lo posso trovare un po' colorito ma non esagerato. Non è forse vero che il privilegiare l'assolato alle ombre è un atteggiamento di grande valore? Dà speranza, fiducia e guarda al domani. Accetta quindi benevolmente questo epiteto. Ti s'addice. (Rino Mario Vello)

In questo periodo non è poi così strano meditare sulla fine.Per me almeno. La madre di mia figlia si è ammalata in modo serio e così alcuni amici.E poi attorno a noi gira un'aria da ultimi giorni di Pompei. Come fare a reggere in piedi la speranza? O forse stiamo già suonando tutti il finale di Haydn... (Roberto Minucci)

E' vero, siamo fortunati ad essere nati in una porzione del mondo relativamente "tranquilla", in una situazione di vita privilegiata. Questo mi ricorda una mia carissima amica, morta ottuagenaria ormai da molti anni. Era colta ma non superba, generosa ma non paternalista, religiosa ma non bigotta. Era una persona con cui, nonostante la grande differenza di età, mi trovavo in sintonia e parlavo con piacere (a voce altissima perché era piuttosto sorda!) , ma soprattutto che amavo ascoltare.
Lei mi diceva: "Io nella mia vita posso dire di non aver mai commesso colpe gravi. Ma che merito ne ho? Non ho mai sofferto la fame e il freddo, ho sempre avuto quello che desideravo, ho avuto insegnamenti che mi hanno spinta al bene, persone che mi hanno amato e rispettato. Come posso sapere se, nascendo sotto altra stella, avrei avuto la forza di non cedere al male? Se per fame non avrei rubato, non mi sarei prostituita, non avrei fatto tante azioni che le persone biasimano negli altri senza chiedersi il motivo che li ha spinti?"
Dopo tanti anni penso a queste parole, ma non per chiedermi come lei dove trovare la chiave d'entrata per il Paradiso: penso che l'umiltà di riconoscere nelle nostre azioni un motivo che trascenda la nostra volontà sia già in sé un passo grandioso verso l'imparare a morire, sia un sentirci parte necessaria del creato. (Laura Burgo Roggero)

 

L'umanità ha sviluppato da millenni l'idea di una vita oltre la morte, parallelamente agli scongiuri contro la paura della morte. Ricordo di aver visitato una tomba etrusca, non so più se a Cerveteri o a Tarquinia, nella quale l'inquilino si è fatto ritrarre in un affresco nell'atto di irridere la morte emettendo peti.
Molti cristiani affrontano la morte come paracadutisti al primo lancio, confidando nel paracadute della fede. Personalmente, talvolta esorcizzo la morte dicendo a me stesso e, anche ad alcuni amici che mi domandano come sto, che non posso permettermi di star male e di morire: devo ancora occuparmi di mia madre, che ha compiuto novantatre anni. E non posso lasciare mia moglie adesso che ha più problemi di salute di me.
Sono in una età propizia alla depressione: pensionato, con handicap fisici; la vista soprattutto, e anche l'udito minacciano la mia autonomia e le mie capacità e desideri di relazione. Reagisco comunicando la mia esperienza nelle scuole, nell'associazione di cui faccio parte, testimoniando con la scrittura il bello che la mia generazione ha avuto la fortuna di vivere. E anche con l'abilità di gustare i piaceri che la vita mi concede ancora, anche se con moderazione (quelli della tavola, per esempio).
Talvolta esorcizzo anch'io la morte scherzandoci sopra, citando l'epigramma del poeta ottocentesco Giuseppe Giusti. Cosa che, naturalmente - lo riconosco -, è una rimozione del problema:

Per me, tanto, ho deciso
di non voler veder la morte in viso.
Perciò, se piace a Dio,
quando arriverà lei me ne andrò io.

Da Antonio ho il suggerimento di un altro percorso di apprendimento. Non combattivo, ma pacificante: una riconciliazione. Alla maniera di Francesco d'Assisi: la morte come sorella, o, col titolo di un libro che ho visto leggere a mia moglie, ma che io non ho mai voluto aprire, “La morte amica”. Mi pare questa la strategia che Antonio intende: amare la vita e farsi amica anche la morte. (Sandro Stella)

Cosa dire? Credo di aver avuto ragione ad affermare che la capacità che ho acquisito nell'ascolto mi sta aprendo una infinità di mondi. Quanta strada da allora!! Quando mi sentivo vittima di critiche (talvolta amorevoli) che mi procuravano sofferenza, sono stato indotto a pensare che erano appunto di questo mondo e dunque non potevano entrare nel mio corpo poiché stavo per abbandonarlo.
Ho voluto morire mentre ero vivo, ed il tuo aiuto adesso come allora mi ha ridato il sorriso. Lavorando ogni giorno ho dedotto che ciò che dovevo e devo correggere è l'attenzione a non separarmi da Dio. Per il resto mi sono esercitato a ridere dell' importanza attribuita alle circostanze quotidiane. (Non ricordo chi fosse il giornalista che disse) la nostra conoscenza umana non è altro che fantasia.
Per dirla alla Thellung "dall'utopia un barlume di assoluto". Non finirò mai di ringraziarti per quanto mi dai. (Natalino Vanni)

Nonostante le chiarezze delle nostre teorie su un un “mistero” così grande, tutto mi risulta confuso e pauroso, soprattutto se penso alla morte corporale….il mio corposarà dato in pasto ai vermi e al terreno umido e sporco. Perché la vita? e le cure fisiche ed estetiche? Le mie idee, le mie mete dove andranno? Chi sono io? (Evelina Matera)

Penso a un verso di una canzone di De Andrè: "...Quando si muore, si muore soli". E se non fosse vero? Se morire fosse unirsi con tutti quelli che ci aspettano di là, familiari, amici, tutti quelli che abbiamo amato e perduto? Forse a morire potrebbe insegnarcelo il pensiero dei morti.
Sto per lanciarmi col paracadute, ho una paura folle, vorrei tirarmi indietro... ma chi me l'ha fatto fare, adesso mi spiaccico e ciao... e poi vedo un pallone di seta sotto di me, che plana dolcemente sull'aria: è il mio compagno di pochi istanti fa! Sta volando, leggero, cullato dal vento. Perché non mi avrà detto PRIMA che è così bello? Ma perché non lo sapeva! Me lo dice adesso col suo volo dolce, planante. Io non lo vedo, lo immagino là sotto, protetto e cullato dal suo ombrello aperto che lo guida dolcemente per il cielo... E trovo il coraggio di aspettare il mio turno senza paura, addirittura con ansiosa curiosità. (Laura Burgo Roggero)

Come sempre, ci stai dando lezioni di vita. L'idea della morte non può spaventare chi sa guardare al presente come fai tu. La storia ci conferma e ci propone, infatti, oltre il medioevo dei catechismi subiti, una vita compiuta e indistruttibile, misurata sul giudizio che ciascuno di noi sarà riuscito a dare su se stesso. Un itinerario meditativo che si inoltra nel silenzio interiore, aiutandoci a trovare risposta ad ogni domanda di senso che la vita ci pone. (Gualtiero Meneghelli)

