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Omelie di Giuseppe Lombardi Vallauri s.j.

Alla fondazione e conferma della Comunità del Mattino

 

 

Dopo tre anni di preparazione e altri tre anni di convivenza sperimentale, il 12 febbraio 1983 la fondazione della Comunità del Mattino viene resa pubblica in una grande celebrazione presieduta da Giuseppe Lombardi s.j. Concelebrano don Nicola Battarelli, don Carlo Molari, don Carmelo Nigro, don Francesco Tarò.

 

IL TEMPO DELLO SPIRITO      omelia di Giuseppe Lombardi s.j.

Ci fu un tempo in cui Dio stava molto bene in cielo: per far star bene anche gli uomini si scelse un popolo al quale affido il suo messaggio da diffondere sulla terra. Anche se "eletto" era un popolo rozzo, per cui Dio dovette parlargli attraverso i comandi di una legge: gli ordino di essere un servo fedele. Ma il popolo disobbedì, e la storia della fedeltà di Dio si rovescio nella storia delle infedeltà degli uomini. Dio allora decise di scendere lui stesso sulla terra per compiere e superare il codice morale: mandò la persona del Figlio Salvatore. Fattosi carne d'uomo il Figlio camminò accanto agli uomini; uno per uno li chiamò amici e non più servi; al comando preferiva l'invito, pero con questo chiedeva una sequela totale e incondizionata. Ci fu chi rispose e chi declinò.

Anche se incarnato, Dio era pero rimasto ancora esterno agli uomini. In lui, unico maestro, i discepoli-apostoli avevano dovuto comunque alienarsi, perdendo se stessi nel suo nome. Per questo decise di ritirarsi dalle evidenze degli uomini e dalle loro deleghe. Finì il suo cammino di uomo sulla croce, e con l'ascensione se ne andò, restituendo ai discepoli-apostoli quanto gli avevano consegnato, cioè la loro sequela totale e incondizionata. Al posto di "seguitemi" ingiunse loro "andate": li costituì responsabili di se stessi. Promise loro il dono del suo segreto, il suo stesso Spirito. Si affermò realmente presente nella diafania del pane di vita e nello spessore del fratello indigente, due presenze altrettanto impenetrabili e inevidenti. Finalmente raccomandò loro di non fare da soli, ma di mettere in comune i doni originali di ciascuno, di vivere e testimoniare una vita di comunità.

Cosi gli apostoli-discepoli rientrarono in se stessi, e nel vuoto lasciato dall'Asceso, fattosi spazio accogliente, poté scendere e abitare l’ospite della pentecoste: lo Spirito Santo. Privati dalla presenza del Signore-Maestro esterno, poterono aprirsi al Signore-Maestro interiore. E nacquero le comunità descritte negli Atti degli Apostoli, legate ai carismi originali e personali degli apostoli fondatori. Nacque la Chiesa come terzo tempo, tempo definitivo, tempo dello Spirito.

Oggi noi siamo nel tempo dello Spirito, e da questo tempo non si torna indietro: la storia della salvezza segue un movimento irreversibile. Non possiamo essere come dei nostalgici che si voltano continuamente indietro per verificare se le scelte da farsi saranno coerenti con uno schema già tracciato. Il modello posto da Cristo é tutto rivolto verso il futuro. La volontà di Dio non é il fondo di cartone di una scatola di puzzle, che noi dobbiamo guardare continuamente per verificare la correttezza delle nostre scelte di vita. Questo puzzle non esiste: il tempo dello Spirito sta a indicare che da "i comandi della legge" (puzzle) si è passati al "seguimi", per giungere all' "andate" e create voi un vostro cammino, un cammino aperto sul futuro. L'inizio della Chiesa non è stato monarchico e omogeneo, è stato invece pluralistico: un insieme di comunità fondate da diversi carismatici, da diversi apostoli, ognuno con una propria personalità. C'era la comunità di Pietro, le varie comunità di Paolo, le comunità di Giovanni, tutte comunità distinte fra loro, ma con un'identità unica: Cristo. E Cristo ha detto "andate", e l'ha detto al plurale.

La Chiesa primitiva é stata una confederazione di comunità che per certi aspetti si riferivano a Gerusalemme, alla comunità di Pietro, mentre per altri aspetti si riferivano al pluralismo peregrinante e in diaspora di Paolo. Noi invece, per secoli, siamo stati sotto il giogo di una preoccupazione-ossessione: l'unità, intesa come sguardo rivolto al passato per fidarsi di un'unica sperimentazione, garantita da criteri proposti come oggettivi. E, per fare riferimento ai modelli sacramentali, si può dire che abbiamo posto eccessiva attenzione sul battesimo, che é il sacramento dell'unita, a scapito della cresima che, in senso analogico, sottolinea la pluralità. Oggi questo tempo é passato e, ripeto, non si terna indietro. Il tempo delle Spirito è tempo di pluralità, di invenzione, di scoperta, di creatività. E' il tempo dei carismi.

