presentazione al catalogo di Antonio Porcella
Per la sua preparazione artistico-culturale, davvero notevole, Thellung lavora con un rigore esemplare; una connaturata attitudine ad una acuta osservazione ha maturato in lui un lessico figurativo con un’ampia libertà di stile.
La bravura del segno, la scrupolosa coerenza pittorica, gli eleganti virtuosismi cromatici, ci danno immagini immerse in un’atmosfera di completa piasticità e, nel tempo stesso, di incisiva espressività.
Nella sua opera non c’è limite ad un’ariosa fantasia: figure nette, circoscritte, sono spesso le uniche protagoniste di una tematica in cui la dovizia cromatica assume predominio assoluto. R ossi e blu che si scontrano (per poi armonizzarsi), temi che si sviluppano, si seguono con un ritmo incalzante, logica dinamica di forme elegantissime che estrinsecano magnificamente una loro autonomia estetica.
Da ciò nasce il fascino di un’animazione viva, che, in una eccitante strutturazione dello spazio pittorico, pur conservando il suo abbandono lirico, riesce a mantenere un colloquio con una realtà tangibile.
Stilisticamente caratterizzate, le figure femminili spesso rappresentano il clou dell’arte di Thellung; sequenze espressive ne esaltano i dati psicologici in uno stile inconfondibile. Esse si tramutano in trasognate apparizioni il cui atteggiamento ermetico avvince ed incuriosisce per i contorni sinuosi, elementi raffinati che ricordano l’art nouveau; substrato culturale che non soffoca una originale fantasia.
Le sofisticate silhouettes dalle sembianze appena accennate, si muovono ritmicamente come in un balletto, quasi collocato in un clima tra reale ed irreale al tempo stesso, ascendendo ad una moderna composizione, scevra da sovrastrutture per la essenzialità della forma, in uno stile sintetizzante, così congeniale alla natura di Thellung.
Il problema figurativo, brillantemente rìsolto, si avvale sopratutto di un giuoco cromatico elettrico, vibrante, un colore, simile a lacca, omogeneo, nutrito, riveste una pittura, apparentemente disadorna, ma che invece nasconde un lungo travaglio prima di approdare ad un risultato così efficace.
Nei «Personaggì e scacchi» una ingannevole semplicità esalta la classica disposizione del giuoco tale da farlo apparire una scacchiera vivente, ricca di suggestione per la purezza dell’impianto e la fastosità coloristica, anche se i giuochi ritmici sono sempre controllati nella loro misura figurativa e cromatica.
Nella «Follia di Don Chisciotte» in un esasperato isolamento ambientale, risalta la profonda inquietudine del Cavaliere, immerso nel suo inaccessibile mondo di sogni impossibili.
Spesso l’arte di Thellung vive un’estatica surrealtà, senza compiacenze macabre; un incontro ideale tra valori e significati che non esclude una misurata astrazione.
Il serafico «San Francesco» giganteggia in una scena di mistica bellezza dove la disposizione «racconta» gli episodi più salienti della vita del Santo (gli uccelli, il lupo), il tutto inondato di viva luce, in una perfetta simbiosi di segno e di colore. Eliminato completamente il superfluo, tutto appare come un mondo di idee pure, astratte, quale fonte primigenia di archetipi precorritori.
Di avvincente spettacolarità è il «Il Torneo» dove la millenaria tenzone si avvale di un contrasto cromatico che gioca la sua funzione psicologica pur nella studiata stilizzazione. L’inquadramento geometrico fa sì che la scena assuma grande profondità e i richiami a modelli precedenti non ne annullano gli effetti veramente notevoli.
Talvolta un leggero gusto liberty aleggia nelle opere di Thellung così apparentemente decorative. Queste figure così eguali, raddoppiate, accentuano le immagini sprigionando una sensazione musicale, ripetuta quasi all’infinito. Dinamismo pittorico, ma sopratutto emotivo, di un’arte sentita ed assimilata.
Diciamo che la compattezza del colore acceso richiama ad un atteggiamento polemico con la composizione chiaroscurale, ma il dosaggio dei contrasti esalta la singolare conoscenza dei mezzi espressivi.