Tu parli di imparare a morire . Secondo me non c’è nulla da imparare . Tutt’al più c’è solo da prepararsi a morire , e fra le incombenze primarie bisogna decidere come e a chi lasciare le nostre cose .
Riguardo all’imparare a morire , io penso che sia più importante imparare a vivere o, meglio , a vivere la parte finale della nostra vita.
Direi che si può dire che bisogna imparare ad invecchiare. Che poi a ben pensarci la vecchiaia è un lento progressivo morire , difatti nella vecchiaia assistiamo (ahimè !) ad un lento progressivo deteriorarsi delle nostre funzionalità finché queste non si annullano del tutto.
Quindi il punto è, almeno per me, come fare ad invecchiare bene. Prima di continuare devo raccontarti di una chiacchierata che ho fatto con una mia collega una ventina di anni fa. Io sostenevo con vigore una tesi di cui ero convinto e di cui sono convinto anche ora. La vecchiaia e perciò anche la morte (ovviamente non quella per cause violente ) non sono affatto ineluttabili , prima o poi la scienza riuscirà a sconfiggerle. È semplice convincersene. Basta pensare al meccanismo di ricambio cellulare. Noi cambiamo in continuazione tutte le cellule del nostro corpo e ciò in modo graduale (tant’è che non ce ne accorgiamo), a differenza dei serpenti che cambiano pelle tutta in una volta. La fregatura però è che, e non si capisce bene per quale motivo, nel nostro Dna il procedimento di replicazione cellulare è scritto in modo tale che non sempre la cellula replicata viene bene (per così dire ) come quella precedente . Il risultato di questo imperfetto meccanismo di replicazione è che a poco a poco la nostra pelle non è più elastica e liscia come quella di un giovane , i nostri organi cominciano a non svolgere più bene il loro compito , ecc. ecc. D’altra parte, da un punto di vista logico, se noi disponiamo dei materiali necessari in natura e dell’energia sufficiente non si capisce perché non dovremmo replicare le nostre cellule in modo perfetto. E’ il Dna che ci ha fregato. Perciò il giorno in cui si riuscirà ( e la genetica fa miracoli ) a rimediare all’errore di programmazione della replicazione, modificando opportunamente il Dna , avremmo sconfitto la morte (sempre che un camion non ci schiacci).
Ma adesso viene il bello. La replica della mia collega è stata agghiacciante: Nooo, mi dice, ti immagini vivere fino a 150 anni! Sarebbe una noia. (Francesco Ventura)

Non si riesce a imparare a morire perché non c'è il tempo. Per tanti di noi la morte arriva sempre troppo presto, e anche dopo una malattia incurabile, avremmo ancora bisogno di tempo. Noi tutti siamo in continua evoluzione, in continua crescita e cambiamento. La morte, quando arriva, arriva sempre a interrompere qualcosa che è in movimento. La morte mette fine a qualcosa che conosciamo per dare inizio a quel che non sappiamo, che possiamo ipotizzare, ma non conoscere. Possiamo parlare della morte, credere di conoscerla, ma quando ci tocca, comunque, ci coglie impreparati.
Non credo che si possa dire "ecco, adesso ho imparato, sono pronto" e allora morire. Non decidiamo noi quando sarà il momento. Non è come spegnere un interruttore. Possiamo ipotizzare come sarà il nostro momento ultimo, ci penso spesso, e mi immagino anche come mi comporterei di fronte ad una malattia incurabile, di fronte ad una agonia e mi sembra di prepararmi. Poi basta un malanno nuovo o qualcosa che non va come credevo per farmi rendere conto di come il mio comportamento non segua quel che avevo immaginato. Figurarsi di fronte alla morte!
Forse si impara a morire solo morendo. Ogni cosa che impariamo ha bisogno sì della teoria, ma soprattutto della pratica. Io ho capito tante cose solo quando le ho vissute, quando sono diventate esperienza viva. Anche con la morte sarà così. Imparerò a morire quando morirò.
Sai, pensandoci, credo che a me, ora, interessi di più imparare a vivere, che imparare a morire. E' vero che si muore una volta sola e che non possiamo sprecare l'occasione, se vogliamo dirla così, ma credo che conti di più quel che rimane della nostra vita, del nostro amore, dei nostri insegnamenti e anche dei nostri errori.
Penso che quel che diventerò "dopo" sia condizionato più dal cammino fatto, dalle conoscenze acquisite, dai rapporti intrecciati e dalle relazioni vissute, che da come sarò morta o da come l'avrò affrontata, la morte.
E' davvero così importante, imparare a morire? Ora come ora, ti dirò sinceramente, vorrei imparare ad accompagnare chi muore e a farlo serenamente.
Penso a mia madre, ai miei suoceri. Spesso diciamo che tra qualche tempo avremo più funerali che battesimi, se l'età anagrafica conta qualcosa e non so se sono pronta ad affrontare ancora quel che ho passato quando è morto mio padre. Mi fa paura la morte dei miei cari, non ho imparato a salutarli e lasciarli andare.
Ci penso spesso e, a mente fredda, dico che rientra nell'ordine delle cose, è la vita. Ma tra il dire e il fare... (Elena Bonelli)

Veramente straordinaria la tua testimonianza. Non è facile aggiungere qualcosa, ma ti assicuro che ti sto seguendo con grande interesse e... commozione. (Gualtiero Meneghelli)

Mi sono commossa per la stupenda dichiarazione d'amore nei confronti di Giulia. E' bellissimo sentirsi amati così. Ho il terrore che possano morire i miei cari prima di me. Diverso è il pensiero che tocchi a me. So che prima o poi succederà, ma sono nell'età in cui, pur avendo già sicuramente oltrepassato la metà della mia vita, credo di avere ancora un po' di strada da percorrere. Si può imparare a morire? Non lo so. Sicuramente è più facile prepararsi a morire. Sistemare le faccende, salutare le persone che ami, lasciare disposizioni, ecc. Per imparare a morire bisogna, a mio parere, saper vivere. Gustare la vita, amando quello che si fa. Però se ami, non vuoi lasciare. E allora non hai imparato. Non so se mi spiego. Credo che si possa morire "bene", accogliendo la morte inevitabile non come una sconfitta o rassegnati, ma come il compimento della nostra parabola terrena, solo se il tempo passato sulla terra lo abbiamo messo a frutto, diventando migliori, cioè amando. Se ci penso mi accorgo di quanto io sia cambiata e cresciuta in questi 51 anni di vita, quante cose ho capito, quanto ho lasciato andare, per merito degli incontri che ho fatto che mi hanno aperto il cuore. Ma, e qui sta il controsenso, proprio perché amo, non posso staccarmi da questi affetti con facilità e senza dolore. Credo che solo chi pensa alla morte come compagna di viaggio di tutta la vita, possa capire qualcosa di lei e andarle incontro sereno. (Elena Bonelli)

Grazie per la tua coraggiosa testimonianza che per caso ho letto sul tuo blog. Parlare della morte è davvero spalancare la porta sull'orizzonte della libertà! Io la morte me la porto addosso perché sono disabile a seguito di un incidente sportivo e sento molto il disagio della gente quando si avvicina ad una persona disabile...Tu sei riuscito a sfondare questa porta! grazie. (Monica Paganuzzi)

Io sto ancora imparando, ammetto con fatica, a vivere quindi non posso accedere alla scuola superiore dove si impara a morire. E’ come pretendere di frequentare l’università senza sapere il leggere e lo scrivere. (Rino Mario Vello)

Mi piace molto questo tuo intento: imparare a morire. Ho sempre pensato che imparare a morire fosse proprio un lungo apprendimento, da iniziare molto presto, da giovanissimi, da ragazzi. In realtà imparare a morire non è affatto facile. Credo anche che coincida un po' con l'imparare a vivere, e in profondità con l'imparare ad amare. Ma qui le cose si complicano.... (Marco Guzzi)

Tu non cessi di stupirmi con la tua creatività, la fantasia e la versatilità. E' bello sapere che conosciamo gente così. La tua proposta è interessante e devo riconoscere che anch'io ho avuto esperienze di morte. (Aldo Paliaga)

A maggio avrò 80 anni. Certo che penso alla morte. Sono tantissimi tra famigliari, conoscenti e affini che mi hanno preceduta. Di tanti ricordo perfettamente gli ultimi istanti, essendo presente e avendo condiviso molti dolorosi momenti di malattia e assistenza. Tuttavia non credo di aver imparato il modo per arrivare pronta al traguardo. In questa mia navigazione a vista vedo come faro solo un gran punto interrogativo. Per ora decido di vivere attimo dopo attimo, lavorando,amando, leggendo,godendo,soffrendo secondo l’ occasione che si presenta, in attesa dell’ ultimo attimo per ora. (Gisetta Alloisio)