Nel capitolo 12 della prima lettera ai Corinzi troviamo quello che si può definire il proclama delle comunità: un solo corpo, l'unità, però con la pluralità dei carismi. San Paolo batte molto sull'uno e sui molti; noi invece, per secoli, abbiamo battuto molto più sull'uno che sui molti. L'eresia, lo sappiamo bene, é una verità parziale: è eretico dire che c'è solo unita, come è eretico dire che c'è solo pluralità. Sbaglia chi punta sull'unità come se fosse un valore assoluto, e sbaglia chi punta sulla pluralità senza confronti e sulla libertà di sperimentazione senza un preciso punto di riferimento. Per ritrovare l'equilibrio dobbiamo perciò colmare la carenza del pluralismo, dell'invenzione, della sperimentazione. Troppo spesso è stato negato spazio a Paolo, considerato talvolta come l'inizio del rischio protestante. Paolo è nella Chiesa cattolica tanto quante Pietro. La cresima è nella Chiesa cattolica tante quanto il battesimo. Questo è tempo di testimoni, di sperimentatori, di creatori di novità; che si fondano sulla roccia di Pietro, dalla quale però partono tantissimi ruscelli che vanno verso il mare di Dio.

La Comunità del Mattino s'inserisce in questa prospettiva del tempo delle Spirito. Sono molto liete di aver seguito, fin quasi dall'inizio, il cammino di fede di questa Comunità, perché vedo il futuro della Chiesa in questo tipe di sperimentazione, in questa crescente pluralità, in questo decentramento delle esperienze e delle responsabilità.

Se si dovesse scrivere in contrappunto una storia negativa della Chiesa, suggerirei il titolo: "psicoanalisi di una paura", quella paura, quella eccessiva prudenza che blocca la creatività. "E' meglio che le persone non si avventurino su strade diverse, non sperimentino, non pensino, non siano responsabili, perché possono fare delle sciocchezze". Ma io mi chiedo: é veramente meglio per un individuo restare al centro di una radura calpestata dagli altri e delimitata dal filo spinato, anziché spingersi oltre, nell'eventuale giungla? La prudenza dice: tu sei nella radura, sei al sicuro, non tentare di toccare il filo spinato, forse c'é corrente ad alta tensione, potresti ferirti. E poi che cosa c'é al di la per cui valga la pena di rischiare? Nella giungla ci sono le belve feroci, la malaria, e tante altre insidie e difficoltà. Resta nella radura che abbiamo calpestato anche per te.

Questo e un modo sbagliato di puntare sull'unità. E' proporre un modello basato su qualcuno che pensa per altri, sulla delega delle responsabilità. Ma non possiamo rimanere come bambini al centro di una radura garantita con le garitte e le sentinelle. Che senso avrebbe considerare il popolo di Dio come eterni bambini, guidati da alcuni pastori con in mano le verghe per tenerli in fila incolonnati? Vanno bene "i comandi della legge" e ancor meglio "seguimi", però ora "andate" e siate voi i responsabili, sperimentate, create valori, rispondete voi di voi stessi e delle vostre azioni: non esiste più possibilità di delega. Perciò pur rivolgendo la massima attenzione agli insegnamenti della tradizione, dobbiamo creare senza paura di essere diversi gli uni dagli altri. La fedeltà è posta, la fiducia è posta, ma su questi punti fermi si deve sperimentare, si deve esplorare.

La Comunità del Mattino ha avuto questo carisma: l'ho vista, si può dire settimana per settimana, ricreare al presente gli elementi d'identità delle comunità cristiane primitive. È, a mia conoscenza, l'esperienza pratica più simile al modello ideale della comunità cristiana degli Atti degli Apostoli, le cui caratteristiche si possono sintetizzare in sette punti d'identita:

l) - la profonda coinonia di cuore: un cuore solo e un'anima sola;
2) - l'elemento visibile: mettevano tutto in comune;
3) - il rapporto con il mistero: pregavano;
4) - l'attenzione alla Parola: fedeli all'insegnamento degli apostoli;
5) - spezzavano il pane:l'eucarestia;
6) - rendevano testimonianza al risorto: l'evangelizzazione;
7) - davano a ciascuno secondo il suo bisogno: l'aiuto ai fratelli.

Ecco l'aspetto-carisma tipico della Comunità del Mattino: ha riprodotto questi sette punti, non copiandoli dal modello degli Atti, ma quasi ricreandoli come esigenza propria. Questi nostri amici, in base all'unita che si era stabilita tra loro, hanno sentito l'esigenza di un segno visibile, e hanno messo in comune il tetto, i soldi e tutto il resto. Hanno scoperto che era importante pregare insieme ogni giorno, che era importante riscoprire meglio la Parola di Dio, che era importante spezzare il pane dell'eucarestia, e cosi hanno cercato, a volte con fatica, dei celebranti. Poi c'e stato il momento in cui, sempre dal loro interno, hanno sentito che non era possibile tenersi per sé la buona novella, e quindi ecco l'evangelizzazione attraverso scritti, incontri, catechismo in parrocchia, e commenti alla radio sulle letture della domenica.