Potremmo dire che il discorso pittorico di Thellung si presta a divagazioni filosofiche poiché racchiude l’ispirazione di un artista che riesce ad animare il suo mondo poetico con una sua esclusiva concezione, una sospensione metafisica che accentua una enigmatica visione del mondo e delle cose. A tal proposito, ci è gradito iniziare la rassegna di testimonianze sulla sua opera con una lirica che Rafael Alberti ha espressamente dedicato agli « Scacchi» di Thellung.
Antonio Porcella
RECENSIONI, CRITICHE, SEGNALAZIONI
Adn kronos
11 febbraio 1976
Inaugurata personale di Thettung
"Canto solo lo que veo’’: all’insegna di questo verso che rafael alberti ha scritto per lui, antonio thellung è tornato al lavoro, allestendo un’ambiziosa personale che si è inaugurata ieri sera alla galleria ‘‘ca’ d’oro’’, in via condotti.
La mostra presenta una serie di opere improntate ai diversi momenti della tematica dell’artista: dai ritratti di donna ai quali thellung ha dedicato la sua prima opera, ai recentissimi scacchi sul tema dei quali la mostra presenta anche una serie di bronzi.
La novità di questa esposizione è tuttavia nelle dimensioni dei dipinti, tra i quali spicca un ‘‘don chisciotte’’ tre metri per due che campeggia nelle sale della galleria insieme a altri 25 olii.
Completano il catalogo della personale bronzi, ispirati atte figure degli scacchi (la regina, il re, l’alfiere, la torre, il cavallo) e le serigrafie che sullo stesso tema thellung ha raccolto di recente in una cartella presentata da rafael alberti. Opere tutte in cui - sottolinea in catalogo Antonio Porcella: ‘‘il problema figurativo, brillantemente risolto, si avvale soprattu1to di un giuoco cromatico, elettrico, vibrante, in cui talvolta aleggia un leggero gusto Liberty nelle figure eguali e raddoppiate: ‘‘dinamismo pittorico — conclude il critico — ma soprattutto emotivo di un’arte sentita e assimlata’’.
LA SETTIMANA A ROMA
20/26 febbraio 1976
Antonio Thellung espone a via Condotti alla Galleria «Ca’ d’Oro» con la introduzione al bel catalogo-monografia di Antonio Porcella e di tanti illustri critici. Abbiamo già raccontato su queste pagine la qualità pit torica di Thellung che ama insistere su una fisionomia o un soggetto, fino a raddoppiarlo, triplicarlo, moltiplicarlo come in un gemellaggio all’infinito. L’anno passato Thellung ha realizzato una cartella di serigrafie, con presentazione di Gian Luigi Rondi, il cui soggetto, gli Scacchi, ha incontrato un successo straordinario. Anche perché subito dopo è arrivato a Roma Anatoli Karpov, il giovanissimo campione mondiale di scacchi, che ha notato come per la prima volta un artista figurativo avesse dato un’interpretazione grafica degli affascinanti personaggi degli scacchi. Ora, alla «Ca’ d’Oro», sono in bellissima esposizione i quadri, tra cui uno dei più straordinari è «Il Torneo» grande metri 2 x 3. Gli argomenti della ca valleria, la riproposta di un mondo scomparso, che risulta però cosi gradito, sembrano essere il tema prediletto di Thellung.
Dal telegiornale di RAIUNO delle 13,30
16 febbraio 1976
Roma, Galleria Ca' d’Oro. Le opere più recenti di Antonio Thellung pittore genovese stabilitosi da tempo nella capitale. una scrupolosa coerenza pittorica sostenuta da un’ariosa fantasia. Le figure sono nette, circoscritte, uniche protagoniste in una serie di sequenze espressive, soprattutto nella serie personaggi e scacchi.
Il Popolo
17 febbraio 1976
Le immagini di Thellung (Cà d’Oro, via Condotti, 6a) sembrano giungere dai luoghi della nostalgia: nostalgia della favola esemplare e insieme della pittura nella cromia compatta e contrastante entro lo schema riduttivo della figura. Ogni storia, nelle forme ritagliate ed araldiche, si presta al rimando dei significati, talora fin troppo scopertamente emblematici: e quindi il linguaggio pittorico asciuga e schiaccia i volumi.