Certe volte mi vergogno di vivere, non so perché, mi sembra che il mio essere scema sia molto più grave dell'essere scemi degli altri. Quando qualcuno a cui tengo disapprova ciò che faccio, o quando non riesco a comunicare quello che ho dentro sento un senso di vergogna dei miei sentimenti, mi sembra che non siano degni di essere provati. È una sensazione che mi distrugge, e mi fa desiderare di azzerarmi. Non so dare un nome a questa cosa, forse sarà sensibilità o forse avrà a che fare con la stanchezza.... Come ho fatto a vivere una vita così piena di cose belle, come ho potuto concretizzare i miei sogni e costruire una famiglia, nonostante me? (Paola Palladini)

Accogliere, raccogliere presso di sé, ospitare. Durante il mio ultimo parto ho avuto esperienza di accogliere il dolore fisico. E' stato qualcosa di diverso dalla semplice 'accettazione', che mi ha sempre lasciato una sensazione di subire un adattamento non scelto. E' stato come fidarsi di un progetto altrui e scegliere di aderirvi. Assomigliava a un raccogliere presso di sè il dolore e fidarsi anche di lui, non ostacolarlo ma lasciarlo sfogare come una febbre che non vuoi contenere con medicine, perchè sai che deve sfogare, che la sua strada e dunque anche la tua è quella e solo quella e comunque quella. (mi ricordo l'immagine evocata da un qualche stoico greco, di un animale legato con una corda a un carro, il quale può scegliere di correre dietro al carro o essere trascinato mentre tenta di contrastare l'andatura). Ma è più di questo quello che è significato per me 'accogliere'. Aderendo con la mia mente a quel dolore l'ho condotto verso il suo compimento e d'improvviso l'ho sentito mio complice, l'ho aiutato come se avessi contrattato con lui e fossi addivenuta a una pace con lui. Ora sto cercando di imparare a accogliere la mia rabbia, ma quando Tu mi hai parlato della morte, ho sentito che anche per la morte vale questo discorso. (Eloisa Aliotta)

Sono sorpreso e molto interessato (direi affascinato) dalle riflessioni che stai sviluppando e ti ringrazio di avermene fatto partecipe, e lieto se vorrai continuare. Non so se riuscirò a ricambiare qualcosa (qualche pensiero, qualche commento...) ma per me leggere le pagine è gradevole e stimolante. Grazie!! (Angelo Bertani)

Quando io accenno a mio marito le mie considerazioni (meglio morire felici, meglio morire improvvisamente, ecc.) lui non vuole discutere, anzi si arrabbia moltissimo. Ma mi accorgo scrivendo che queste mie asserzioni derivano proprio dal non saper morire: bella forza morire senza accorgersene! (Laura Burgo)

Sono felice di questa opportunità. Certo le mie riflessioni possono contare poco! Non perché ancora non abbia preso atto della fine della nostra vita terrena, perché questo in fondo è, ma perché ho paura non tanto della morte ma di accorgermi della morte stessa. Strano vero? (Paola Tabacchini)

Dopo avere dato la mia adesione alla tua iniziativa, non ti nascondo che sono nate dentro me tante perplessità poiché penso che una persona ricca di cultura e di esperienza, come te, non debba chiedersi come imparare a morire, ma come continuare ad insegnare a vivere. (Giuliana Mastropasqua)

Le tue riflessioni - "de senectute", direbbe Cicerone - sono bellissime e stimolanti. Prima o poi, se avrò tempo, forse interverrò nell'agorà che tu hai avviato su un tema decisivo, come quello della preparazione alla morte. Ma, anche se rimanessi silente, puoi stare sicuro che leggerò le tue parole con grande attenzione e considerazione; e con affetto. (Luigi Sandri)

Ho letto le tre pagine che mi hai inviato la prima volta così come ho fatto con queste cinque pagine di ora e a dire il vero pur trovandole molto belle e toccanti nella loro semplicità d'esposizione, credo siano «fuori tema». Ma non è per caso che, trovando belle le pagine dove ti racconti finisci per compiacertene e questo ti da un senso di beatitudine?
Sono sempre con le orecchie tese per apprendere da te, ma per affrontare questo argomento credo si debba partire da molto lontano ma soprattutto ci vuole una adeguata affinità di pensiero. Non fatico a credere che le risposte che ti vengono rivolte da qualcuno, possano creare difficoltà e talvolta imbarazzo. Personalmente ritengo che l'argomento sia bello da conoscere ma credo che, ancora una volta (almeno per me) la guida dovrai essere tu. (Natalino Vanni)

Le tue letterine non sono più letterine (ma lo sono mai state?) ma capitoli di un libro interessantissimo che mi bevo con gusto proprio come potrei gustare l'acqua di una sorgente dopo aver camminato nel deserto per trentanove giorni. Grazie, grazie e ancora grazie per avermi messo nel gruppo dei destinatari della tua posta elettronica.....altro che non gradire......tu sei meglio del pane e del vino e io mi sento, in confronto a te, un piccolo Marcellino.
Le tue considerazioni e le riflessioni sulla vostra vita di coppia sono bellissime e talvolta esilaranti. (Paolo Roggero)

Sai che amo dialogare. La tua proposta, poi, mi affascina, perché credo che sia quanto mai importante, oggi, ragionare non sulla morte, ma sul morire. E ragionarci insieme. Io però non ce la faccio proprio... ad entrare nel dialogo. Perdonami, non ci entro direttamente, ma a distanza sì... (Marinella Perroni)

Sono molto felice di poter partecipare a questa tua ammirevole iniziativa. Ti confesso che mi suona come un campanello d'allarme, per cui ti chiederei, senza ancora aver avuto il tempo di leggere quanto da te spedito l'altra volta, come stai, se senti avvicinarsi per qualche motivo il momento del trapasso. (Piergiorgio e Monica Proietti)

Con interesse leggo le tue riflessioni e ammiro il tuo intento. Non riesco in questo momento a mandarti riflessioni scritte e ti confesso che per me, che ho un pochino meno della metà dei tuoi anni, l'argomento non è del tutto gradito. Forse non essendo assolutamente arrivata alla conclusione naturale della parabola, la cosa mi crea disagio....leggere le tue serene riflessioni però mi piace.
Penso che imparerai benissimo anche questo nuovo mestiere, e ne diventerai un'artista..... Così come ci sarebbe bisogno di buoni idraulici, o carpentieri, o brave maestre, sarebbe bello anche avere un po' di esempi positivi di come affrontare il momento finale....visto che questo terrorizza tutti, dal primo all'ultimo e ben pochi ci vanno incontro tranquilli. (Ilaria Belliti)

Apprezzo il tuo desiderio incessante di indagare, ma qui è fuori luogo. Secondo me Gesù ci ha insegnato a vivere; sapeva di dover morire ma ha pensato a vivere fino all’ultimo respiro. L’unico modo di aspettare la morte, cioè il passaggio a nuova vita, è vivere questa: non c’è altra possibilità. La mia impressione è che tu, oltre il desiderio sconfinato di indagare e capire, abbia addosso una certa malinconia, generata dall’idea della morte. Troppo intenso il tuo vivere per accettare che finirà. Allora ti inventi sta storia di imparare a morire: che inutilaggine. Forse devi concentrarti di più sulla vita che stai vivendo e sulla speranza di quella futura. La morte, li nel mezzo, non esiste, perché dura zero. (Alessandro Dallasta)

Sperimentare la morte prima che ci cada sulla testa o dove decide di cadere...fantastico. Io credo si possa provare a vivere la morte mentre si vive la vita. Lasciar andare tutte le credenze, abitudini, consuetudini, tutti i doveri o presunti tali... essere liberi dai legami della vita è morire e vivere insieme. (Stefania Renditore)