Ma l'evangelizzazione non basta, perché tutto questo deve portare a far soffrire memo la gente, allora ecco il volontariato negli ospedali. Punto per punto, questo volontariato, quest'evangelizzazione, questo celebrare insieme, questo vivere sotto lo stesso tetto, sono il modello della comunità degli Atti, anche se a qualche secolo di distanza e con caratteristiche autonome e diverse. Io credo che la vitalità della Chiesa sia legata sempre più a questo tipo di sperimentazione comunitaria e domestica.

Bisogna che si passi dalla psicoanalisi della paura a una storia della speranza e della fiducia, una storia che riconosca di più la reale presenza creativa dello Spirito Santo in ogni credente, e dia più spazio a questa creatività. Che diritto abbiamo di non aver fiducia nello Spirito presente in tutti, o, se si vuole, di avere fiducia solo nello Spirito presente in alcuni? E come dai frutti si vede la bontà dell'albero, così é possibile riconoscere quando le Spirito opera in modo visibile. L'Apocalisse dice che non vi sarà più notte, né vi sarà più bisogno di luce e di sole, perché la Stella del Mattino brillerà in noi; non vi sarà più bisogno d'insegnamenti esterni, perché le Spirito opererà dentro ciascuno.

Chiedo la grazia per la Comunità del Mattino, affinché prenda molto sul serio questa responsabilità di essere parte creativa della Chiesa odierna e del futuro. Chiedo la grazia che nella Chiesa si sviluppi sempre più un'inventiva capace di scoprire nuove medicine per curare le ferite dell'umanità; capace di scoprire nuovi modelli di comunità che, superando la solitudine dell'individualismo e l'annacquamento della massa, possano far crescere un popolo di Dio fatto di persone coscienti e libere, ma unite fra loro in piccole comunità di fede. E riconoscendosi nell'unico Padre, spezzino l'unica parola, mangino l'unico pane, credano nell'unico risorto, ma fondino tra loro, in diversi modi creativi, tutti complementari, i nuovi gesti sananti per un'umanità che, mai come oggi, ha bisogno di ricevere suture alle ferite con nuovi unguenti, nuovo calore, nuove forme di affetto, stima, fiducia, disponibilità.

Chiede la grazia che si creda di più nella presenza dello Spirito Santo, nella possibilità di fare delle scelte costruttive, anche se diverse fra loro, muovendosi in un cammino di comunione ecclesiale che, nella pluralità, sappia rendere presente il futuro nel definitivo umano, che diventa eterno di Dio, il Cristo Salvatore.

 

Tre anni dopo, in una grande concelebrazione pubblica la notte di Pentecoste 1986, vengono confermati gli impegni comunitari di tutti gli appartenenti alla Comunità del Mattino. Presiede Giuseppe Lombardi s.j. Concelebrano don Antonio Aguilera, don Antonio Bordonali, don Oscar Calsing, don Francisco (Chico) Dilly, don Carlo Molari.

 

IL VENTO SOFFIA DOVE VUOLE ....       omelia di Giuseppe Lombardi s.j.

Nell'estate scorsa ho fatto un'esperienza che potrei riferire all'ultimo paragrafo del libro: "Cent’anni di solitudine" di Gabriel Garcia Marquez. Un paragrafo nel quale Aureliano Buendia, personaggio di questo romanzo che ha cercato di capire il segreto di tutta la storia, finalmente giunge al momento in cui le pergamene glielo rivelano, ma lo svelamento è che tutte finisce. Per cui, dopo aver cercato per tutta la vita, legge finalmente con avidità il segreto che cercava, e questo segreto gli si scioglie fra le mani mentre si svela. Perché il segreto e proprio che tutto sarebbe finito quando lui lo avesse capito. Per così dire: egli muore quando comincia a vivere.

La mia esperienza di questa estate, a cui mi riferisco, rimane la mia esperienza più importante di quest'anno che si sta compiendo. Da un po' di tempo mi sentivo presente a quello che facevo: sentivo che era nelle mie mani, ma allo stesso tempo c'era una zona di penombra tra me e tutto questo, un po' come se io fossi in una stanza dove sapevo che c'era tutto quello di cui io vivo, ma la luce era scarsa. E io stavo cercando questa luce, per vedere meglio quello che mi circondava nella stanza della mia vita. Durante un'omelia di quest'estate ho avuto una specie di consapevolezza verticale, di illuminazione, ma e successo un po' come per Aureliano Buendia, e cioè che nell'istante stesso in cui ho capito, o per meglio dire, quando la luce si e fatta chiara, nella stanza non c'era più nulla. Curiosamente ho vissuto quell'ultimo periodo della mia vita circondato da tanti mondi, da tante esperienze, che sentivo presenti ma in penombra. Ho cercato di capire, la luce si e accesa, e non c’era più niente. Se dovessi in qualche modo racchiudere in una frase questa mia esperienza fondamentale potrei dire: ero con loro, con i partecipanti di questo mio mondo, e non capivo bene; a un certo punto ho capito ma loro non c’erano più.