Dei resto, l’insistenza sul motivo degli scacchi, indagato oltre che nella grafica anche nella resa plastica, riconduce a questo intento di trasportare la tensione esistenziale nella complicità di uno schermo tematico, nel quale lasciar rifluire ogni più inquieta allusione.
Sandra Orienti
IL SECOLO D'ITALIA
25 febbraio 1976
Altra rassegna da segnalare è quella tenuta da Antonio Thellung alla galleria «Ca’d’oro», con una intelligente introduzione di Antonio Porcella. L’artista genovese e operante a Roma ripropone, in una veste più smagliante, le sue figure plastiche, semplificate da una assolutezza cromatica e ambientate in un vuoto nullificato e inquieto. La caratteristica della sua opera, servita da una sensibilità cromatica vibrante di timbri, è caratterizzata da quelle compatte stesure di colore delimitanti le figure, che sono colte nella loro ingannevole «semplicità» e che pur ribadendo la loro assoluta disponibilità ad un ordine di impianto classico, si allineano con inquietante fissità o immobilità in uno spazio senza tempo e privato di ogni dimensione. Tutto è sospeso in un’aria metafisica, lo spazio è nullificato in una inquadratura geometrica, mentre un gusto liberty ammorbidisce le figure in una circolarità suadente e decorativa.
Luigi Tallarico
Agenzia I (informazioni per la stampa)
18 febbraio 1976
Alla Galleria Ca’ d’Oro di Via Condotti, una mostra di rilievo da visitare con attenzione: china, grafica a tiratura limitata, dipinti di piccole, medie e grandi dimensioni, sculture. Molti hanno parlato, osservando la pittura di Thellung, di ‘duplicità’ o ‘triplicità’ d’indagine. Più che altro, in conformità ad una delle ragole ferree di Thellung circa la forza del paradosso e l’avvento condizionante della relatività, qui si tratta di multipli che si sommano all’infinito oltre la tela, O di figure scarne e lontane le une dalle altre, staccate, quasi ognuna vivente in una dimensione propria, come nel quadro di San Francesco o in quello di Don Chisciotte, rifugiatosi rigidamente all’interno di una corazza senza la minima voglia di affacciarsi alla realtà di oggi. Così il colore pare divertirsi ad inventare in chiave monocromatica altri aspetti di sé, si oscura, si sfuma, si rivolta contro se stesso mentre intaglia l'immagine alle soglie di un mondo sconosciuto o, il suo contrario, troppo conosciuto. (L.M)
IL GIORNALE D'ITALIA
25/26 febbraio 1976
Personale di notevole impegno questa che Antonio Thellung (44 anni, genovese di Roma e pittore del quale, da alcuni anni, si sta occupando la critica più qualificata) tiene alla Ca' d’oro, via Condotti 6-A. Circa una trentina dì oli, di cui non pochi di vaste dimensioni, più una mezza dozzina di bronzetti e altrettante serigrafie.
La pittdra di. Thellung — poco più che bìcroma nel suo gioco essenziale di colori primari, condotto con purezza dì linea, elegante e polito, ma attento anche, e meditato — appare affollata di gente; in realtà, però, i veri personaggi sono quei due colori, il rosso e l’azzurro, sia pure moltiplicati nelle rispettive gamme, che nel primo vanno dall’incandescente all’amaranto al nero infocato della brace che sta spegnendosi, e nel secondo si susseguono dall’oltremare all’ indaco.
Colori ritagliati in sagome nette, per lo più mutuate dall’iconografia araldica (o dalle carte da poker, da ramino, da canasta, oppure dagli scacchi) e sintetizzate all’osso in un ridimensionato, inseverito Liberty che a volte pare avviarsi verso inopinati schemi mondrianeschi, specialmente quando le linee e gli angoli retti prevalgono sulle curve, come nelle impeccabili scacchiere dei fondali o nel rigoroso verticalismo delle lance — tracciate col tiralinee — dei cavalieri antiqui. I quali, assieme ai re, alle regine e agli alfieri dai volti vuoti, e alle torri e ai cavalli, costituiscono il motivo principale di questa medievaleggiante tavolozza.