Quando si inizia a studiare qualcosa di nuovo sembra tutto difficile. I'artista davanti alla tela bianca si sente smarrito;un aspirante pianista seduto per la prima volta davanti a una tastiera come si sente? Io che mi pongo davanti al progetto di imparare a morire per la prima volta mi sento come lo studente nel suo primo giorno di scuola soltanto che davanti a me non trovo né la scuola, né l'insegnante, né il quaderno, né la tela bianca, né niente di niente...... nel mio cervello, si sta muovendo qualche neurone che, da dentro me stesso, mi invia dei segnali piccolissimi. Il primo segnale è questo ragionamento: se fossi molto felice per questa mia vita terrena, trovandomi improvvisamente davanti ad un verdetto che mi condannasse a morte entro domani sarei piuttosto preoccupato. Se fossi molto infelice potrei, invece, sentirmi sollevato. Non credo, tuttavia, che per prepararsi a morire si debba cercare di percorrere la strada verso l'infelicità ma si potrebbero rivalutare i dolori che ci capitano casualmente. (Paolo Roggero)

Il tuo atteggiamento esplorativo può diventare una continua ed interessante esperienza di viaggio. Buona navigazione fino al porto, timoniere di te stesso...La fine della corsa ti sia lieve… (Francesco Zanchini)

Grazie a te. È davvero un onore poter ricevere e leggere i tuoi pensieri. Vorrei avere un po' più di tempo anch'io adesso, per fermarmi a riflettere e tradurre in versi i miei pensieri così per poterli condividere con te. Spero presto di partecipare attivamente. (Elina Valenti)

Le tue considerazioni sono in gran parte condivisibili; sfido chiunque ad affermare di non averle mai pensate, o almeno di averci provato….. Trovo francamente questo racconto illusorio, basato su non si sa bene cosa, un tantino ingannevole, e forse consolatorio ma solo per coloro che preferiscono non avere coscienza di una fine. E questa fine, devo dire in tutta onestà, mi spaventa. A tratti anche molto. (Stefania Salomone)

Grazie delle belle riflessioni e del tuo interessante tentativo di aprire un dialogo aperto su temi trasversali come quello della morte e della vecchiaia in un'ottica di liberazione e di profonda umanità. Li ho letti e li vorrei pubblicare, se mi autorizzi, nel sito di Mosaico di pace. Li ho inviati anche ai miei genitori, persone anziane ma sempre state di gran pensiero e apertura al dialogo. Li hanno apprezzati e ti risponderanno personalmente. (Rosa Siciliano)

Mi fa piacere leggere ancora una volta le tue righe piene di brio e di vivace apertura alla vita, che si scorge non solo nell'atteggiamento generale ma anche e soprattutto nei piccoli particolari relativi allo stato di salute e agli immancabili segni del tempo che si fanno sentire di giorno e di notte. E a questo proposito, anche se può sembrare secondario, condivido perfettamente quanto dici in breve sui pregiudizi della civiltà nei confronti dell'igiene……
Trasformare il desiderio di imparare a morire nello stesso modo concreto di vivere che tu descrivi all'inizio. In fondo si tratta della stessa cosa e imparare a morire significa allora vivere la propria vita così come ti senti di viverla tu, ritenendo non tanto su un piano di principio ma avvertendo sul piano esistenziale che quello che si sta vivendo insegna a morire. (Gian Luigi Prato)

La tua impresa, quella di imparare a morire, è quasi impossibile. Già la tua distinzione, tra prepararsi a morire e imparare a morire, la dice lunga…..
Ma c’è un secondo e più importante motivo per pensare che sia impossibile imparare a morire. Comunemente diciamo che si impara per esperienza. Impariamo qualcosa perché ne facciamo esperienza e la impariamo anche attraverso gli errori che commettiamo nel praticare tale esperienza. Questo vale per tutte le professioni, attività, interessi, ecc…. Ora, nessuno ha esperienza della propria morte, quindi non possiamo imparare a morire…. Abbiamo esperienza della “morte degli altri”, è vero, ma anche a questa gradualmente ci si fa l’abitudine e la si vive come una cosa normale, che tocca sempre agli altri, a noi non tocca mai (quando ci toccherà non avremo modo di rifletterci su…). Di fatto, nella vita spicciola quotidiana ci comportiamo come se non dovessimo mai morire e meno male che è così, altrimenti saremmo tutti depressi….
Nel tuo caso, però, l’esperienza della morte degli altri è stata peculiare, effettivamente diversa da quella di (quasi) tutti gli altri (accanto al malato sino alla fine…). Chissà che questa esperienza, non tanto per la sofferenza di cui sei stato testimone, quanto per il trapasso dalla vita alla morte, non ti aiuti davvero a “imparare a morire”.
Nel complesso l’impresa rimane molto, molto difficile. (Enzo Pezzino)

Quando uno desidera studiare come fa? Solitamente cerca un testo,un libro da leggere, un oggetto da esaminare....un insegnante che ne sappia qualcosa, ma in questo caso in cui non mi sembra ci siano testi, né libri, né insegnanti. Forse pensi di rivolgerti a guardare dentro a te stesso?
Insomma se io volessi associarmi da dove potrei cominciare? (Paolo Roggero)

Ho letto volentieri la tua introduzione e il primo capitolo del libro e ho piacere di proseguire la lettura e anche di reagire: brevemente.
Imparare a morire è una necessità e interessa anche me sia per l’età sia per il ‘mestiere’ che esercito. Sono d’accordo perciò sulla introduzione: è necessario imparare a morire. Forse cercherei di chiarire meglio la ragione. Perché non siamo capaci di morire? perché resistiamo alla morte? è faticoso morire o è facile? Dipende dalle disposizioni interiori o dai pregiudizi? Credere nella vita dopo morte aiuta a morire o introduce una componente inquietante?
La vecchiaia è bella. Sono d’accordo sulla affermazione, ma non sulle ragioni che porti. Tu parli della salute e dei pochi acciacchi che hai, ma non credo che siano quelle le ragioni per cui vivi serenamente la vecchiaia. Sono la saggezza che ti consente di portare le contraddizioni, la pazienza per cui non ti arrabbi più, non ti offendi, sai perdonare ecc. ecc. (Carlo Molari)

Mi sembra una proposta bellissima. Sono onorato se continuerai ad informarmi dei tuoi progressi. (Dario Paoletti)

Ultimamente l'idea della morte passa nella mia mente, con una certa frequenza. Non so ancora cosa ne penso, mi fa paura, mi sembra lontanissima e a volte così vicina. Sarei felice di condividere con te stati d'animo e idee. (Elena Bonelli)

Ho letto e mi interessa, anche se non mi è chiaro come conversarne con te e gli altri amici interessati. Il mio suggerimento è di crescere nella consapevolezza di ogni attimo e così rimanere nell'ora della morte: consapevoli di quanto sta accadendo al corpo e allo spirito in modo opposto, l'uno muore e l'altro acquista vigore e splendore. (Marzia Pileri)

Il tuo intento di imparare a morire e di scriverne, trovo che sia molto umano e cristiano. Sarò ben lieto di leggerti e anche, per quanto ne sarò capace di condividere con te questo parlarne. (Piergiorgio Bortolotti)

Davvero non sai quanto il tuo lavoro mi interessi? Sono contento che tu goda ancora della salute che tutti sogniamo di continuare ad avere. Sto comunque bene anch'io. Nonostante il problema per il quale sto facendo una lunghissima radioterapia... e non avrei, certamente, alcun diritto d'esserne preoccupato. Anche sapendo e vedendo quel che accade attorno...
(Gualtiero Meneghelli)

Grazie per questo tuo scritto. Non te lo diciamo spesso, ma ci capita di citarvi molte volte nei nostri incontri con coppie e famiglie in giro per l'Italia... siete una splendida fonte concreta per noi di amore coniugale e di fede incarnata! Per cui.... siamo interessati anche a questo tuo ennesimo progetto editoriale! (Davide e Nicoletta Oreglia)

Sei sempre fortissimo. Ti leggerò come al solito ben volentieri. (Raffaello Schiavone)

La tua mi pare un'ottima idea. (Elio Rindone)