L'esperienza che sto cercando di comunicarvi e che io sento in un modo irreversibile che il mio mondo di questi anni è finito e non tornerà mai più, e io mi ritrovo nel luogo dove ho capito questo, ma non c'è più quello che cercavo di capire. Mi ritrovo, per cosi dire, senza più nulla e senza sapere dove andrò a finire (pur continuando a vivere secondo quello che ho fatto finora). Si può dire che non e cambiato nulla nella mia vita, se non che dentro di me un meccanismo curioso ha cambiato tutto, e io vivo in una situazione di spossessamento totale: non ho niente se non il fatto che ho capito questo.

Quello che cerco di partecipare a voi stasera é quasi un mio testamento spirituale. Non ho metastasi avanzate, non prevedo di venire meno in breve tempo, però interiormente è come se fosse cosi, e sono contento di condividere con voi questa specie di testamento che in qualche modo esprime il tipo di cammino di fede, di cammino di Chiesa, che la mia vita mi ha portato a percorrere, scegliendo io di percorrerlo a mano a mano che si presentava cosi.

Lo schema che avete davanti riproduce esattamente il tracciato della mia riflessone. Nelschema dell'omelia momento esatto in cui mi è stato chiesto l'intervento di stasera, mesi fa, ho visto questo schema. Non ho visto nient'altro e mi sono disciplinato per non elaborare niente più di così. Evidentemente nel mio istinto profondo, non ancora coscientizzato, io so a che cosa corrisponde ognuno di questi punti, e cercherò anche di dare a ognuno di loro un nome. Come vedete sono collegati fra loro: il primo punto é quello in cima, il secondo è quello della riga mediana a sinistra, poi viene quello di centro, quello di destra e per ultimo quello giù in fondo. Il quadro esterno sta a indicare che tutto é collegato. La linea orizzontale collega i tre, ma non ho fatto una linea verticale perché in qualche modo sentivo che avrebbe diviso quello che non andava diviso. Quindi é esattamente, per così dire, la fotografia del mio pensiero.

Il primo punto é quello che mi ha suggerito di chiedere una pagina bianca e delle penne per chi di voi volesse scrivere, perché fa parte del primo punto dire che l'omelia importante di stasera ognuno la fa a se stesso. Come credo che tutte le omelie importanti nella vita di una persona sono quelle che ciascuno fa a se stesso, utilizzando il materiale di altri, le ricerche, i contributi di altri, ma senza affidarvisi supinamente. Il prmo punto che cerco di comunicarvi potrebbe anche intitolarsi: ognuno. Ormai io sento e credo che in base a sforzi e travagli di secoli e di generazioni, ognuno di noi oggi é chiamato dalla vita, dall'umanità, dallo stesso Dio, a sentirsi totalmente responsabile della sua persona, delle sue scelte, della sua esistenza, e a sentirsene responsabile in modo totale. Non mi interessa assolutamente più quel tipico discorso di Chiesa basato sugli stati di vita, dei preti, delle suore, dei laici, cioè quell'impostazione che stabilisce nella Chiesa ruoli diversi e compiti diversi, per cui chi fa l'apostolato attivo può presupporre che c'é la suora di clausura che prega anche per lui, e la suora di clausura che presuppone, per completare il senso della sua vita, che c'è qualcun'altro a fare qualcosa di operativo nel mondo anche per lei. Non contesto questo modello di Chiesa, dico semplicemente che non mi interessa più. Il mio unico interesse e la mia unica fede é che ogni essere umano è un sistema totale di vita, e una cultura totale.

Se per cultura si intende uno schema di valori ai quali riferirsi, ormai questo schema totale é di ognuno. Non esiste una cultura italiana, non esiste una cultura cattolica, non esiste una cultura del 2000, non c'e nessuna cultura se non quel sistema di riferimento di valori che ognuno é tenuto a farsi personalmente nella vita, perché oggi siamo diventati adulti, non possiamo vivere più di deleghe, non possiamo più basarci su: qualcun'altro prega per te, qualcun altro pensa per te, qualcun'altro sceglie per te, qualcun`altro é infallibile per te. Questo forse valeva per quando eravamo bambini, o con l'anello al naso, condotti da qualcun'altro. Ma oggi questo anello al naso ce lo dobbiamo togliere, non siamo più delle bestie condotte qua e la come greggi di ebeti. Non contesto il modello ecclesiale di gregge, cero solo di comunicarvi l'intuizione che al di la del ragionamento del vero o del falso ognuno di noi deve vivere con la coscienza di dover rispondere totalmente di sé a Dio, senza poter delegare a nessun altro nemmeno una parte di quello che deve fare in questa vita, e cioè realizzare un sistema umano totale, capace di pensare, amare, scegliere, fare tutto quello che un essere umano pub e deve fare.