Tra le sagome d’ispirazione diversa (ci sono anche un San Francesco con lupo e uccelli, un Don Chisciotte con Sancio Pancia e mulino a vento, un Salomone che rende giustizia) spiccano, profilate con particolare grazia, figure di donne dagli ampi cappelli, o avvolte in pellicce, o con serpeggianti sciarpe al collo, Hanno anch’esse il volto vuoto, ma non cieco come quello di guerrieri o delle regine; è un vuoto che evoca, invece, entro i perfétti ovali, femminilità di sguardi e sorrisi.
Sono immagini che don hanno più nulla a che fare né col Medioevo né con Mondrian. Sono di oggi e di sempre. Ciò nondimeno partecipano senza contrasti stilistici all’inconfondibile gioco di Thellung. che ne risulta ampliato, caso mai, e diremmo avvalorato tanto sul piano pittorico, per l’addolcirsi di certe rigidezze strutturali, e l'ammorbidirsi d’un certo schematismo, quanto nel contenuto, reso più attuale e pregnante da una carica vagamente esistenziale.
Quanto ai bronzetti, l'artista riprende il tema dominante della sua pittura, dalla quale, per la verità, non esce, ché le figurette praticamente sono bidimensionali, e cioè ancora pittura, seppure sagomata e rilevata in bronzo, Il che non toglie che siano gustose, nella loro scandita essenzialità, e in ogni caso più interessanti e attraenti dì tanta roba d’oggi che sì vuoi Far passare per scultura.
Bruno Morini
L'OSSERVATORE ROMANO
23/24 febbraio 1976
La «Ca’ d’oro », galleria d’arte in Roma,. è divenuta, in uno spazio di tempo relativamente breve, un centro significativo e di rilievo di quella che potremmo definire la via parallela di una certa cultura alternativa alla sperimentazione della cultura ufficiale italiana dai credi post ottocenteschi ed ammaliata come è dalla così detta analisi sociologica dimostrativa e storico materialista. Strumenti quelli di cui sopra ottimi, in alcuni casi, d’interpretazione ed alquanto certi ma limitati e distanti dalla più veritiera, perché globale riflessione, sull’ esperienza estetica che concede malto poco, di per sé, al lieto divagare letterario sugli aspetti parziali del fatto artistico.
Accade infatti che le parole sull’arte e l’analisi dello sperimentalismo dimostrativo conducano, ai nostri giorni, a due fatti assolutamente inutili: l’uno che è nell’omogeneizzazione di tutti i fatti artistici che, come i gatti di sera, finiscono per diventare tutti bigi, e l’altro che ci si culli nell’illusione di fare del lavoro culturale di una qualche valida originalità mentre, in effetti, quel che si fa è di creare, all’assenza di quello, un alibi artificioso tautologico e ripetitivo. Alibi reso facile dal meccanicismo della metodologia analitica che ripropone su scala, a differenti livelli, modelli via via decrescenti di quel che l’artista dice, afferma o visualizza.
Estetica senza scampo che si risolve in un penoso autismo a cui si contrappone, segnatamente nell’ ambito cattolico, una estetica che reintroduce il metro di un giudizio come modello di riferimento al di là, anche logicamente, dal sistema degli oggetti con potenziale estetico (in senso etimologico) e questo affinché si possa nuovamente significare di un giudizio sul parametro dell’autorità decrescente dei valori in campo.
Discorso lungo e scabroso che è da tenersi, parimenti per ogni sistema comunque interreagente con gli altri dell’attività umana ad evitare il disordine organizzato dei sottosistemi nella società quali parrebbe fosse nell’aspettativa dei fautori oltranzisti della «comodità» e del disimpegno camuffato, spesso in perfetta buona fede, confusi come sono, al punto di ritenere quella comodità sinonimo di libertà civile.
La «Ca’ d’oro», sebbene con i limiti propri di una pur prestigiosa galleria, opera le sue scelte, che sono alternative alla omogeneità sperimentalista, calando sul terreno della prassi del mercato dell’arte la diversa contraddistinta impostazione culturale alla Sedlmayr ed al recupero del centro del suo animatore dottor Porcella.