Aderisco con interesse alla ricerca di imparare a morire. Condivido quanto hai scritto,tu hai dato corpo ai miei pensieri in forma più distesa e meno ingarbugliata e tumultuosa di quanto non siano i miei. C'è ancora in me una ribellione ad accettare la morte come fine e cancellazione nel tempo di una vita che da giovane credevo immortale,almeno per me. Accetto ora razionalmente la necessità della morte che è un evento naturale, necessario per la sopravvivenza del pianeta ma mi corrode l'idea della dissoluzione del mio Io. Non mi consola la sopravvivenza dell'anima ,di quel principio universale e divino che c'è in me ma che non è tutto il mio io il quale morirà invece in quanto particolare e limitato. Io amo il mio corpo e il mio cuore e la loro dissoluzione mi tormenta ma so che sarà così. Imparare a morire significa accettare l'ineluttabile o calmarsi e capire insieme ad altri verità nascoste e andare verso altri orizzonti?
Vivere la morte non come un fatto esclusivamente individuale ma da condividere con altri dà un senso di leggerezza. Sarà un battito d'ala per l'ultimo volo? (Caterina De Martino)

Come la tua vita insegna ti contraddistingui anche nell'affrontare questo tema che accomuna tutti noi esseri viventi. Tu hai la mia disponibilità al confronto su questo argomento come su qualsiasi altro argomento, essendo come te un riflessivo provocatore dubbioso!
(Alessandro Cassano)

Non solo mi interessa, ma penso che si possa arricchire anche con il tema dell'elaborazione del lutto di chi resta….. Volentieri partecipo al tuo lavoro, così mi preparo anch'io.
(Daniela Cirulli)

Mi interessa moltissimo e' una riflessione che voglio intraprendere di mio e il fatto di poterlo fare con te - che hai sempre avuto intuizioni per me utili( tipo domanda sempre se si può non se e' difficile e molte altre) e inoltre hai un altro punto prospettico - sarà un privilegio.
(Eloisa Aliotta)

La Sua proposta è estremamente interessante. Sono leggermente più giovane di Lei, ma non posso fare a meno di prepararmi alla morte. L'idea di studiare il modo migliore per imparare a morire credo sia il modo migliore per impegnare il tempo che il buon Dio intende concedermi ancora. Aderisco senz'altro alla Sua proposta, anche se per ora non so quale potrà essere il mio contributo.
Ho fiducia comunque nel Suo entusiasmo e nella Sua concretezza ed accetto la provocazione. Sono pronto. Attendo Sue nuove. (Giovanni Giavazzi)

La Sua proposta è estremamente interessante. Sono leggermente più giovane di Lei, ma non posso fare a meno di prepararmi alla morte. L'idea di studiare il modo migliore per imparare a morire credo sia il modo migliore per impegnare il tempo che il buon Dio intende concedermi ancora. Aderisco senz'altro alla Sua proposta, anche se per ora non so quale potrà essere il mio contributo.
Ho fiducia comunque nel Suo entusiasmo e nella Sua concretezza ed accetto la provocazione. Sono pronto. Attendo Sue nuove. (Giovanni Giavazzi)

Sono sempre estremamente interessato ed attratto dalle tue considerazioni.
(Marco Palladini)

ho ricevuto oggi le due pagine della tua riflessione sul tema della morte.
E' bello leggere ogni tuo scritto perché c'è sempre molto da imparare e su cui meditare.
Condivido pienamentele tue parole quando scrivi: potrei dire che la mia vita ormai l' ho fatta, è stata bellissima nelle gioie e nelle sofferenze e quando si renderà compiuta non resterà che dire amen.
Alcuni anni fa il mio cardiologo, dopo una visita mi disse: il mio compito è portarla all' età di 83 anni. Ora sono nell' anno degli 84 e aspetto con serenità la mia ora continuando a vivere senza paura e fiducioso nella misericordia di Dio. La vita per noi cristiani inizia soltanto quando finisce qui sulla terra. Cosa sono trenta, cinquanta o ottant' anni al cospetto di Dio?
Può la morte essere l' ultima stazione sulla via della libertà? (Remo Alloisio)

Vita è vita ! Coscienza è coscienza di Vita, che è veglia solo in parte, poi è sonno, sogno, ma da ogni sonno e sogno si ritorna alla veglia ma la veglia senza il sonno non è.
Anni indietro sei partito da una celebrazione del passaggio oggi cerchi nel confronto di idee .
La Vita ti ama per ciò che cerchi. (Manuela de Angelis)

Questo tema mi interessa da morire (scusa il gioco di parole, è per sdrammatizzare un po’), soprattutto dal punto di vista di chi deve imparare a veder morire gli altri, che è la cosa che al momento più mi preoccupa.
Quindi aspetterò le tue mail, sperando che la tua sia una preparazione per un futuro lontanissimo. (Carla Kaamini Carretti)

Ciao vecchio scemo,
bellissime le pagine che mi hai mandato. Si vede che hai ancora un po' di cervello che funziona. Continua a mandarmi le cose che scrivi. Magari con i miei 2-3 neuroni residui ti manderò qualche commento in tema, ma se anche non mi venisse nulla di intelligente da commentare, ti leggerò sempre con piacere. (Luca Borghesio)

Grazie per il file inviatomi, è un percorso di conoscenza a mio avviso molto importante e mi interessa molto. (Carmela Santangelo)

Non finisci mai di stupire Zeus!!! Ma a che età si entra a far parte di quelli che possono o devono cominciare a imparare a morire? (Tomaso Thellung)

Ho grande ammirazione, stima e rispetto di Antonio Thellung, che con il suo pensare sereno e profondo, con i suoi libri e anche con il raccontare della sua vita e della sua bella Famiglia, mi ha regalato tanti spunti di verifica e riflessione anche su me stesso e la mia vita.
Sarò lieto di continuare a ricevere il seguito, man mano che verrà. (Antonio Gambelunghe)

Sei una certezza: non deludi mai! Dopo avere apprezzato i tuoi libri ora proponi una cosa assolutamente entusiasmante. Non potevi pensare ad una formula migliore per trattare un argomento così importante, complesso, soggettivo, emotivo e filosofico come la morte. Un semplice libro troverebbe il lettore necessariamente passivo, critico o in sintonia, ma passivo. Questo argomento invece per essere trattato nel modo migliore ha bisogno, come dire, di una visione a 360 gradi che coinvolga mente e cuore, fede, emozioni, esperienze personali ma soprattutto trovare il vero senso della vita che dia un senso alla morte: il rapporto con gli altri. Per questo la tua idea di scambiarci commenti e riflessioni sui tuoi scritti man mano che vanno avanti trovo che sia splendida. (Daniela Napoletano)

I tuoi studi mi incuriosiscono molto e vorrei condividere con te questa esperienza, perché è un tema che mi passa davanti ogni tanto….. Sei geniale. (Natalino Vanni)

Quando,alla presentazione del suo ultimo libro, ho dato l'adesione a questo inconsueto "accompagnamento" nell'elaborazione del discorso sulla morte, era morto da pochissimo il compagno di tutta la mia vita e mi sembrò un segno.... il mio compagno era "anziano" (ma un po'meno di lei) e non ha saputo morire: ha voluto ignorare del tutto quello che gli sarebbe successo a breve con un meccanismo di difesa e di rimozione che mi ha fatto soffrire enormemente, più della sua stessa morte.
È per questo che la incito a continuare e che le confermo che sicuramente camminerò con lei. (Elvira Iovino)

Tu hai la capacità di presentarti al momento adatto! Ho letto la bozza, in cui con gravità leggera (tu non diresti così?) affronti un argomento che sto cominciando ad affrontare anch’io con lo stesso atteggiamento di fondo. Non un tabù, non una fonte di inquietudine, non uno spauracchio da esorcizzare, ma un punto di arrivo che vorrei, proprio come te, vivere da defunta e non da morta.
Non sono ancora vecchia ma non sono più sana. Tanto basta per cominciare a fare spazio al pensiero della morte. Mi sorprendo a parlarne con me stessa come della cosa più naturale, senza provare particolari timori, angosce o rimpianti, mentre con gli altri non si riesce ad evitare la fase delle schermaglie e degli imbarazzi, dei tentativi di uscire al più presto dal vicolo cieco di un tema sgradito.
A questo punto arriva la tua mail… Ne ho parlato anche con Daniela: siamo curiose di approfondire la tua proposta e appezziamo la formula della ricerca condivisa.
Se continuerai ad inviarmi le prossime pagine, cercherò di mantenere vivo il dialogo a distanza anche se non sempre la risposta potrà essere immediata. (Margherita Bravi)