Se volete, è l'immagine di una Chiesa di persone adulte, ciascuna con la sua originalità, ma di pari dignità e con i ruoli tutti equivalenti e autonomi. In questo senso il discorso dei diversi ministeri non mi interessa più: m'interessa solo quello dei carismi personali, che nascono come vogliono da quello Spirito che é come il vento, e non si sa da dove viene, né dove va. Un riferimento evangelico fondamentale è quando Gesù annuncia il profilo del credente maturo: è giunto il momento, ed è questo, i in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità. Dio è Spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in Spirito e verità . E dopo il colloquio con la samaritana, quando lei é andata ad annunciarlo ai suoi compaesani, essi dicono una delle frasi più interessanti dell'intera scrittura: Non è più per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è il salvatore del mondo. Potrebbe essere il finale dell'Apocalisse, dove non a caso troviamo frasi come: darò a lui la Stella del mattino, darò un nome nuovo che nessuno conosce se non quello che lo ha ricevuto, chi ha sete venga a me e beva gratuitamente l’acqua della vita. Ed altrove Gesù dice: fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno, riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto, e diventeranno in lui sorgenti d'acqua che zampilla per la vita eterna. Pietro augura che la Stella del mattino si levi nei vostri cuori, e ancora l'Apocalisse dice: Non avranno piu bisogno di luce né di lampada perché il Signore stesso li illuminerà. Nessuno sarà più profeta per gli altri.

O abbiamo capito questo, oppure siamo ancora lontani. E allora a ciascuno dei presenti si riferisce il primo punto della mia riflessione: lo Spirito é in noi, la Pentecoste é in noi. Cosa andiamo a cercare al di fuori di noi? Questo però significa il duro lavoro della ricerca personale, il duro lavoro della vocazione a realizzare in se stessi una totalità di espansione umana che non permetta nessuna delega ad altri, anche se esige di porsi in permanente confronto critico con tutti.

Poi c'é il secondo punto che potremmo intitolare Gerusalemme o anche i due occhi. Dice Paolo: lo Spirito scruta ogni cosa, anche la profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo, se non lo spirito dell'uomo che é in lui? Cosi anche i segreti di Dio, nessuno li ha mai potuti conoscere, se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Questo Sant'Ignazio lo chiama discernimento, questo é l'occhio della fede, questo é l'occhio con cui ogni credente responsabile entra nel mondo, guarda le cose del mondo, legge le cose del mondo, ma le interpreta con il pensiero di Dio. Ecco perché i due occhi, le due menti. Potrei chiamarli Babilonia e Gerusalemme, i due simboli delle grandi città complementari e combaciate tra loro. Babele, la città della confusione o delle molte lingue, e Gerusalemme, città della nuova creatura, del nuovo pensiero, del verbo, della sapienza. La città della chiarezza di Dio. E ognuno di noi è cittadino di queste due città e di questi due sguardi. E allora il primo e fondamentale compito di ciascuno di noi, in questo sistema umano di totale riferimento compiuto in se stesso, diventa quello di leggere le cose di Babilonia con il codice di Gerusalemme. `

Tu credente quindi, che attraversi la scena di questo mondo, leggi i fatti umani, i fatti della tua storia, i fatti della Babilonia di cui tu sei cittadino a pieno titolo senza poter scappare, ma leggili con il codice di lettura di Dio, con la semantica di Dio, con il sistema di significati di Dio. Leggi quindi il giornale come il tuo secondo libro di preghiera, il tuo secondo libro della parola di Dio che a volte è parola del contro-Dio, ma leggila da esperto nel libro della parola di Dio. Con questo sguardo andrai oltre qualsiasi strato di evidenza umana e coglierai il significato ultimo, perchè lo guardi con l'occhio di Dio, che e l'alfa e l'omega, il primo che da la luce e l'ultimo che riceve di ritorno la stessa luce. Ognuno di noi credenti, nella sapienza incarnata, ha la fondamentale responsabilità di leggere i fatti del mondo con l'intelligenza di Dio. Ognuno di noi è precettato a farsi capace di pensare secondo Dio e decodificare la storia dell'uomo secondo il codice divino.