In tale quadro sì officia la presenza di Antonio Thellung nella galleria romana costituendo fatto di poetica e, per l’artista ligure, l’approdo al momento più prestigioso. V’è da dire subito che, in questa sede, Thellung espone, non singoli pezzi seletti, a costituire una mostra di quadri e bronzi, ma un sistema organico e calibrato di oggetti con significati precisi che han ragione d’esser tali in quanto interfunzionali tra loro come in un castello di carte di cui è irreversibile la costruzione pena, per sottrazione delle singole lame, la caduta disordinata del tutto.
Thellung, così operando, ha ricondotto alla unitarietà il discorso artistico per quel che gli compete che, fatto di singoli addendi esteticamente rilevabili, varca la soglia del significato solo quando quelli vengono finalizzati nel linguaggio e non banalmente assemblati tra loro.
Un dato, quindi, da non omettere ad una visita alla Ca’ d’oro e che si dimostra fruttuoso quando al caso si giunga a sentire come il ciclo delle grandi tele a soggetto di richiamo cavalleresco e medievale di Thellung, non abbiano a partecipare di alcuna nostalgica memoria romantica alla misura preraffaellita ma, semmai, si avvalgano incidentalmente di una figurazione di pretesto che, tuttalpiù, può apparire d’omaggio ad una epoca che, parimenti a Thellung, intendeva t’intrinseca verità delle cose fuori del tempo, ben tenendo presente essere l’uomo nel tempo che a quella verità si misura, per dare al proprio svolgersi temporale, significato e meta.
Meta che nel ciclo cavalleresco di Thellung assume il valore di una proposta come attuale ipotesi di comunità, e questo benché Thellung non faccia, di quel mondo intravisto, una oasi di idilliaca felicità e neppure omette il lato severo di giustizia che paga la colpa con la figura minacciosa del «Boia» (così in una sua tela) invero molto distante dal messaggio cristiano che Thellung, con ampio e partecipato rilievo (la tela di S. Francesco ed il lupo), mostra di voler sottolineare.
Da notare, infine, per i rilievi critici che attengono alla struttura formale, che l’artista ligure intende la serialità nella singola opera e nel concerto dell’intero ciclo, evidenziando visivamente un tabulato di ridondanze semantiche in cui interviene, frangendo l’onda seriale con accadimenti innovativi. Pittura, quindi, che regge al confronto con un proprio modello autonomo di riferimento logico e che non necessita di una lettura letteraria del quadro, avvalendosi di una punteggiatura astratta, se per astratto intendiamo quel che è prima di divenire e non il contrario.
Novità da segnalare al collezionista è la riproposta dei sei personaggi degli scacchi nella loro più plastica trasposizione in bronzo, altrettanto convincenti di quanto non fosse l’ormai rara e celebre cartella di serigrafie presentata a suo tempo da Gian Luigi Rondi.
Gian Luigi Biagioni Gazzoli
Momento sera
25/26 febbraio 1976
Antonio Thellung è un artista abbastanza inclassificabile malgrado l’interesse per l’Art Nouveau, per certi stilemi tipici dell’Art Déco ed una scoperta predilezione per Matisse: soprattutto l’ultimo Matisse della Cappella di Vence e dei «papiers découpes». Una indipendenza ed una originalità che con i tempi che corrono mi pare siano già una patente di merito. Lo ritroviamo ora alla Ca’ d’Oro con una mostra di serio impegno che costituisce un grosso passo avanti rispetto alla precedente produzione accentrata, di preferenza, su figure femminili garbatamente decorative. Thellung sembra aver trovato la propria strada in questi dipinti di grandi dimensioni ispirati a temi storici. Un mondo araldico, quasi rivisto attraverso lo spirito dell’antica Cavalleria feudale: il «chiuso parlare» ermetico e di una eleganza formale non priva di artificio, che dalle leggiadre corti provenzali si propagò in tutta l’Italia. Una pittura che si configura come chanson de geste, gran fregio, aulico decor, ben ritmate-scene di massa. Pochi colori molto vivi ma accortamente modulati; figure stilizzate e pianificate dalle divise; prospettiva piatta; composizione a tessitura fino al gusto dell’iterazione; assenza di lirismo soggettivo in favore di un’epica impersonalità. La storia, dunque, trasformata in un gioco di forze, in colossale torneo, combattuto da cavalieri, rossi, blu, neri, tutti fieri a lancia in resta. Per fortuna, la musa di Thellung non ispira solo «celesti ardori» ma anche una amara ironia. Troppi eroi eguali e troppe guerre e crociate tutte identiche. Due soli personaggi emergono: un San Francesco in verità un po’ manierato (è evidente il richiamo al San Domenico di Matisse della Cappella del Rosario a Vence) e Don Chisciotte: un personaggio nel quale, evidentemente, Thellung si identifica.