Grazie per rendermi compartecipe del tuo studio. Imparare a morire è l’impresa più impegnativa e difficile. Intanto – non mi ricordo chi l’abbia detto – non ce la faremo mai ad uscirne vivi.
Soltanto ieri ho terminato la lettura del prezioso libro “I due cristianesimi”. L’ho sottolineato e chiosato. Utile per ben morire.
Ho forse tre anni meno di te, eppure ho le mani callose per il prolungato uso della zappa nella preparazione dell’orto. Non è un lavoro ma una goduria. (Felice Scipioni)

Ho letto con interesse il tuo incipit , penso che il meglio verrà dopo , lo aspetto con gioia. per ora ti dico che condivido la tua posizione realista e scanzonata di fronte al tabu dei tabu e mi piaci sempre più! (Irma De Santis)

La tua idea è sbagliata di fondo, è una contraddizione in termini. Non è possibile studiare per imparare a morire. Possiamo solo imparare continuamente a vivere, giorno per giorno…… Per parafrasare i tuoi esempi, Il nostro mestiere è vivere, non ne conosciamo altri e non possiamo conoscerne altri….. Un attimo prima di morire sei semplicemente vivo; un attimo dopo semplicemente non sappiamo cosa sarà. Punto e basta. Quindi vivi lieto come sei e basta. Ogni istante vivilo pienamente come sai fare. (Alessandro Dallasta)

Che oggetto di studio difficile ti sei scelto. Oggi la cultura sembra volontariamente escludere la morte dall'orizzonte dell'umano: é vietato morire. È disdicevole.
Nessuno vuole più morire. Nessuno accetta che muoiano le persone a cui si é legati. Nessuno, o ancora troppo pochi, direbbe Turoldo, che accettano di affrontare a casa, e non in ospedale, per esempio, le fasi precedenti il trapasso.
La prospettiva da cui vuoi affrontare la questione mi sembra interessante anche per un'altra ragione….. la morte viene vista come compimento della vita (bello il riferimento all'essere morto senza essere defunto!), come esperienza 'fisiologica' e non patologica dell'umano, inscritta nella pieghe più profonde del suo essere. Parlare della morte così può aiutare a parlare meglio della vita, anzi della Vita, e dei modi attraverso cui questa continua superando la barriera della morte. (Eupremio Luigi Greco)

C'è una tua frase che mi è sempre piaciuta e che ho scritto anche sull'agenda che mi accompagna nel lavoro dell'anno: "non so dove vado,ma ho deciso di andarci"...Ehhh, no..Questa volta,per i pensieri espressi,non torna.Mi spiace : non hai 'deciso tu di andarci': la cosa accadrà che ti(ci) piaccia o no.
I pensieri conseguenti quindi mi sembrano un modo per 'alleggerire il carico':sono molto curiosi ,ma confinano un po'-non volermene-con la presunzione...umana.
Ma come sempre mi incuriosisce il tuo pensiero...Quindi attendo. (Paola Parola)

Caro Antonio, sì che interessato anche perchè non credo che questo "imparare a morire" sia solo per (come dicon tutti!!) i fortunati che hanno superato gli ottanta, ma sia giusto per tutti quelli (senza limite di età) che nella speranza dataci dalla fede, si pongono domande sulla morte! Grazie per averci pensato. (Vitantonio Tarantini )

dal blog: vino nuovo

dal blog di Luigi Accattoli

 

Leggendo il tuo ultimo scritto "mi domando: sto cominciando a imparare qualcosa? Ho fatto qualche passo avanti? Mah! Le condivisioni, di qualunque tipo, sono il migliore humus per coltivare lo studio e aiutare il mio individualismo a coinvolgersi con quel che va oltre i miei ristretti confini. Da alcuni mi sento capito, intendo dire in profondità, e questo significa che qualche porzione di me ha varcato i confini della mia prigione, cosa che mi autorizza a sperare che altro seguirà, se è vero che a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza". Mi è venuto in mente il libro di Qoelet, i suoi interrogativi, la sua incessante ricerca! (Monica Paganuzzi)

Grazie tante, caro Antonio, anche se mi sembra che il titolo del libro dovrebbe essere: "Imparare a vivere da... bisnonno"!!. Infatti come tu stesso ammetti alla fine del capitolo: "non sai se a vivere o a morire". Ma non potrebbe essere diversamente. Della propria morte non si può parlare. E' quindi la vita che tu narri attraverso i tuoi ricordi, le tue esperienze e i tuoi sentimenti attuali e passati, che sono simili o analoghi a quelli di tanti, certamente, in parte anche a quelli miei. E in ciò consiste la bellezza, ma anche il limite dell'esposizione, imperniata -come dire- sulla banalità del ben vivere. Un caro saluto di pace (Fabrizio Truini)

I pesci nel mio acquario vanno a morire distante da occhi indiscreti sotto ai cespugli fitti fitti, dentro a cavità ... ti accorgi che mancano magari dopo due giorni e allora vai alla ricerca del corpo. Non so se anche in noi sia insito un istinto del genere. Magari c'é e tutti facciamo finta di niente e ci adeguiamo che tanto forza d'opporsi non ce n'é. Però un insegnamento in questo senso, mio nonno me l'ha dato. Gli é "scoppiò" la metastasi a inizio estate e da allora disse a mia nonna che preferiva farsi il bagno da solo..(di solito la chiamava dentro quand'era il momento di lavarsi la schiena..) poi verso settembre incominciò a tagliare la vigna...e in ottobre alcune masse sul collo e sul viso fecero capire d'un tratto a tutti il perché di certi comportamenti.. Se ne andó in fretta, preferì così piuttosto che sottoporsi ad operazioni  e vivere magari mesi di tribolazioni..

Perché fa paura ? Non si conosce l'oltre ? Ma prima di tutto, c'é un oltre ? A farsi queste domande quasi mi assale un senso di colpa ... Sembra di mancare rispetto a Dio. Ok Dio ... Ma non potrebbe già essere meraviglioso questo dono di una vita e poi stop? E poi cosa faremo di là? Quale noia "mortale" ci aspetta? Canti, gioia, contemplazione del Volto di Dio. Non é che poi ci stanchiamo? M'hanno inoculato il battere cristiano e farmi queste domande mi par d'essere blasfemo.

Su una cosa sono d'accordissimo con te Antonio: la musica. Aiuta a rilassarsi e parla un linguaggio che va a toccare corde che t'aiutano a librarsi e a perdersi in volo. Si apre una dimensione grande di cui ci si sente parte. Quasi il collegamento tra due dimensioni. Non che mi capiti spesso di provare questo, eh. Solo in fortunati momenti. Per me preghiera.