E qui si apre il terzo punto, che si può chiamare delle due parentele. Con questo voglio dire che il seguace di Cristo diventa parente di ogni essere umano in un modo completamente nuovo e diverso. Questo vale anche per marito e moglie, padre e figlio, fratello e sorella: Gesù non è venuto a proporre una spiritualità del matrimonio e della famiglia, ma e venuto a parlarci della "parentela" spirituale. Quando una donna gli dice: beato il seno che ti ha allattato, gli risponde: beato piuttosto chi ascolta la parola di Dio e la mette in pratica. E quando gli dicono: tua madre e i tuoi fratelli ti cercano, si guarda intorno e risponde indicando i suoi discepoli: mia madre e i miei fratelli sono quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica. A Gesù interessa unicamente questa parentela nuova, che non ha nulla a che vedere con qualsiasi altra parentela sulla terra, sia di sangue, di affetto, di simpatia, di interessi economici, di condivisione intellettuale. Con questo Gesù vuol far capire che scegliere lui significa non annullare, ma superare qualsiasi altro legame per entrare in questa nuova parentela, quella dell'uomo nuovo, che é di intuire che una sola cosa conta: la discepolanza, l'obbedienza alla parola, al pensiero di Dio. A questo punto si apre un dissidio insanabile tra morale e salvezza. In proposito, una citazione biblica fondamentale: le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli. Quindi, o uno riesce a fare dall'interno l'esperienza della prostituta, oppure, secondo il pensiero di Gesù, non entrerà nel regno dei cieli. E siccome forse noi siamo abituati ormai a termini up po' culturali che lasciano il tempo che trovano, forse possiamo capire meglio il messaggio di Gesù dicendo che le puttane ci precederanno nel regno dei cieli. E se non facciamo interiormente l'esperienza di puttana, non capiremo Gesù, non diventeremo suoi discepoli, non entreremo con lui nel Regno.

Mi stupisce come si vada leggeri e tranquilli nel selezionare il vangelo secondo ciò che ci sta o non ci sta bene. Leggendo questo passo si dice: Gesù parlava per simboli, Gesù voleva dire questo e quello ecc .... Invece Gesù ha proprio detto: i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli. Parlava alla gente "giusta", più o meno del tipo che siamo noi. Quindi è venuto a dire a noi, proprio a noi, che se continuiamo su questa linea, che è la linea della morale, non entreremo nel regno dei cieli, perché non abbiamo capito il senso del suo essere salvatore. Rimarremo sempre legati a un codice che, come dice San Paolo, è maledetto, tanto maledetto che sulla base di quel codice hanno ucciso il Salvatore. Invece le puttane si sono messe ai suoi piedi, a cospargerli di lacrime, a ungerli di profumo, ad asciugarli con i capelli. Nessuna puttana lo avrebbe mai crocifisso. Questo è fondamentale capire. Io non posso dire più di cosi, posso solo dirvi: cercate di capire dentro di voi che cosa significa la spiritualità, la psicologia, la mentalità della puttana, della prostituta. E cercate di imitarla. È chiaro che bisogna capire quale aspetto della prostitute interessava Gesù, che cosa gli ha fatto dire che ci precederanno nel regno dei cieli.

Questo significa: non c'e morale che salvi. Si possono eseguire tutte le indicazioni di Gesù e non entrare nel regno i dei cieli, perché se vengono eseguite come obbedienza alla legge non s'incontra Gesù, che e una persona. Probabilmente le prostitute capiscono meglio perché hanno più esperienza di persone che non i giusti legalisti, che non i giusti fiscali, che non i giusti formali. Non so, chiedetevelo voi.

Gesu ha detto chiaramente che non e venuto ad abolire la legge, ma é venuto a superarla. Ciò significa che Gesù e la legge sono due parallele molto vicine, ma due parallele che s'incontrano all'infinito quando non gliene importa più niente a nessuno. Come a dire che tra la parallela della morale e la parallela di Gesù non ci sarà mai incontro: cammineranno come due ruote su un binario: le ruote girano, da una parte la ruota di Gesù, dall'altra la ruota della legge, fanno lo stesso percorso a un metro di distanza senza incontrarsi mai. Io vi auguro di viaggiare sulla ruota di Gesù. Perché dire legge, dire morale, significa dire sistema di colpa, e chi entra nella dinamica, nella logica della colpa, chiude il suo rapporto con il Salvatore. Io non sono venuto per giudicare il mondo ma per salvarlo: e venuto a salvare non a giudicare, a colpevolizzare. Morale significa: c'e una legge, e tu non puoi che trasgredirla, essere giudicato colpevole e quindi costretto a pagare. Tutto questo Gesù lo ha escluso completamente, quindi la logica della morale, che significa logica della colpa, che significa la cultura dei padri, che significa cultura del giudizio, dei farisei, è maledetta, tanto quanto il peccato. In base al pensiero di Gesù, credo sia molto più difficile a un giusto fare il salto e arrivare a lui, che al peccatore.  Si potrebbe pensare: c'e il peccatore, c'e il giusto legale, c'e Gesù. Il peccatore e il più lontano da Gesù, prima deve fare l'esperienza della giustizia legale, poi incontrerà Gesù perché l'esperienza legale e più vicina a Gesù. Ma di fatto gli otto "guai a voi" di Gesù, indirizzati ai legalisti, stanno a indicare che non c’e niente di peggio, per fare esperienza personale di Gesù, che star lì, come Simone il fariseo, a dire: lui non sa che é una pubblica peccatrice che gli sta toccando i piedi. E infatti Gesù gli risponde: Simone, ho una cosetta da dirti: tu non hai fatto niente per me, lei non ha fatto altro che occuparsi di me. Perciò lei stara con me, e tu continua a farti le cose tue. Concludo su questo punto dicendo che e certamente più facile a un peccatore scovare nella sua esperienza di peccato il significato e il discernimento della salvezza, che a un giusto il quale si pasce di legge, che si riveste, che è ricco, che è sazio di legge. Guai a voi ricchi perché già avete la vostra sazietà. Il peccatore, scavando in qualche modo nella propria esperienza di carente di Dio potrà più facilmente dire: mi alzerò e andrò da Gesù. Il giovane ricco, giusto e sazio di legge, se ne andò triste, mentre il pubblicano, incontrando Gesu, dona la meta dei suoi beni ai poveri, lascia il banco e lo segue. O capite questo, oppure .... Vi auguro di averlo già capito e di capirlo. Con questo non è che io sponsorizzi il peccato, dico solo, in base al pensiero di Gesù, che è il peccatore a compiere il salto per andare da lui. Chiedetevi che cosa può significare per voi.