Lorenza Trucchi
DAILY AMERICAN
february 26 1976
Meanwhile the atmosphere at the Ca’ D’Oro, 6-a Via Condotti, is stiffly medieval in the exhibit there of Antonio Thellung’s paintings. This artist, you may recail, created a portfolio of prints inspired by chess - pieces and théir board. The portfolio is displayed, but the new oil paintings in the same style have expanded to fresco - size.
Thellùng plots his figures and compositions as though making moves in the game, stylized and featureless as heraldic symbols. One move leads to another in a precise rhythm.
John Hart
IL GIORNALE DI ROMA
7 MARZO 1976
Antonio Thellung — CA' d'Oro. Nel discorso metafisico di Theliung giocano le suggestioni del mondo cinematografico, dai «Cavalieri teutoni» a «Lancilot du lac». Il mondo è quello, ferrigno e immanente, coi contrasti netti, i colori sottolineano i grandi sentimenti romantici del ‘Medio Evo. La spettacolarità espressiva di Thellung deriva appunto da questi contrasti, da questo inserire nel nostro tempo gli inquietanti simboli di una realtà storica, ancora viva, ancora alonata di leggenda, ancora « antiuomo».
MOMENTO SERA
27/28 marzo
Ancora un po’ in galleria
L’abitudine che resisteva fino a qualche anno fa dei «quattro passi prima di cena» con sosta in uno dei bar frequentati da una certa cerchia di amici ha ceduto ad altre abitudini nuove dell’ ambiente intellettuale. Per esempio: trattenersi per una mezz’ora o un’ora in una galleria d’arte, non in occasione del «vernissage» ma in un altro giorno, per poter osservare le opere con comodo, magari per discutere sulle recensioni critiche che sono state già pubblicate. Una delle gallerie del «trattenimento prima di cena» è «La Ca’ d’Oro» in via Condotti. L’altra sera c’era un gruppo di letterati ed artisti a vedere le opere più recenti di Antonio Thellung. I visitatori percorrendo il lungo corridoio spalleggiato sulla destra da una vetrina in cui alcuni piccoli quadri rappresentano la nota introduttiva dell’attuale ricerca artistica del pittore, entravano nell’ampia sala dove si fronteggiano «La giustizia di Salomone», «La follia di Don Chisciotte», «Il torneo» e «Gli scacchi». Con Thellung si parla oltre che di pittura anche di poesia, di filosofia e di fisica perchè molteplici sono i suoi interessi culturali. C’erano a far visita a Thellurg: Giuseppe Selvaggi, Dario Micacchi, Giorgio Di Genova, Donati D’Oria, Frankfurter, Mayo, Vacchi, l’arch. Boccianti.
STUDI ROMANI
marzo 1976
Alla «Ca' d'Oro» A. Thellung ci ha riproposto i suoi inchiostri emblematici anche sotto forma di sculture rigorose ed eleganti a un tempo.
Marcello Camilucci
La giustizia
8 aprile 1976
Antonio Thellung:
intensità di significazioni nell'espressivo stilismo formale
La vasta rassegna riguardante la recente produzione di Antonio Thellung. ordinata presso la Galleria «Cà d’Oro» torna a presentare, sotto aspetti di continuo rinnovarsi malgrado l’apparente uniformità della linea fisionomica i valori di un discorso pittorico contenuti in un ordine di ricerca espressiva il quale rinviene i suoi lati maggiormente caratterizzanti e i suoi elementi di più intensa suggestione nell’insistente ricorrere di una ripetitiva serialità di immagini alla quale da sempre si attengono dell’artista gli intendimenti di resa e le significanti determinazioni.