Talvolta suonando il piano chiudo gli occhi, mi lascio trasportare da ciò che mi viene spontaneo e allora le lacrime scendono copiose e in quel momento sento più vicini i miei amici e familiari morti. Mi sento anche più vicino a Dio ma poi finita la musica mi chiedo: sarà tutto frutto della mia mente? Come faccio a distinguere a discernere come dicono i preti ? (Paolo Pellizzari)

Leggendo le considerazioni sulla tua vita passata, posso confermare tutte quelle tappe in cui ero già presente nella tua vita, che è stata così trasparente per esempio per me, ma anche per tanti altri che non potresti ora non confidarti così, anch'io ringrazio questa nostra vita di averti dato salute e vigore finora, è una gioia per me vederti così..... penso a quanti problemi hai vissuto senza mai lamentarti, è la prima volta che ti sento considerare cose come fatica, sonno, sciocchezze che si fanno....... io invece mi lamento sempre, e il brutto è che non me ne rendo nemmeno conto. Faccio tante cose, gli impegni, il lavoro, ma i risultati? Il modo mio di lavorare è dispersivo non vedo risultati concreti, la vita mi guida, a volte mi aiuta, spesso vedo intorno a me cose positive, scelgo bene le persone amiche e soprattutto il marito l'ho scelto benissimo, ma dire che faccio e ottengo risultati, che so lavorare o "ottimizzare", quello è un altro discorso.
Sembra che le cose positive mi arrivino per caso e non per un mio effettivo sforzo o lavoro ben indirizzato.... quanto devo imparare ancora! Sento che sarà impossibile cambiare su questo, anche perché quando avevo meno di 30 anni consideravo un valore non forzare gli eventi, accontentarmi del positivo e lasciare che la vita agisse in me mettendo semplicemente a disposizione me stessa con un sorriso, e le mie cinque gravidanze sono il risultato di questa disposizione d'animo. Ora mi sto mettendo in discussione ma forse è tardi perché mi sono formata così. Sono in crisi, vorrei essere più schierata, più assertiva, più rispettata, e mi rendo conto di aver preso troppo alla lettera alcune idee acquisite durante l'adolescenza. Le persone che dicono di ammirarmi, forse mi prendono solo in giro. L'ultima esperienza fatta, di ospitare quella ragazza (che ora si è conclusa) mi ha fatto riflettere sulla mia incapacità di dare delle regole alle persone che ospito, di essere una risorsa, un aiuto, di avere intuito sul meglio da fare, di saper prevedere le conseguenze delle mie scelte..... Quando mi sono sposata, la frase dell'alleluia che avevamo scelto era: "perseverate nell'amore fraterno, non dimenticate l'ospitalità, alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo" e questo l'abbiamo sempre messo in pratica nella nostra piccola casa, aprendo il nostro cuore al 100%...... ma non voglio essere ammirata per questo, perché è solo un piccolo aspetto della mia vita imperfetta.
Imparare a morire...... a volte mi sembra di essere più avanti di te, per quanti pochi attaccamenti ho... o forse sono solo un'illusa e sogno di essere sveglia, ma sto sprecando tante e tante potenzialità.
Rispetto alla morte da giovani, penso a Pierluigi e alla sua morte in tenera età, è un aspetto della vita che mi fa tanto soffrire, pensare che un ragazzino può morire prima della mamma, lo so che è banale, ma anche prima che mi succedesse di perdere un figlio pensavo a chi purtroppo ne aveva già fatto esperienza come a qualcosa di impossibile da accettare, mi capitava di considerare questa eventualità, ma mi dicevo che era assurdo, eppure anche mio fratello a vent'anni ha avuto un incidente con la moto, più o meno la stessa dinamica, ed è stato solo un mese all'ospedale, non si è rotto nemmeno un osso. Ringrazio perché la mia dolce mamma non ha dovuto provare quello che provo io ora, e ha visto i figli di tutti e due i suoi figli. Poi però dico anche in questo, io non ho provato dolori nell'infanzia, ma i miei figli sì. È un'ingiustizia, anche in questo l'adulto soffre meno del bambino. Quante divagazioni stupide, quante pretese che abbiamo nei confronti della vita. Sorella morte, sempre presente si propone come pare a lei, quando è il momento e noi non decidiamo nulla.
Penso a San Francesco che diceva: laudato si mi Signore per sora nostra morte corporale dalla quale nullo omo vivente può scappare...... Forse significa che è proprio lei a dare un senso alla vita, che è quello che ho trovato nei tuoi scritti. Grazie di esserci. (Paola Palladini)

Ho letto in questo capitolo (che non è da meno dai precedenti) con quale passione vi sentite legati tu e Giulia, ed è semplicemente meraviglioso poter attingere a tanta bellezza. Voi due insieme permettete al vostro entusiasmo e alle vostre emozioni di essere uno "splendido pensiero di Dio". Quello che posso augurarvi è di continuare a dimostrare la capacità di fondervi con la vostra magnifica creatività. Siete la dimostrazione che essere belli e attraenti non è il confronto con un modello da passerella ma un allenamento del corpo, costantemente nutrito dall'amore e dalla gratitudine verso l'alto. Non finirò mai di amarvi per come mi sento trasformato. (Natalino Vanni)

Un amico 87enne (purtroppo vedovo), al quale inoltro sistematicamente i suoi elaborati, mi ha risposto con il messaggio che può leggere qui sotto.

«E’ evidente che il tuo amico si diverte molto a scrivere le sue riflessioni. Anzi, ritengo che ora sia il suo modo di sentirsi vivo, altro che… imparare a morire. Sta imparando a vivere e a realizzarsi nel suo scrivere i suoi pensieri e i suoi sentimenti. Sicuramente continuerà a farlo e sarà molto felice se qualcuno vorrà condividere con lui le sue riflessioni. Che sono magari abbastanza comuni, ma proprio per questo non vengono mai rese pubbliche. Forse interessa a pochi far sapere che si può essere felici anche vivendo con una sola moglie! Una vita fatta di normalità a chi può interessare? Secondo me fai bene a continuare a ricevere i suoi scritti. Lo renderai felice. Non solo, ma potrai a volte condividere con lui le tue passate esperienze.
Mi sembra di comprendere che in realtà si tratta di un diario, non si sa bene se per sé o per altri, nel quale l’autore cerca di capire o di capirsi, magari non rendendosi conto che questi anni che gli vengono regalati sono di un’altra qualità rispetto a quelli già vissuti; qualità diversa sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista mentale. Se ci si vuole preparare a morire (o, come scrive lui: imparare a morire) magari è necessario, per chi, come lui, ha il vantaggio di godere ancora di buona salute abituarsi a quella condizione in cui il sonno sarà …eterno! E anche il resto: sogni, reminiscenze, rivisatazioni del passato, ecc. possono accettarsi in questa ottica».

Lo ho ritenuto abbastanza interessante, perché lo condividesse. (Giovanni Giavazzi)

Al di là del piacere di leggerti, non ho molto da dire. E’ una lettura interessante, piacevole, direi quasi rilassante (sarà il tuo modo di scrivere). Certamente in qualche modo incrocia pensieri e sentimenti del lettore, che si riconoscerà o paragonerà le tue sensazioni con le sue. Sono certamente dell’opinione che queste riflessioni vengano raccolte in uno scritto e diffuse più ampiamente, cioè pubblicate. (Vincenzo Pezzino)

Trovo tutto molto dolce. La grazia dello star bene insieme, anche per me, ci consente di travalicare perfino i sogni migliori. Salutami la tua rottamina... (Gualtiero Meneghelli