E siamo al quarto punto. Nella rivelazione di Giovanni, la fede cristiana ci presenta Dio come Luce e come Amore. La pedagogia della Chiesa, nella sua liturgia, ci educa per il prime trimestre al Dio luce che ci è donato nel Natale. Nel secondo trimestre al Dio amore, che ci e donate nella Pasqua. Il verbo incarnato e l'agnello immolato stanno a indicare la mente e il cuore di Dio: Dio è luce, Dio è amore.

Questa luce e questo amore si consumano nel trimestre della pentecoste attraverso, per cosi dire, la sacramentalizzazione di questa luce e di questo amore nel dono delle Spirito dato a ogni credente. In questo senso la Pentecoste è la festa della totalità e quindi possiamo anche dire della corporeità. Questo punto potrebbe intitolarsi il sacramento della fede. Gesù dicendo: chi mangia la mia carne e beve il mie sangue avrà la vita eterna, ci propone una spiritualità di corporeità, una teologia dei sacramenti, una teologia dei segni visibili. Il testimone dopo la pentecoste è sacramento del Dio luce, e del Dio amore, tutta una glorificazione della corporeità. Chi di voi legge il mattutino, in questi giorni nelle letture patristiche avrà incontrato sant'lreneo, sant'Ilario, san Gaudenzio da Brescia constatando che tutti ribattono su un unico punto: Gesù ci salva con la sua umanità, con la sua corporeità, e noi, mangiando la corporeità di Gesù, ricevendo l'acqua della corporeità di Gesù, l’elio della corporeità di Gesù, il pane della corporeità di Gesù, e via dicendo, incontriamo Gesù e diventiamo Dio, poniamo le premesse e già qui noi realizziamo la vita futura. Io vorrei che voi veramente recuperaste il senso del vostro corpo come luogo privilegiato del vostro incontro con Dio. Come il vostro sacramento dell'incontro con Dio.

E allora non separi l'uomo quello che Dio ha unito. Utilizzo questo richiamo al matrimonio per riferirlo al nostro rapporto col corpo. Mi chiedo: che senso ha dividere anima e corpo quando Gesù, incarnandosi, é venute a unire l'anima col corpo? Non separiamo quelle che Dio ha unito! Dietro a questo richiamo c'é, in concreto, l'invito a non separare quel bene a cui tende il nostro corpo dal bene a cui tende la nostra anima, e questo significa che la salvezza non ha nulla a che vedere con quella morale di cui parlavo prima. La salvezza si chiama anche felicita. Non esiste un bene del corpo, che potremo chiamare felicita su questa terra, distinto dal bene della vita eterna, dal bene dell'anima. Espressioni idiote come salvarsi l'anima, che senso hanno? E il corpo? Gesu non é venuto in questo monde per salvare le anime, ma per riscattare il corpo, tanto é vero che il dogma centrale della nostra fede cristiana è la risurrezione. E allora non ha assolutamente senso parlare di un'ottica ultraterrena di Dio, e di un'ottica terrena dell'uomo. Non ha senso, perché altrimenti si finirebbe in quella visione molto negativa della spiritualità che concepisce i cristiani come coloro che fanno i netturbini degli abusi altrui. Nella Chiesa, c'e tuttora qualcuno che immagina la realtà umana come un palcoscenico: di giorno ci sono i cattivi che fanno baldoria, orge, stupri, violenze, lanciano missili, fanno campi di concentramento, lasciano scorie e detriti. La sera, come ombre, quando quelli là se ne stanno altrove, pasciuti o morti ammazzati, arrivano questi netturbini un po' crepuscolari, che sono i cristiani, a spazzare via le scorie dal monde, a fare i riparatori delle cattiverie altrui. Poi, il mattino dopo, i cristiani vanno a dormire e ricomincia Babilonia; mentre la sera ritornano di nuovo a netturbinare gli abusi altrui. O entriamo i nell'ordine di idee di costruire positivamente un corpo del monde migliore, un corpo sociale migliore, e fare cosi una politica alternativa a quella del palcoscenico, oppure firmiamo, per così dire, un destino, una vocazione di netturbini. Io rispetto moltissimo i netturbini, ma l'idea che la popolazione cristiana sia composta da coloro che si rifanno ai rifiuti altrui mi sembra inaccettabile. Gesù non si è incarnato per costituirci agenzia di pulitori, l'agenzia svelto, l'agenzia rapida dei disordini altrui. Questo punto nella fede come sacramento, sta a indicare che non possiamo dividere felicita e salvezza, non possiamo dividere anima e corpo, non possiamo dividere vita eterna e vita terrena, non possiamo dividere questo mondo dall'altro, perché Gesù è morto in questo mondo e per questo mondo. Non possiamo dividere il positivo dal negativo, portando avanti questa spiritualità del sangue. C'e il peccato, Caino ha versato il sangue, ormai siamo nella logica del peccato: ogni giorno peccare, andarci a confessare, chiedere il perdono e ripeccare, e la ruota continua.... di più non si può fare perché tanto siamo peccatori: debbiamo accettare i nostri limiti. Questa visione negative e riduttiva della spiritualità cristiana la lascio tranquillamente a qualcun'altro, a chi ha una visione diversa dalla mia e mi auguro anche dalla vostra. Concludo su questo punto richiamandone i capisaldi: corpo, felicità, salvezza, positivo, spiritualità del giardino, in cui Dio dice: vi affido questo monde, fatelo bello!