Un replicare costante, puntualmente preordinato e condotto attraverso l’analogico susseguirsi di coordinate cadenze morfologiche che, tuttavia, mai ingenerano monotonia di definizioni o omogeneità di ricorsi per il variare, da quadro a quadro, delle motivazioni ideative come per il sempre diverso concordare di esse e per il loro ritmato disporsi in ritorni compositivi i quali si combinano in un serrato ermetismo di forme che delle opere comprende le accettive implicazioni e le visuali proposte.
Ovunque un estremo rigore di sintesi presiede all’esatto intagliare le figure nella linearità dei semplificati contorni al riassumerne il lineamento disegnativo sino a farne sagome entro cui s’impaginano campiture di unitari colori, di toni uniformi distesi in terse superfici che si stampano come un gioco mutevole di policromi intarsi.
E in essi il fermo, sorvegliato stilismo delle figurazioni simili a stagliati emblemi araldici precisantisi nel compiuto contesto del montaggio compositivo dei dipinti evidenzia quel senso di chiuso enigma ch’è in ogni valenza e in ogni coniugazione, che si riscontra nel severo ermetismo dei volti impenetrabili privi di lineamenti, nelle positure scandite in simbolica immobilità . nelle impeccabili simmetrie onde le componenti dei quadri si distinguono secondo un coreografico ordinarsi delle luci e delle ombre, delle linee e degli spazi, delle forme e delle proiezioni immote o che in varia guisa s’intersecano in un incrocio di riflessi.
Le stesure cromatiche. specchianti di rossi. di verdi. di blu accostati ad incastro talvolta si velano di patine antiche, diversificamene s’imbrunano specie quando la scena assume aspetti corali dovuti al moltiplicarsi delle stilizzazioni. al differente dislocarsi delle sagomature.
Nell’assieme troviamo che Thellung vada conseguendo una sempre più coesiva armonizzazione delle risultanti coloristiche ed una sempre maggiore essenzialità dei nessi disegnativi: il che conferisce alle sue pitture una nota di controllata completezza che ne accresce la distinzione e ne eleva la classe.
Egualmente pregevoli risultano i bronzi raffiguranti i «pezzi» degli Scacchi: tema di recente trattato dall’artista in una sua cartella serigrafica. Anche qui le plastiche scansioni di piani spaziati in organica sintesi e i profili delle riassunte geometrie sono i determinanti fattori di un discorso che reca integri dell’artista le personalissime peculiarità e i significativi caratteri.
Infatti perfetta è la rispondenza fra le spiccate proprietà della pratica pittorica e quelle altrettanto scelte della scultura, in quanto sia l’una sia l’altra condotta reca insiti i segni di ciò che pienamente risponde alle esigenze di un’alta qualificazione.
Tutto quanto rilevato ci porta a riconoscere e a segnalare il notevole progresso conseguito da Antonio Thellung nella sua ricerca attentamente esperita e in senso estetico e nell’ordine della invenzione e dello stile, e ci induce a ravvisare nel suo lavoro la accertata validità di ulteriori, interessanti aperture.
Vittorio Scorza
CARTE SEGRETE
gennaio/marzo 1976
Interrogativi e risposte nella pittura di Thellung
I «personaggi » di Thellung — cavalieri, re, regine, guerrieri, figure femminili, San Francesco o Don Chisciotte — si presentano alla nostra attenzione spogli di ogni elemento naturalistico. Sono anzi «sagome» stilizzate che di fisico hanno solo la struttura e, meglio ancora, il contorno disegnato con estremo rigore. In un certo qual modo campeggiano su grandi spazi in un’atmosfera «anonima». Non è casuale infatti che i loro volti non hanno un minimo accenno a riferimenti caratterologici. In questa voluta piattezza, senza bocca e senza occhi, si impongono tuttavia per una significazione che sta al di là del semplice fatto rappresentato. Vivono quindi per così dire in un clima astratto, nell’ambito di quella «irrealtà» che annulla la presenza fisica o qualsiasi addentellato d’ordine fenomenico.