Leggendo quest'ultimo e rivedendo i precedenti, non può sfuggire il fatto che la strada che stai percorrendo per apprendere l'oggetto della tua ricerca, fondamentalmente coincide con l'imparare a vivere, a vivere consapevolmente, rendendosi conto e quindi apprezzando comunque ed affrontando con partecipazione attiva e consapevole il trascorrere dei giorni, l'avvicendarsi dei mutamenti sia fisici che interiori, affettivi, emozionali e razionali, quelli propri e quelli delle tante persone con le quali percorriamo fianco a fianco il nostro cammino. Tutto questo tu lo esprimi in modo semplice e profondo, allegramente e sinceramente, e così finisci per entrare diritto dentro il nostro sentire.
Mi pare di capire che imparare a vivere si può farlo solo avendo consapevolezza del proprio cammino, passato e presente, mentre lo sguardo sempre attento è rivolto in avanti per non perderci il nostro futuro che si materializza come nostro presente in un continuo divenire quotidiano, anche quando, come dici tu, a motivo dell'età raggiunta si vive di solo presente, visto che le nostre persiane non saremo più noi a ridipingerle: ma in effetti il nostro presente è pur sempre il nostro futuro che si realizza! Non penso sia un vuoto giuoco di parole, penso sia proprio così, anche se da me espresso in modo inadeguato e banale.
Io debbo confessare che solo da qualche anno, (adesso ne ho 62 di anni), mi sembra di essere più vicino alla mia consapevolezza del mio vivere, perché, a volgere indietro lo sguardo, temo che per un tempo lungo, troppo lungo, forse anziché vivere mi sono lasciato vivere, nel senso che pur godendo ed apprezzando affetti e momenti felici accanto a momenti meno 'splendidi', pur impegnandomi quotidianamente nel mio lavoro con la voglia di essere di aiuto a chi ne aveva bisogno, tuttavia non ho saputo liberare quel grado di consapevolezza della mia vita che oggi apprendo giorno dopo giorno. Accorgersi di vivere, apprezzando sempre di più la semplice ma straordinaria bellezza del quotidiano. Solo dopo è possibile procedere oltre, a dare qualità con consapevole coinvolgimento attivo proiettato verso l'unità dell'insieme  Forse il cammino giusto anche per imparare a morire...... è Imparare a vivere.
Mi domando, però se imparare a morire possa anche rappresentare un modo per sollevarmi, se non proprio essere esente, dall'inquietudine di perdere del tutto, se così sarà, la nostra identità terrena e con essa il diretto rapporto d'amore vicendevole con quanti abbiamo condiviso la nostra vita e la possibilità di viverlo nella nuova dimensione senza tempo, nell'unità con l'insieme............
A tal proposito non sono convinto del fatto che il nostro ritorno all'insieme debba necessariamente significare perdere la propria identità di singola nota, un piccolo mi bemolle di quella singola misura musicale fra le tante che compongono la sinfonia, una volta restituita al grande originario spartito della sinfonia divina, né che si dissolva il rapporto con le altre note della mia stessa battuta musicale e delle misure vicine, quel preciso rapporto di identità (mi bemolle) e di tempo (croma, semicroma, o comunque il compositore abbia voluto fosse la mia identità e durata e ruolo dopo avermi dato vita), una noticina senza la quale quella sinfonia che ovviamente la trascende non sarebbe più uguale a sè stessa, dal momento che nella stesura finale tale noticina è stata inserita.
Puerile speranza la mia, prospettata in povera ed ingenua forma, forse contraddittoria con l'idea di insieme, ma spero tu vorrai con generosa indulgenza e con la tua brillante e profonda capacità speculativa cosa pensi in proposito. (Antonio Gambelunghe)

Molto bello quel che hai scritto. In particolare mi ritrovo nella riflessione sul duale. Anche noi ormai, e da tanto tempo, siamo percepiti e ci percepiamo come coppia. Certo, meno efficiente, ma non meno coinvolta l'uno verso l'altro. Due come le gambe, gli occhi, le mani le orecchie, le braccia, le parti del cervello e quelle del cuore, che hanno imparato a interagire insieme, costituendo il nostro equilibrio vitale. Anche noi sperimentiamo la bellezza di potersi dire ciò che non si approva dell'altro senza mettere in crisi l'intesa profonda che ci sorregge e ci fa proseguire. A volte ci rendiamo conto che è complicità: comprende anche l'esigenza di perdonare le nostre inabilità e difetti, che stiamo imparando sempre di più ad accettare. Accade che i difetti più difficili da accettare siano i nostri, che richiedono la pazienza dell'altra metà del noi; pazienza a volte anche faticosa e perfino irritante, per non potere più fare come meglio vorremmo e come una volta riuscivamo a fare in levità. E qui si impara un altro tipo di passo di danza, più lento e nell'esercizio si fa una nuova piacevole scoperta dello stare insieme. Con gratitudine per la vostra confidenziale amicizia. (Sandro, insieme a Maria)

Riflettevo sulla logica delle tue parole quando scrivi: " dentro di noi c'è un nocciolo duro che costituisce l'essenza,....... e tuttavia credo che l'essenza non si lasci mai annullare". Lasciami dire che la tua vita è ispirata dall'amore  e il guscio fisico che porti dietro, ovunque, è allenato e nutrito per corrispondere allo spirito. Tu mi hai insegnato che vivere nello spirito significa vedere il proprio corpo con tutte le caratteristiche uniche e provare riconoscenza per il tempio che ospita temporaneamente la nostra "esistenza primaria". Noi veniamo dall'amore, e per essere davvero ispirati dobbiamo solo estendere quell'amore e quella gratitudine al nostro corpo. Lo stesso corpo che lasceremo per tornare ad essere spirito.
La lista che hai tirato giù, dettata dal nostro ego "insoddisfazioni, delusioni, conflitti, frustrazioni, incomunicabilità, solitudine ecc..." si cancellerà se guardando al passato, qualunque cosa abbiamo fatto o non abbiamo fatto, ci convinciamo che è finita. Non possiamo né disfarla , né rifarla. Possiamo solo decidere di analizzare il nostro passato con occhi annebbiati dai giudizi dell'ego o da un punto di vista ispirato. (Natalino Vanni)

L’argomento è affascinante e pone tanti interrogativi e riflessioni.  Imparare a morire implica anche imparare a veder morire? Potresti rispondermi che imparando l’uno si impara l’altro, ma io credo di no. Oggi sono lontana dall’uno e dall’altro, potrei forse con gli anni imparare a morire ma non a veder morire. Durante i turni di guardia interdivisionale in ospedale mi sono trovata di fronte alla morte di persone che vedevo per la prima volta, di cui non conoscevo nulla, neanche la loro storia clinica (!!), ma ho vissuto e vivo sempre la morte con turbamento. Non mi piace.
Con la morte cessa ogni rapporto con quella persona, si viene a determinare un vuoto che mai potrà essere colmato. Mia nonna materna è morta quasi 7 anni fa all’età di 86 anni, era una donna forte e fragile nello stesso tempo, rimasta vedova giovanissima e con due figlie (tutte vittime della folle guerra, mio nonno è rimasto disperso in Russia). Mia nonna era per me un riferimento, mi ha sempre incoraggiato in quello che facevo, spesso mi ritrovo a pensare che vorrei raccontarle questo o quello, che vorrei sentirla …. mia nonna mi manca. Come posso imparare a morire se quando muore una persona vivo lo strazio dell’abbandono? Se penso alla mia morte l’atteggiamento è diverso? Forse, paradossalmente potrei imparare a morire ma non a veder morire. Può darsi che con gli anni si impara, oggi ti posso certamente dire di essere lontana da ciò e non riesco a capire come potrei imparare. Sento dire dai miei che sono anziani in buona salute che vorrebbero una morte “cutta e asciutta” cioè improvvisa, possibilmente insieme, senza sofferenza per non essere di peso ai figli ma forse anche per non dover affrontare l’idea della morte. Sono felici di vivere, sanno di dare un dolore con la loro morte, come possono imparare a morire? Oggi vivo la morte sia mia che quella degli altri con strazio, con pathos e quasi con rabbia, non so se con gli anni imparerò mai a morire!!! Amo la vita e se la morte è interruzione di questa vita, anche se da cristiana vivo la speranza di un’altra forma di vita, non mi fa comunque piacere interromperla. A 17 anni sono stata lasciata dal mio primo fidanzato, mi disperavo e dicevo allora che era per me come un lutto, perché non c’era più per me. Ne ero tanto convinta che mi sono ammalata e sono stata in ospedale quasi un mese. Dopo un po’ di tempo mi sono fidanzata di nuovo con quella persona e abbiamo condiviso la vita per 6 anni ancora, poi la storia d’amore è finita, in maniera meno traumatica, ancora adesso di tanto in tanto ci vediamo da buoni amici. Col tempo ho imparato che la morte è un’altra cosa!!!
Ogni tanto Enzo fa qualche battuta alla mia vita dopo la sua morte (solo per un motivo anagrafico), io rispondo sempre che non è questione di età anagrafica e taglio corto, non ne posso parlare, il solo pensiero mi fa stare male. E penso che la cosa migliore sarebbe morire insieme. Caro Antonio se imparerai a morire, ti prego di insegnarmelo!!! (Laura Sciacca)

Interpreta i miei pensieri............ speriamo bene!!! (Ebe Montanari)

 



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