Detto tutto questo, guardate la fine del disegno e arrivate al quinto punto. Partiti da ognuno inteso come operatore totale col suo carisma di fede, arriviamo a chiederci: come? In delle comunità. Questa è la Chiesa in cui io credo. Con questo non dico di non credere in altri aspetti della Chiesa, dico semplicemente che la mia personale esperienza di Chiesa e di questo tipo. Come é stato all'inizio in cui c'erano le piccole comunità di Paolo, di Giovanni, di Pietro, di Gerusalemme, Corinto, Tessalonica, ognuna con un carisma suo. Una confederazione di chiese, ma di piccole chiese, di piccoli nuclei, autonomi, produttori di salvezza all'interno, generatori di interpretazioni di teologia, pensatori in proprio. Naturalmente anche con una garanzia comune, ma non mi interessa adesso specificare come: mi interessa affermare il principio. Questa sera io sono qui a celebrare con tutti voi questa eucarestia sugli impegni della Comunità del Mattino, perché credo in questo tipo di Chiesa, che qualcuno in modo ansioso e polemico chiama anche Chiesa parallela: c'e la chiesa del territorio, le parrocchie, diciamo la fanteria che porta il peso; poi ci sono questi corpi speciali, genio, guastatori, pompieri, cavalleria leggera, questi gruppetti di qua e di là che non rispondono a nessuno, fanno quello che gli pare, che nessuno controlla. E infatti chi li controlla? Ma io credo in questa Chiesa perché credo nello Spirito Santo. Non mi entusiasmano molto i reggimenti, né ciò che è corale, sistematico, quadrato, romano. Non ci credo, e non credo che ci sia un dogma che mi imponga di crederlo. Questa impostazione ci fa risalire al primo punto, perché significa che ognuno deve fare teologia personalmente, ognuno deve capire da sé, non può affidarsi supinamente a qualcun altro. Deve tener conto di quello che altri dicono, ma non come delega di pensiero e di coscienza. Ognuno significa anche questa comunità, e anche ognuno di voi nell'ambiente in cui vive. Mi auguro che da tutto questo voi intuiate:

l) La responsabilità totale di ciascuno del proprio cammino di fede.
2) Quindi la responsabilità del discernimento e dell'intelligenza secondo il pensiero di Dio.
3) l'intuizione che esiste una nuova parentela radicalmente diversa da tutte le altre, cioè la parentela della salvezza che va al di la di qualsiasi schema, di qualsiasi codice.
4) Che questa salvezza passa positivamente attraverso la corporeità, cioè attraverso ciascuno di noi, uomo integrale, come sacramento di Dio su questa terra.
5) E finalmente, che tutto questo e possibile viverlo in nuclei di confronto, di preghiera, di servizio, di discernimento, di eucarestia che oggi la teologia pastorale chiama: Comunità ecclesiali di base.

Quindi io prego per questa comunità ecclesiale di base, che si chiama Comunità del Mattino, e per tutte la altre comunità ecclesiali di base che conosco e non conosco, in quanto luoghi di salvezza, di parola e di sacramento. E prego per quest'enorme comunità che è la Chiesa Cattolica Romana, che nel mondo costituisce anch'essa una grande comunità ecclesiale di base, depositaria della Parola, dell'eucarestia, della missione, della testimonianza.




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