Eppure i «personaggi» di Thellung sembrano guardare oltre i limiti territoriali, rivolti forse ad una contemplazione di un «infinito inafferrabile». Hanno qualcosa delle statue greche che, senza occhi, danno la sensazione di immergersi nell’assoluto e di annullarsi in esso, pur essendo armoniosamente costruite. Vivono quindi di vita autonoma, staccati dalle cose del mondo o indifferenti agli eventi della terra.
In questa «proiezione» trascendentale di una realtà materiale che si smaterializza, l’artista si colloca in una sua «metafisica», ove le idee giuocano un ruolo primario rispetto ai fatti. Il «racconto» è solo un pretesto per un discorso che si svolge e si articola in una dimensione atemporale. Tutto allora può diventare simbolo o, se si vuole, segno iconico di un’immagine che di per sé non muta mai e in questa «imperturbabilità» si identifica con l’essere parmenideo, che è uno ed immutabile, pur essendo in apparenza le cose e gli avvenimenti quanto mai diversi.
Thellung architetta le sue a «figurazioni» come in un giuoco araldico, accordando per contrasti i rossi con gli azzurri, i neri con i bruni, i gialli con i viola, e di riflesso «silhouettes» di donne e di uomini in uno spazio impalpabile che non ha soluzione di continuità. In uno spazio che per l’appunto rispecchia il senso del mistero e dove i silenzi preludono a più profondi colloqui.
E’ evidente che l’artista compie un’operazione di scavo fino alle estreme conseguenze, scarnificando l’aspetto esteriore di ogni rappresentazione e tutto riducendo ad un chiaro equilibrio costitutivo di linee, punti, figure in una sorta di «concordia discors». Ma non è forse prerogativa dei poeti, come affermavano i pitagorici, quella di «perseguire proporzioni del tutto ideali, per cui non raccontano mai cose accadute, ma soltanto fantastiche, in modo da far conoscere per immagini la vita, facendo parlare tra di loro anche gli animali muti»? (Alcmeone, frammento 2).
Ad un simile approdo ci sembra che giunga Thellung, per un verso attualizzando la lezione di Pier della Francesca con il rendere astratto ciò che è visibilmente concreto, dall’altro riproponendo lo «stilismo» sognante e floreale della secessione del1’«Art Nouveau». Ma la sua originalità è soprattutto nell’esigenza di dominare le passioni fugaci, facendo suo giorno per giorno, opera per opera il principio tanto caro a Georges Braque dell’artista che «ama la regola che corregge l’emozione».
Il risultato è una serie di dipinti (e serigrafie) particolarmente impegnativi, che implicano a monte tutto un processo di meditazione selettiva. Lo stesso accade nell’ambito della scultura, ove re e regine sono modellati per piani, in sagome strutturali.
I tornei che vedono antichi guerrieri cavalcare elegantemente o scontrarsi in nobili contese diventano il «campo operativo» di un artista che si libera dai fatti contingenti, per esaltare tradizioni e valori in uno spettacolo che non appartiene più alla cronaca, ma alla «storia interiore» dell’uomo. Egualmente le sequenze di S. Francesco e il lupo o all’opposto la follia di Don Chisciotte vogliono soprattutto esprimere il senso della solitudine dell’uomo che ha trasferito se stesso in un mondo di sogni. In questo clima umiltà e superbia si annullano, per offrirci soltanto l’essenza dell’io solo dinanzi al cosmo.
E le figure femminili che sottintendono il richiamo nostalgico al «paradiso perduto» della Belle Epoque non vogliono stimolarci ad un ritorno al passato, ma al contrario invogliarci a penetrare nel mistero che, come suggeriscono i pensatori esistenzialisti, ci circonda sin dal momento in cui cominciamo a respirare. Le variazioni sul «Giuoco di scacchi» di Thellung sono a tal proposito un invito a decifrare l'enigma dell'Universo, davanti al quale tanti interrogativi restano sempre senza risposta.
Franco Miele